Tutte queste persone – con il loro entusiasmo, i loro commenti e le loro domande – sono state fonti di ispirazione per questo libro e di ricerche che lo hanno arricchito. Perciò lo dedico a loro.
1. La nuova capitale socialista
In nessun luogo al mondo la Guerra Fredda ha lasciato tracce nell’urbanistica e nell’architettura come a Berlino. Negli ultimi trent’anni sono state in gran parte cancellate dal centro della città, mentre lontano dall’ex percorso del Muro molto è sopravvissuto agli stravolgimenti post riunificazione.
In particolare sono ancora visibili due quartieri che rappresentano fisicamente l’antitesi fra le posizioni politiche ed estetiche che caratterizzarono la Guerra Fredda: a Est l’ex Stalinallee, oggi Karl-Marx-Allee; a Ovest Interbau 1957, una serie di complessi ed edifici costruiti per l’omonima mostra internazionale dell’edilizia, che si trovano in gran parte nella zona Hansaviertel del quartiere di Charlottenburg. Entrambi sono simboli di come la politica, sia a Est che a Ovest, abbia utilizzato l’edilizia come strumento di autorappresentazione e concorrenza, facendo sorgere nella Berlino del dopoguerra due modelli antitetici di città.
Nel caso di Berlino Est, ancor più che in quello di Berlino Ovest, si trattava peraltro non solo di un modello di città, ma del modello di un intero nuovo Paese, che doveva diventare vetrina dell’intero blocco sovietico.
Fra Alexanderplatz e la sede centrale della Stasi, nel quartiere di Lichtenberg, si percorrono più di 5 km di strada dritta lungo Karl-Marx-Allee e Frankfurter Allee: uno dei due assi centrali della nuova Berlino socialista, insieme a quello che collega la piazza alla Porta di Brandeburgo. Alexanderplatz era il centro della vita sociale e la vetrina di Berlino Est. Era ed è anche il centro geografico dell’intera Berlino, da cui partono tutti gli assi radiali che portano fuori dalla città nelle varie direzioni.
Potremmo perciò pensare che sia stata la prima area di grande intervento urbanistico della DDR, ma non fu così: la piazza fu ricostruita solo a partire dalla metà degli anni Sessanta. Nel 1969, per il ventennale della nascita del Paese, fu inaugurata la torre della televisione. L’impianto e gli edifici principali furono completati nel 1973, ma i lavori continuarono fino ai primi anni Ottanta.
1. Vista su Karl-Marx-Allee e Frankfurter Allee voltando le spalle ad Alexanderplatz: in primo piano i grattacieli di Strausberger Platz, in secondo piano le torri sormontate da cupole di Frankfurter Tor.
2. Il secondo asse centrale della Berlino socialista, fra Alexanderplatz e la Porta di Brandeburgo, nel 1984: a sinistra, dall’alto, il Ministero degli Esteri della DDR e il Palazzo della Repubblica. Al centro, dall’alto, il Duomo di Berlino e il Palasthotel. Tutti questi edifici sono stati abbattuti dopo la riunificazione, a parte il duomo.
Prima che su Alexanderplatz, l’attenzione del regime si concentrò sul grande viale che dalla piazza porta verso est, dedicato a Stalin nel 1949. Il progetto edilizio di Stalinallee, primo grande progetto di prestigio della neonata DDR, iniziò dalla periferia andando verso il centro, nella stessa direzione in cui il viale era stato percorso nell’aprile 1945 dalle truppe sovietiche che entravano in città. L’intero impianto urbanistico fu concepito come un percorso che accompagnasse il visitatore proveniente da Est lungo “la prima strada socialista” della Germania, impressionandolo sempre più con un susseguirsi di piazze sempre più monumentali, che iniziavano con Frankfurter Tor e si concludevano con la piazza Marx-Engels (l’odierna Schloβplatz, piazza del Castello), centro del potere politico su cui si affacciavano gli edifici più rappresentativi (v. Palazzo della Repubblica, Palazzo del Consiglio di Stato, Ministero degli Esteri della DDR, Edificio del Comitato centrale).
