Secondo Luke, portarlo fuori nella natura selvaggia, a godersela e a mettersi alla prova sia fisicamente che mentalmente, gli faceva bene – e probabilmente era più importante di qualsiasi cosa potesse combinare a casa. I ragazzini di oggi trascorrevano molto tempo a fissare degli schermi. Ci stava anche – quegli schermi erano strumenti potenti – ma era il caso di limitarli a ciò. Di non permettere che prendessero il posto della famiglia, della fisicità, del divertimento o dell’immaginazione. Di non fingere che l’avventura vera, o persino l’esperienza vera, avessero luogo all’interno di un computer.
La richiamò, la mente in allerta, però aperta. Qualsiasi gioco stesse cercando di fare, lui sarebbe rimasto calmo e ragionevole quanto poteva.
Il telefono squillò una volta.
“Luke?”
“Ciao, Becca,” disse, la voce bassa e amichevole, come se fosse la cosa più normale del mondo richiamare qualcuno prima dell’alba. “Come stai?”
“Sto bene,” disse. I discorsi che faceva con lui erano sbrigativi, tesi. La vita con lei era finita – Luke questo lo riconosceva. Ma la vita con suo figlio era appena cominciata, ed era saldo nella convinzione che avrebbe superato qualsiasi ostacolo Becca avesse potuto mettergli tra i piedi.
Aspettò.
“Cosa sta facendo Gunner?” disse.
“Dorme. Qui è piuttosto presto. Non è ancora sorto il sole, quasi.”
“Vero,” disse. “Mi ero dimenticata del fuso orario.”
“Non ti preoccupare,” disse. “Comunque ero sveglio.” Fece una pausa di qualche secondo. A est stava apparendo il primo barlume di sole vero, un raggio di luce che faceva capolino dall’orlo del canyon e giocava sulla parete della scogliera a ovest, colorandosi di rosa e arancione.
“Allora, che posso fare per te?”
Non esitò. “Mi serve che Gunner torni a casa subito.”
“Becca…”
“Non metterti a litigare su questo, Luke. Lo sai che il giudice non farà una piega. Un agente delle operazioni speciali con una diagnosi da disturbo da stress post-traumatico e un passato di violenze vuole portare il giovanissimo figlio fuori per avventure che, tra l’altro, gli fanno perdere intere settimane di scuola. Non riesco neanche a credere di aver accettato la cosa. Ero così distratta che…”
Lui la interruppe. “Becca, siamo nel Grand Canyon. Stiamo facendo rafting. Ti rendi conto della cosa, vero? A meno che qui non atterri un elicottero per venirci a prendere, probabilmente siamo a tre giorni dal South Rim. Poi una notte lì, e un’intera giornata di macchina fino a Phoenix. Il che mi pare giusto, perché a quel che ricordo i biglietti aerei sono per il ventidue. E, tra l’altro, questa diagnosi da stress post-traumatico non è vera. Non c’è mai stata. Nessun dottore l’ha mai neanche insinuato. È solo una cosa che ti sei costruita tu nella tua…”
“Luke, ho il cancro.”
Questo lo bloccò. Ultimamente Becca era stata più agitata di quanto l’avesse mai vista. Ovviamente se n’era accorto, ma per lo più aveva ignorato la cosa. Era tipico di lei, e della quantità di pressione che si addossava. Lei era un caso da stress di classe A. Ma questo era diverso.
A Luke si inumidirono gli occhi, e gli si formò un grosso nodo in gola. Poteva essere vero? Qualsiasi cosa fosse accaduta tra loro, quella era la donna di cui si era innamorato. Quella era la donna che aveva portato in grembo suo figlio. Allo stesso tempo, l’aveva amata più di chiunque altro al mondo, sicuramente più di quanto avesse amato se stesso.
“Gesù, Becca. Mi dispiace tanto. Quando è successo?”
