La piccola duchessina aveva i capelli maravigliosi che a giorni, stranezza, tendevano quasi al biondo, a giorni pareano castagni; e la stessa mobilità negli occhi, che passavano dal cinereo al verde cupo; languidi, appassionati, ingenui, modesti, ora saettavano lampi, ora non esprimevano altro che la più timida verecondia.
Snella, magra, di una magrezza flessuosamente voluttuosa, pareva, per l’eleganza del corpo, meno piccola di quanto era realmente. Solo le braccia aveva grassocce e belle con due fossette ai gomiti. Di quelle sue braccia, di quelle fossette, Lalla pareva innamorata, stava ore e ore a sedere sul letto, in camiciuola; piegandole, stendendole, ripiegandole, per ammirarne i contorni e l’azzurro pallido delle vene; poi si cacciava sotto le coltri baciandole con trasporto e con passione; come baciava la bianca Musette, la sua cagnuola cara, che spesse volte si udiva guaire fra le strette nervose della padroncina.
Dunque Lalla, pur non essendo bella, poteva piacere assai, e il giovane Frascolini co’ suoi vent’anni e con la conoscenza della vita che s’era procurato, mercè una lunga serie di associazioni alle Letture amene, ne rimase presto ammaliato.
I due giovani, nei primi incontri, non avevano sentito il sussulto arcano, il turbamento foriero delle grandi passioni. Niente affatto. Sandrino entrava in palazzo quasi ogni sera, per lo più con don Vincenzo, e si fermava nel tinello colle cameriere che lavoravano in bianco, col Castaldo, e col vecchio Ambrogio. La sala dove stavano le padrone era vicina al tinello, tanto che sovente ivi giungevano le voci dell’allegra brigata e allora molte volte, quando si udiva anche la voce di Sandrino, Lalla e Maria, colla famigliarità solita di chi sempre vive in campagna, andavano di là per pregare il giovane di qualche commissione od anche soltanto per scambiar due parole. Miss Dill, invece, non si faceva vedere in tinello se non c’era don Vincenzo, e uscivano insieme a passeggiare sotto il porticato, o lungo i viali. Il Frascolini, se ci teneva non poco alla sua professione di spasimante, in tutta il resto era un giovane di criterio. Egli non avrebbe neppure sognato che la duchessina potesse diventare sua conquista, o lui viceversa: tranquillo, economo, regolato, tutta l’ambizione la aveva riposta nei Due Sergenti, tutto lo scopo della sua vita era quello di poter diventare segretario comunale, quando suo padre fosse stato messo a riposo, come suo padre lo era stato dopo suo nonno. In quanto alle sue avventure amorose, la cronaca lo faceva più scapestrato che non fosse in realtà: cominciava solo adesso a filare il perfetto amore colla bellissima Ottavia, lusingato da lei; da lei spronato a fare il salto del Rubicone: cioè ad invadere le Provincie appartenenti al proprietario legittimo. Ma il ragazzo tentennava, misurava il fosso e le gambe, e ancora non si era risoluto al gran passo. Santo Fiore in quei giorni era stato colpito da una sventura; il fuoco aveva distrutto alcune casupole di contadini, lasciando nella più squallida miseria molte famiglie. Le pubbliche calamità sono la fortuna dei filodrammatici, e a Santo Fiore si potevano contare le disgrazie succedute in un certo periodo di anni, dal numero delle repliche dei Due Sergenti. Quell’incendio capitava propizio. Aveva fatto chiasso, la stagione era buona, c’era da aspettarsi una piena… Si sa che i dilettanti, come usavano gli antichi Romani, misurano l’importanza dei loro spettacoli dal numero delle vittime.
Lalla ancora non sapeva che cosa fossero nè i commedianti nè il teatro, ma la sua curiosità era stata desta dai facili entusiasmi della Pierina e della Nena, le due figliuole del vecchio Ambrogio, una delle quali, la Nena, aveva ottenuto di entrare al servizio particolare della signorina.
Già due o tre volte Lalla aveva pregato inutilmente la mamma che le permettesse di assistere ad una recita, e quel no ripetuto aveva cambiata la sua curiosità in un desiderio acutissimo; poi Maria le permise di prender parte alla serata a beneficio dei poveri incendiati; e la sera della rappresentazione, mentre stava preparandosi per andare al piccolo teatrino, le scappò detto colla Nena: – Come sono curiosa stasera di vedere che cosa sa fare il Frascolini!
– Eh! caspita! ci metterà tutto l’impegno, con una duchessa in platea!… Basta poi che la bella Ottavia gli lasci il tempo di vederla.
