Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Goran Segedinac
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Серия:
Жанр произведения: Героическая фантастика
Год издания: 0
isbn: 9788873043430
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parte strappati, e gli vennero alla mente le sue cose, che aveva lasciato probabilmente per sempre nella baracca nella proprietà del maestro Kulu.

      Quando tentò di alzarsi per osservare meglio l’ambiente attorno a sé si accorse di essere troppo debole per reggersi in piedi. L’esperienza inattesa aveva preso il suo dazio, e lui con sofferenza richiamò alla memoria l’ultima volta che era riuscito a compiere una meditazione completa. Era un vero miracolo che fosse riuscito a reggere tanto a lungo. Una voce si distinse tra tutte altre, ma non poté distinguere cosa avesse detto. Chiuse gli occhi. Come se fosse importante, pensò. Tutto era compiuto, non avrebbe mai più dovuto sopportare la tortura, e qualsiasi cosa lo attendesse non poteva essere peggio di quanto si era lasciato alle spalle. Quella consapevolezza lo tranquillizzò.

      “Ti piace la libertà?”. A differenza degli altri, la fonte dell’inattesa domanda era nota e Gihtar con stanchezza sollevò la testa. Set sorrideva. Anche lui sembrava spossato mentre con una mano si appoggiava a un kas più basso il cui volto era nascosto da un cappuccio nero. “Abbiamo avuto qualche piccolo problema con l’Ordine, ma alla fine è andato tutto bene. Qualcuno quaggiù dice che hai la mano pesante”.

      “Ho agito secondo le istruzioni”.

      “Sì. Sono felice di non essermi sbagliato quando ti ho affidato questo compito”.

      “Kulu e Sirmiona…”.

      “Sono morti. Non opprimeranno più nessuno. Devi esserne felice”.

      Gihtar tuttavia si sentiva più vuoto che felice. In ogni caso, la cosa gli faceva piacere.

      “E Tolum?”, domandò sottovoce. S’immaginava che anche a lui non fosse toccato un destino migliore.

      “Il guardiano non è stato un problema. Fino all’ultimo istante non si è potuto rassegnare al fatto che lo attendeva la nostra fratellanza, invece di quel che si era aspettato dopo aver letto la lettera”.

      “Che stupido kas…”.

      “E di natura assai amorosa, se posso fare un’osservazione”, aggiunse Set quasi con allegria. “Visto che siamo già in argomento, permettimi di presentarti il suo Occhio di Luna”.

      Se il guardiano volesse controllare, digli solo questo nome, ancora si ricordava le istruzioni di Set. La figura accanto a lui si abbassò il cappuccio e Gihtar ne vide il volto.

      “Lenora…”.

      “Mio signore apprendista”, prese parola lei fingendosi umile, “benvenuto nella Fratellanza Nera”.

      “… All’interno della città, nostra è la giustizia!”

      Giuramento dell’Ordine

      Per un attimo aveva pensato di essere nell’Avamposto, ma quella supposizione si dissolse tanto facilmente quanto era comparsa. Era a casa, e si abbandonò a quella piacevole sensazione mentre la coscienza gli riempiva nuovamente il corpo. Giornata libera.

      Quel che lo ritemprava era il rumore che veniva dalla stanza accanto. Aperti gli occhi, Nelgor diede un’occhiata all’uniforme appesa accanto alla porta. Un raggio di sole cadeva su un bottone levigato, facendo sembrare che fosse fatto d’oro. Monada. Deve averlo pulito lei. La notte precedente aveva avuto appena le forze di liberarsi dai vestiti e pulirsi con un asciugamano. Che brava kasa. Sembrava che avesse meditato a fondo, perché non l’aveva affatto udita alzarsi e uscire. Non l’ho neanche sentita. La stanchezza e lo stress facevano la loro parte. Un tempo quasi non vi era notte in cui non fosse cosciente della sua presenza, e non appena si stendevano la loro energia dava inizio alla loro danza, vorticando liberamente e selvaggiamente attorno ai corpi esausti. Notti d’amore. Grazie a quegli ardori tornava a essere più completo che mai, pronto a lavorare per giorni senza interruzioni. Purtroppo, situazioni del genere erano ormai sempre più rare, e anche quando accadevano erano più meccaniche che caratterizzate da una sincera sensualità. Probabilmente con gli anni certe cose erano diventate ordinarie. Nonostante tutto, la amava con lo stesso ardore.

