Nel caso che l’assassino fosse stato un serial killer, presentava interesse, secondo criminologi e psicologi sociali consiglieri della Questura, il fatto ch’egli non avesse mai contattato né i media né la Polizia, a differenza di quegli assassini seriali che amavano mettersi in mostra con messaggi, sfidando la società, come l’archetipo di tutti i serial killer, il famigerato autore londinese di almeno cinque delitti, attuati dal 31 agosto all’8 novembre 1888, che aveva spedito alla stampa tre lettere, presunte autentiche, nella prima delle quali s’era firmato Jack lo squartatore, come sarebbe stato poi chiamato dai giornali e come sarebbe rimasto negli annali della criminologia, e che in tutte e tre le missive aveva fornito presunti indizi deridendo Scotland Yard. Nel caso del Mostro dell’Orecchio, l’assenza di messaggi, postali, telefonici o per posta elettronica, aveva portato i periti psichiatrici ad abbozzare, sia pure con riserva, alcuni lineamenti del suo carattere: egli, o ella se si trattava d’una donna, verosimilmente soffriva nel profondo d’un complesso d’inferiorità; inoltre, doveva provare un piacere, insieme sadico e autolesionista, rispettivamente nell’incombere occultamente su Torino impaurendola con crudeltà e, nello stesso tempo, negandosi l’intima soddisfazione di svelarsi, almeno un poco, al mondo.
Per il vice questore Pumpo, diversamente, il silenzio del Mostro avvalorava l’idea del gruppuscolo demoniaco assassino per ragioni rituali e che aveva pieno interesse, come tutte le comunità sataniche, a restarsene in ombra.
Per il commissario Sordi, l’ipotesi d’un uccisore collettivo era contemplabile, perché il fatto d’essere più d’uno avrebbe favorito l’esecuzione degli omicidi, ma non doveva trattarsi obbligatoriamente di molte persone e non necessariamente d’un ambiente demoniaco; secondo lui avrebbe potuto trattarsi, diversamente, d’uno dei casi profani che i criminologi chiamavano di magister-alumnus, vale a dire d’una coppia di serial killer composta da una persona ideatrice degli omicidi e delle loro modalità di messa in opera e da un allievo apprendista ed esecutore o coesecutore.
Vittorio al momento considerava importanti tutte le congetture e, non privilegiandone nessuna, se ne restava in attesa di più rilevanti dati.
Due giorni dopo l’omicidio di Mosca Stalina Scrofagnocca, verso le 20 l’amico e io eravamo a cena assieme, come quasi tutte le settimane nel corso della nostra ormai lunga frequentazione. Si mangiava sempre nello stesso locale, un ristorante di corso Palestro non lontano dai nostri appartamenti.
Vittorio, scavalcati gli antipasti “ammazza appetito” com’egli li definiva d’accordo con me e terminato il primo piatto, ch’era quasi un fisso per lui napoletano, spaghetti ai frutti di scoglio, era venuto sul discorso del Mostro dell’Orecchio: “Evaristo mi ha detto che, a quanto sembra, nessuna vittima aveva mai lamentato, con parenti o amici, e men che mai aveva denunciato d’aver avuto minacce, in genere o, pensando alle due morte ficcate in passato nella sinistra estrema, minacce politiche in particolare. Considerando poi che le quattro uccise in casa propria, o almeno così parrebbe, avevano lasciato entrare l’omicida: potrebbe pensarsi ch’esse fossero state in preventivi rapporti con l’assassino o gli assassini”.
“Guarda che, Vittorio, per la prima vittima il Mostro si sarebbe introdotto dal giardino attraverso una finestra”.
“Lo so che c’è codesta ipotesi, ma essa non può farci escludere affatto che l’omicida sia stato invece ammesso in casa dalla vittima. È certo soltanto che nessuna porta d’ingresso è risultata forzata in alcun caso”.
“Il Mostro potrebbe aver avuto le chiavi delle abitazioni?” avevo suggerito.
“Dalle stesse vittime?”
“Mah, no, io penserei a copie false realizzate preventivamente, non so, facendosi un calco in qualche modo”.