– Come?…
– Non sa che Alessandro spasima per la sposona dello speziale?
– Per quella pretensiosa?
– Sicuro; e ha piantato su due piedi la signora Veronica, che dalla rabbia voleva finire come i topi.
– La poetessa? – domandò Lalla, sorridendo.
– Sì, signorina. Con tutta la sua scienza, era così oca da lusingarsi che Alessandro fosse cotto per lei; con quel muso! Il ragazzo si mostrava compito, si sa bene; la Veronica è moglie del sindaco, come sarebbe a dire del suo principale…
– E dunque?
– E dunque quando ha capito che la preferita era la bella Ottavia, una domenica dopo la messa cantata, – pare che durante la funzione avesse() scoperto un certo telegrafo fra i due, – si serrò in camera, chiuse le finestre e, detto fatto, ingoiò uno scatolone intiero di fiammiferi!…
– Oh! graziosa!
– Per fortuna il signor Domenico, non so bene per quali faccende, doveva andare in camera sua; sale, la trova chiusa; bussa, nessuno risponde. Aveva veduto entrare sua moglie poco prima; torna a bussare più forte: lo stesso silenzio. – Che si senta male? – dice fra sè quel buon uomo e chiama la signora Veronica per nome, grida, urla, ma tutto indarno. Allora, spaventato, dà un colpo di spalla e, patatrac, fa saltar l’uscio dai gangheri: mamma mia! il signor Domenico si sente bruciare il naso, la gola, da un odore acre, che toglie il respiro; in camera era buio pesto, ma sul letto vede una luce azzurra, bigia, fumante, tremolare, muoversi, dilatarsi. – Che sia il diavolo?!… – Spalanca con un pugno le finestre e… indovini un po’, duchessina? La fiamma usciva dalla bocca della Veronica tutta impastata di fosforo. Quel mammalucco…
– Bada, Nena, è il tuo sindaco!
– Scusi del termine; per me dico pane al pane!… Quel mammalucco del signor Domenico si fa portare un secchio di latte, e di sopra e… e di sotto lo fa entrare nel corpo alla moglie!
– Ma Sandrino, quando ha saputo la tragedia, che cosa ha fatto?
– Che vuole?… Ha dovuto subirle tutt’e due; l’una per amore, l’altra per forza. È pieno di cuore, quel povero ragazzo, e bisogna dire che egli è anche un gran bel figliuolo; ha una carnagione bianca, morbida, come un pan di burro!… Senta, padroncina, non faccio per dire, ma prima di trovarne un altro, bisogna girare tutta l’Italia, e mezza Lombardia!
Ma la padroncina s’era fatta seria e non riuscirono a farla sorridere nemmeno gli spropositi della Nena. Il suo cervellino vagava, vagava molto lontano, e per la prima volta considerava Sandrino sotto il nuovo aspetto di conquistatore. Quella cronachetta di avvelenamenti e di gelosie prestava le ali cartilaginose ai nuovi pensieri della giovinetta, e a poco a poco l’oscuro figliuolo del segretario comunale si trasformava in un piccolo eroe da romanzo.
Quando Lalla entrò nel teatrino dei filodrammatici, il suo occhio cercò subito la Veronica e la bella Ottavia, e invece di seguire il dramma che si svolgeva sul palcoscenico, per tutta la sera fu assorta nell’altra commedia, appena abbozzata, ma che già la fantasia compiva dei tre noti interlocutori: Alessandro, Veronica, Ottavia. E Lalla era in buon punto per assistere anche a quella commediola. I direttori dello spettacolo l’avevano fatta sedere sopra il seggiolone del sindaco, portato là in mezzo al teatro, apposta per lei. Da un lato aveva la sedia vuota, dall’altro miss Dill, che di tanto in tanto, piegava la testa verso la porta, dove, mezzo dentro e mezzo fuori, c’era don Vincenzo, più unto e più rosso del solito, colla papalina sulle ventiquattro, che faceva il moscardino col brigadiere dei carabinieri, fumando un sigaro in barba ai decretali. Ma durante le situazioni commoventi del dramma, che assorbivano la attenzione del pubblico, penetrava egli, adagio adagio, in mezzo alla folla, e, giunto alle prime sedie, toccava nel gomito miss Dill, offrendole di nascosto la scatola aperta. Miss Dill lo guardava con gli occhi bramosi, e allungava due dita, gialle, che dopo aver deviato sulla mano del prete, si sprofondavano nella tabacchiera.
Ma la signorina, non aveva tempo di osservare quelle tenerezze, intenta com’era alle innamorate di Frascolini, sedute l’una di faccia all’altra, ai due