Perciò la nostra visita inizia dalla ex Centrale della Stasi, il punto più a est del nostro itinerario, per poi raggiungere Frankfurter Tor e da lì proseguire verso il centro fino ad Alexanderplatz, seguendo così la cronologia di costruzione di questo grande progetto.
La Stasi, abbreviazione che sta per Ministero della Sicurezza nazionale, fu creata nel 1950 ispirandosi alla Ceka, la polizia politica segreta del governo bolscevico che fece da precursore al KGB sovietico, realizzando fra l’inizio della Rivoluzione russa e il 1922 una strategia di terrorismo di Stato per eliminare gli oppositori politici. I dipendenti della Stasi si chiamavano fra loro “cekisti”.
L’istituzione era definita “scudo e spada del partito” unico della DDR, poiché aveva l’obiettivo di difendere il suo monopolio del potere nel Paese. Questo era realizzato attraverso un sistema di controllo, minacce, ricompense e privilegi, che doveva garantire che il singolo cittadino fosse indotto all’adattamento, alla sottomissione e possibilmente alla collaborazione con il regime. La Stasi non aveva un ruolo formalmente definito nella costituzione, ma riassumeva in sé le funzioni di polizia segreta, servizi segreti e organo di investigazione criminale; aveva le proprie forze armate e le proprie carceri.
Tutto ciò era realizzato da tantissime persone, che ne facevano uno dei più grandi apparati di sicurezza segreti al mondo: nel 1989 contava circa 91.000 dipendenti e 189.000 collaboratori non ufficiali (circa 1 per ogni 90 abitanti della DDR). I collaboratori esterni erano lo strumento più importante della Stasi, poiché raccoglievano e trasmettevano informazioni su tutti coloro che li circondavano: famigliari, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro.
L’Edificio n. 1 dell’enorme complesso che costituiva la sede centrale, costruito nel 1960-61, ospita oggi il Museo della Stasi (Stasimuseum), in cui è visitabile nello stato originale l’ufficio di Erich Mielke, che diresse il Ministero della Sicurezza nazionale dal 1957 alla caduta della DDR.
3. L’edificio n. 1 dell’enorme ex complesso della Stasi, che ospita l’omonimo museo.
Il museo esiste come centro di ricerca e memoriale dal novembre 1990. In gennaio la centrale della Stasi era stata occupata da rappresentanti dei comitati civici, protagonisti della rivoluzione pacifica che portò al crollo della DDR. In settembre un “gruppo operativo” ne aveva occupato l’archivio, preoccupato per il destino che era stato deciso per i documenti della Stasi dopo la riunificazione: trasferimento nell’archivio federale centrale, imposizione di un periodo di divieto di consultazione (di solito sono almeno 30 anni), nessun progetto di revisione storica (con annesso rischio che gli ex dipendenti della Stasi potessero continuare ad inquinare o far sparire le prove). A seguito di quest’azione furono inserite nel Trattato di Unificazione fra le due Germanie (v. Altes Stadthaus) delle previsioni sulla documentazione della Stasi che offrirono maggiori garanzie.
Prima di queste occupazioni vi erano state quelle di tutte le sedi periferiche della Stasi, che insieme alle proteste popolari e soprattutto all’allontanamento dal potere del Presidente Honecker, nell’ottobre del 1989, avevano reso evidente il pericolo per il regime. Perciò, quando i cittadini arrivarono a occupare l’archivio, il Ministro Mielke aveva ordinato già da mesi ai suoi dipendenti di raccogliere e distruggere i documenti più importanti e compromettenti.
Quelli che non sono stati distrutti, della sede centrale e delle sedi locali di Berlino e Potsdam, sono ora conservati e consultabili accanto al museo, nell’Archivio centrale della Stasi. È facile capire perché esso è stato definito “un monumento alla sorveglianza”: includendo anche i materiali di tutte le sedi staccate, l’archivio contiene circa 111 km di documenti, di cui 51 già archiviati dalla Stasi, consultabili in base al nome delle persone coinvolte, e 60 di materiali trovati sparsi negli uffici (fra cui circa 41 milioni di singole schede), che in questi trent’anni sono stati riordinati per più del 90%.
4. Le schede e gli schedari con cui la Stasi ordinava gran parte delle informazioni raccolte. Oltre a questi c’erano