      Indossò velocemente la vestaglia e diede un’occhiata attraverso la finestra. La giornata è stupenda. Due kasi passeggiavano pigramente per la strada chiacchierando tra loro. Si fermarono di fronte a una vetrina e si misero a guardare dei tappeti sontuosamente decorati. Sulla porta si affacciò il proprietario e si scambiarono qualche parola che lui non poté sentire. Riconobbe Fenor; viveva al pianterreno e per quanto potesse essere scorbutico con i clienti era sempre cortese senza alcuna eccezione. Potremmo fare due passi oggi.

      Avvistò Monada non appena mise piede nella stanza principale. Questa era l’unico altro spazio che insieme alla sala per la meditazione formava ciò che chiamavano casa. In ogni caso non potevano vantarsi della grandezza dell’appartamento, ma le loro esigenze erano pienamente soddisfatte. Sul pavimento accanto al tavolo si trovava un secchio; Monada, china su di esso, ne stava amalgamando il contenuto con grande impegno con un mestolo di legno. Quando lo sentì, sollevò la testa, lottando con una ciocca di capelli color porpora che dispettosamente le nascondeva lo sguardo. Quant’è bella.

      “Sei tornato”, lo salutò. “Non volevo disturbarti, mi sarebbe dispiaciuto”.

      “Avresti dovuto”, con un tenero gesto le allontanò i capelli dal volto. “Per poco non ti vedevo neanche oggi”.

      Lei sorrise. “Che importa, dovevi riposarti”. Il suo sguardò si posò sulla scura mistura di cui si stava occupando. “Sono uscita in silenzio per non svegliarti. Ho portato il collante… pensavo che mi avresti aiutato a rattoppare quel…”.

      Nelgor fece una smorfia. “Moni, perché continui a insistere? Poteva aspettare”. Qualche mese prima in un angolo del soffitto si era aperta una crepa. L’edificio era vecchio, ma comunque non era una cosa che sarebbe dovuta accadere. In ogni caso, non si era preoccupato troppo, i dispiaceri sarebbero comparsi solo se fosse iniziato a piovere e i rovesci erano tanto rari che non si poteva ricordare quand’era stata l’ultima volta che il cielo aveva bagnato Tarnek. D’altra parte, Monada non aveva smesso di frignare e la cosa lo irritava sempre più. Temeva che il buco potesse allargarsi, e l’umidità era quel che la preoccupava di più. Quando s’intrufola non hai modo di liberartene, gli aveva detto, e quando compare la cancrena allora è troppo tardi. Era la verità, ma le cose non erano poi così tragiche. La morte cancrenosa coglieva le sue vittime in molti modi, e non c’era un motivo razionale per una tale paura di tutto ciò che avrebbe potuto causarla.

      Doveva immaginare che era questione di giorni prima che la donna prendesse in mano la situazione. Era ostinata e testarda. In reazione alla critica, i suoi occhi rivelarono un chiaro messaggio. Se vuoi metterti a discutere, accomodati pure. Forse si sarebbe sottomesso senza opporre resistenza, e avrebbe accettato il lavoro, ma la domanda che seguì s’impose da sé.

      “Con che cosa hai pagato?”. Quell’anno era stato particolarmente pesante, e il terzo trimestre che stavano ora attraversando non infondeva speranze che si concludesse meglio di com’era iniziato. La grande domanda era che cosa avrebbe portato con sé il futuro. Aveva la fortuna di servire l’Ordine, ma poteva ringraziare solo la sua parsimonia per le scorte di balsamo che avevano accuratamente messo da parte. Allo stesso tempo, le ore di straordinario comportavano un ragguardevole profitto, e oggi non si sapeva se la norma ordinaria avrebbe portato frutto. Già tre volte al posto della paga avevano ricevuto una garanzia, un pezzo di carta con cui la città s’impegnava a trasformarlo in quello che si erano onorevolmente guadagnati non appena si fossero accumulate riserve sufficienti. Non avevano potuto rifiutare. Non le aveva mai imposto la propria volontà, ma aveva solo una preghiera, un’unica semplice regola che si aspettava venisse rispettata. Non rivendiamo il balsamo. Raramente avevano altri beni che potevano essere scambiati, perciò vivevano semplicemente, ma perlomeno a differenza di molti non dovevano preoccuparsi per la propria pelle.

      “Ne ho preso appena un po’”. Nella voce c’era senso di colpa, ma non pentimento.

      “Per