“Sono stata male tutta l’estate. Ho perso peso. All’inizio non era chissà che, ma poi è diventata una quantità di peso incredibile. Pensavo che fosse tutta ansia, tutto ciò che è accaduto nel corso dell’ultimo anno – il rapimento, l’incidente alla metro, tutto il tempo in cui sei stato via. Ma le cose si sono calmate molto, e il malessere non se ne andava. Sono andata a fare qualche test un paio di settimane fa. Ho avuto la nausea. Non volevo dirtelo finché non ne avessi saputo di più. Adesso ne so di più. Ieri ho visto il mio medico, e mi ha detto tutto.”
“Cos’è?” disse, anche se non era sicuro di voler sentire la risposta.
“È al pancreas,” disse, forse sganciando la peggiore bomba che lui potesse immaginare. “Quarto stadio. Luke, è già metastatizzato. Ce l’ho nel colon, nel cervello. Ce l’ho nelle ossa…” La voce le svanì, e lui la udì singhiozzare a duemila miglia di distanza.
“Ho pianto tutta la notte,” disse con voce rotta. “Pare che non riesca a smettere.”
Per quanto stesse male, Luke scoprì che i suoi pensieri improvvisamente non erano con lei – erano con Gunner. “Quanto, ancora?” disse. “Ti hanno dato un arco temporale?”
“Tre mesi,” disse Becca. “Forse sei. La dottoressa mi ha detto di non farci affidamento. Molta gente muore molto velocemente. A volte c’è un miracolo e il paziente continua a vivere, indefinitamente. In ogni caso, mi ha detto di sistemare le mie cose.”
Fece una pausa. “Luke, ho tanta paura.”
Annuì. “Lo so. Saremo lì il prima possibile. A Gunner non lo dico.”
“Bene. Non voglio che lo faccia tu. Possiamo dirglielo insieme.”
“Okay,” disse Luke. “A presto. Mi dispiace davvero.”
Riappendere fu strano. Se solo non avessero litigato per tutti quei mesi. Se solo lei non gli fosse stata così ostile. Se quelle cose non fossero accadute, forse sarebbe riuscito a trovare il modo di confortarla, anche da così lontano. Si era indurito nei suoi confronti, e non sapeva se gli fosse rimasta della tenerezza.
Rimase seduto sulla roccia per molti minuti. La luce cominciò a riempire il cielo. Non si lasciò andare ai bei ricordi che aveva con lei. Non rivisse tutte le discussioni che avevano avuto in quell’ultimo anno, né a quanto feroce e trincerata nelle proprie posizioni fosse stata. Aveva la mente vuota. Meglio così. Doveva andarsene da quel canyon, e doveva informare Ed e Swann che lui e Gunner se ne stavano andando.
Lasciò la roccia e si avviò verso il campo. Ed era sveglio e accucciato davanti al fuoco. Lo aveva riacceso e aveva messo su del caffè. Era senza maglietta, e non indossava nient’altro che un paio di succinti boxer rossi e le ciabatte. Il suo corpo era uno spesso incresparsi di muscoli e di filamentose vene, a malapena un’oncia di grasso in tutto – sembrava un lottatore di arti marziali sul punto di entrare nella gabbia. Osservò Luke avvicinarsi, poi gli indicò l’ovest.
Laggiù, il cielo era ancora blu cobalto, la notte in ritiro, scacciata dalla luce che veniva da oriente. Sulla cima, le torreggianti pareti del canyon adesso erano accese da un frammento di sole che lanciava le sue striature in fiamme di rosso, rosa, giallo e arancio.
“È bello, cavolo,” disse Ed.
“Ed,” disse Luke. “Ho brutte notizie.”
CAPITOLO DUE
21:15 tempo medio di Greenwich (16:15 ora legale orientale)
Quartiere di Molenbeek
Bruxelles, Belgio
Il magro sapeva parlare olandese.
“Ga weg,” disse sottovoce. Vattene.
Non si chiamava Jamal. Ma quello era il nome che a volte dava alle persone, e il nome con cui molta, molta gente era finita a conoscerlo. La maggior parte della gente lo chiamava Jamal. Alcuni lo chiamavano lo Spettro.
Se ne stava nell’ombra vicino a un bidone della spazzatura traboccante, appena dentro