La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Данте Алигьери
Издательство: КАРО
Серия: Lettura classica
Жанр произведения: Поэзия
Год издания: 1320
isbn: 978-5-9925-1285-4
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La gente che per li sepolcri giace

      potrebbesi veder? già son levati

      tutt’ i coperchi, e nessun guardia face».

      10 E quelli a me: «Tutti saran serrati

      quando di Iosafàt qui torneranno

      coi corpi che là sù hanno lasciati.

      13 Suo cimitero da questa parte hanno

      con Epicuro tutti suoi seguaci,

      che l’anima col corpo morta fanno.

      16 Però a la dimanda che mi faci

      quinc’ entro satisfatto sarà tosto,

      e al disio ancor che tu mi taci».

      19 E io: «Buon duca, non tegno riposto

      a te mio cuor se non per dicer poco,

      e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».

      22 «O Tosco che per la città del foco

      vivo ten vai così parlando onesto,

      piacciati di restare in questo loco.

      25 La tua loquela ti fa manifesto

      di quella nobil patria natio,

      a la qual forse fui troppo molesto».

      28 Subitamente questo suono uscìo

      d’una de l’arche; però m’accostai,

      temendo, un poco più al duca mio.

      31 Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?

      Vedi là Farinata che s’è dritto:

      da la cintola in sù tutto ’l vedrai».

      34 Io avea già il mio viso nel suo fitto;

      ed el s’ergea col petto e con la fronte

      com’ avesse l’inferno a gran dispitto.

      37 E l’animose man del duca e pronte

      mi pinser tra le sepulture a lui,

      dicendo: «Le parole tue sien conte».

      40 Com’ io al piè de la sua tomba fui,

      guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,

      mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».

      43 Io ch’era d’ubidir disideroso,

      non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi;

      ond’ ei levò le ciglia un poco in suso;

      46 poi disse: «Fieramente furo avversi

      a me e a miei primi e a mia parte,

      sì che per due fiate li dispersi».

      49 «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,

      rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fiata;

      ma i vostri non appreser ben quell’ arte».

      52 Allor surse a la vista scoperchiata

      un’ombra, lungo questa, infino al mento:

      credo che s’era in ginocchie levata.

      55 Dintorno mi guardò, come talento

      avesse di veder s’altri era meco;

      e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,

      58 piangendo disse: «Se per questo cieco

      carcere vai per altezza d’ingegno,

      mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».

      61 E io a lui: «Da me stesso non vegno:

      colui ch’attende là, per qui mi mena

      forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».

      64 Le sue parole e ’l modo de la pena

      m’avean di costui già letto il nome;

      però fu la risposta così piena.

      67 Di subito drizzato gridò: «Come?

      dicesti «elli ebbe»? non viv’ elli ancora?

      non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».

      70 Quando s’accorse d’alcuna dimora

      ch’io facea dinanzi a la risposta,

      supin ricadde e più non parve fora.

      73 Ma quell’ altro magnanimo, a cui posta

      restato m’era, non mutò aspetto,

      né mosse collo, né piegò sua costa;

      76 e sé continuando al primo detto,

      «S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa,

      ciò mi tormenta più che questo letto.

      79 Ma non cinquanta volte fia raccesa

      la faccia de la donna che qui regge,

      che tu saprai quanto quell’ arte pesa.

      82 E se tu mai nel dolce mondo regge,

      dimmi: perché quel popolo è sì empio

      incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?».

      85 Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio

      che fece l’Arbia colorata in rosso,

      tal orazion fa far nel nostro tempio».

      88 Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,

      «A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo

      sanza cagion con li altri sarei mosso.

      91 Ma fu’ io solo, là dove sofferto

      fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,

      colui che la difesi a viso aperto».

      94 «Deh, se riposi mai vostra semenza»,

      prega’ io lui, «solvetemi quel nodo

      che qui ha ’nviluppata mia sentenza.

      97 E par che voi veggiate, se ben odo,

      dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,

      e nel presente tenete altro modo».

      100 «Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,

      le cose», disse, «che ne son lontano;

      cotanto ancor ne splende il sommo duce.

      103 Quando s’appressano o son, tutto è vano

      nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,

      nulla sapem di vostro stato umano.

      106 Però comprender puoi che tutta morta

      fia nostra conoscenza da quel punto

      che del futuro fia chiusa la porta».

      109 Allor, come di mia colpa compunto,

      dissi: «Or direte dunque a quel caduto

      che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;

      112 e s’i’ fui, dinanzi, a la risposta muto,

      fate i saper che ’l fei perché pensava

      già ne l’error che m’avete soluto».

      115 E già ’l maestro mio mi richiamava;

      per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio

      che mi dicesse chi con lu’ istava.

      118 Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:

      qua dentro è ’l secondo Federico

      e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».

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