“Mica è così facile, sai? Solo nei film riescono a prendere nascostamente impronte della chiave sulla cera e a ricavarne copie perfette. I fabbri non lavorano mica così, partono da un originale o, se la chiave non c’è, lavorano direttamente sul serramento, certe volte limitandosi a sostituire l’intera serratura. Semmai, penserei a un grimaldello, che può aprire facilmente una porta se c’è solo il mezzo giro, a parte che oggigiorno la gente, di norma, chiude a più non posso, anche se in quel momento si trova dentro: a destra, a sinistra, sopra e sotto” – aveva fatto più volte il gesto di girare in un’immaginaria toppa un’altrettanto inesistente chiave – “e penso che il mezzo giro che hanno poi trovato entrando i parenti e, per la Scrofagnocca, la Polizia fosse la ovvia conseguenza del fatto che l’assassino, ogni volta, s’era tirato dietro la porta scappando, non che ci fosse già stato il semplice scatto quand’era arrivato, se non nel primo caso, dato che la domestica aveva dichiarato a Evaristo d’aver lasciato lei, uscendo, il mezzo giro come d’abitudine: immagino che la povera signora Tron si sentisse sicura grazie al muro di cinta della villetta e, d’altra parte, lei o la domestica avevano aperto le finestre al piano terra per far circolare l’aria, poiché quel giorno faceva caldo, e non avrebbe avuto senso serrare a tre mandate l’ingresso. È determinante, d’altronde, il fatto che tutte le uccise erano in casa e quindi, se l’assassino avesse armeggiato alla porta cercando d’entrare, l’avrebbero sentito. Dunque, se nel caso Capuò Tron egli può essersi ficcato in casa scavalcando recinzione e finestra, per gli altri delitti qualcuno deve avergli aperto dall’interno: immagino le vittime stesse”.
“Senti, Vittorio, anche se forse la mia idea è un po’ da telenovela, l’omicida non avrebbe potuto essere l’amante di ciascuna delle quattro donne e, quindi, ognuna di esse averlo ammesso in casa senza sospetti?”
“Amante di tutte? Idea un po’ eccessiva, effettivamente, anche se non da escludere al cento per cento. Però, che dire di quell’anziano barbone pulcioso ed etilista? Anche lui amante del Mostro?”.
“Oh, se è per questo, ci sono tali e tanti gusti sessuali ributtanti, Vittorio! Pensa a chi va addirittura con una bestia, il che mi sembra anche peggio dell’accoppiarsi con un vecchio ubriacone pulcioso”.
“Già; e detta per inciso, non mi sento d’escludere che vengano ammessi malauguratamente in futuro anche matrimoni con un animale o, che so, che siano legalizzate altre depravazioni come il sesso pedofilo: ormai sono tanti i politici privi della morale naturale, gente immersa nel pensiero debole3 che si preoccupa solo di seguire il mutevole sentire dei propri potenziali elettori; ma tralasciando le preoccupazioni moralistiche, torniamo al caso del Mostro: se l’assassino è sempre lo stesso per tutti e cinque gli ammazzati, possiamo supporre che tanto il clochard che le quattro donne l’avessero conosciuto dapprima: senza però bisogno d’esserne stati gli amanti! Nondimeno, il Cipolla potrebbe essere stato ucciso non dal Mostro da quel serial killer, ma da un ammiratore-imitatore del medesimo, oppure da un nemico personale che voleva depistare le indagini usando il metodo del Mostro”.
“D’accordo, Vittorio”.
“Non è comunque improbabile che il serial killer conoscesse almeno tre delle uccise e che le stesse gli avessero aperto la porta, e inoltre c’è un’altra cosa: ho il sospetto che i morti si fossero tutti conosciuti l’un l’altro, in passato, e anzi in due casi, secondo una confidenza di Evaristo, è quasi sicuramente così: domattina verificherò, di persona qualcosa al riguardo e, se andrò a segno, ti riferirò, anche per il tuo giornale, mentre se sarà un fiasco, nossignore”.
Qui aveva affrontato il secondo piatto, portato già da un paio di minuti da una gentil signora, funghi autunnali e fiori di zucchine impanati e fritti, non proprio il massimo al fine d’una buona digestione, soprattutto per uno stomaco ultra ottantenne come il suo.
La mattina dopo, in ottima salute, Vittorio