Qualsiasi cosa vi fosse scritta, ebbe un certo effetto. L’uomo nascose in tutta fretta la carta sotto la cintura, e si passò le mani impacciate tra i radi capelli.
“Spero che non sia un qualche trucchetto. Se mi prendi in giro, te ne pentirai”. Benché dovesse suonare come una minaccia, dalla forte apprensione nella sua voce risultò quasi buffa. Gihtar aveva la risposta pronta e sperava che servisse allo scopo.
“Occhio di Luna, non ho altro da dirti”.
Tolum rimase di stucco, come se non potesse credere a quanto aveva appena sentito. Poi si mosse di scatto e iniziò ad allontanarsi a passi veloci verso la bottega. Proprio quando iniziava a pensare di essersene sbarazzato, quello si fermò, si voltò verso di lui e fece qualche passo avanti.
“Non muoverti da qui. Finché non torno”.
“Non c’è fretta. Ma non fare rumore”.
Il guardiano chinò la testa e riprese ad affrettarsi. In breve tempo di lui vide solo i contorni, e poi le tenebre si chiusero attorno a lui. Gihtar si sentiva a disagio. Non si sentiva alcun rumore.
Ancora un po’ e tutto sarà compiuto. Ora che l’ostacolo principale era stato aggirato, il pericolo di essere colto sul fatto era di gran lunga inferiore. Combattendo con l’agitazione si trascinò fino all’ingresso principale e tirò la maniglia che apriva il battente. Il cigolio del meccanismo squarciò la notte, finché l’ultima difesa della sicurezza di Kulu non si aprì per lasciare spazio a ciò che doveva accadere.
Tutto si svolse come un lampo.
Preoccupato che il rumore potesse risvegliare i proprietari, Gihtar si diresse verso il padiglione, giusto in tempo per vedere delle figure ombrose scivolare abilmente sulla rampa e prendere posizione accanto al portone indifeso. Mentre cercava rifugio al riparo del muro, attraverso il silenzio riecheggiò un’esplosione e lui con un malevolo piacere di cui non avrebbe mai neppure immaginato di essere capace capì che avevano fatto irruzione. Sirmiona lanciò un urlo acuto quando la luce di una fiaccola illuminò l’ambiente. Farà loro del male? Dalla distanza a cui si trovava non poteva vedere l’interno, ma i rumori portati dal vento gli fecero comprendere che nelle stanze del suo padrone non stava succedendo niente di piacevole.
Alla sua destra si sentirono delle voci e un’ala del cancello aperto colpì con forza il muro quando attraverso ad esso irruppero nella proprietà un gran numero di persone, cadendo una dietro l’altra. Con terrore riconobbe l’uniforme dell’Ordine su una di esse. È la fine, sarò catturato. La legge era giunta da sé, come aveva potuto essere tanto stupido da accettare la proposta di Set? Dalla posizione in cui si trovava era difficile passare inosservato, e soprattutto sembrava che gli intrusi come per dispetto avessero illuminato le stanze di Kulu con tanta luce che ogni tentativo di nascondersi sotto il velo delle tenebre era vanificato.
La bottega, devo riuscire a raggiungerla. La profonda cantina sarebbe potuta servire come nascondiglio, avrebbe avuto abbastanza tempo per organizzare una difesa, una volta nascosto. O quello – o tentare di fuggire di lì e trovare asilo nelle strade di Tarnek. Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che lo trovassero? Si trovava di fronte a una scelta tutt’altro che facile. Avrebbe potuto raggiungere la bottega per la stessa strada con cui era arrivato fino lì, ma laggiù si aggiravano delle ombre. Non riusciva a immaginarne il numero. L’altra strada s’insinuava tra il padiglione e l’ingresso principale, ma lì ora si trovava l’Ordine, e se lo avessero preso si sarebbe dovuto fare largo tra i giustizieri. Si trovava di fronte allo stesso dilemma anche se avesse scelto la fuga. Posso far finta di essere una vittima. Li manderò al piano di sotto e fuggirò.
Prese una decisione. Non si sarebbe mai permesso di rinunciare alla libertà, per quanto poco potesse durare. Non ora che ce l’aveva tra le mani. Forse non mi noteranno affatto, pensò, e che cosa potrebbero mai farmi in nome di Dio? Preso dal panico, rimase quasi accecato da quanto accadeva intorno a lui, registrandolo solo con gli occhi e non con l’intelletto. Uno dei guardiani della legge ruotò su sé stesso e quasi gli cadde sui piedi quando un kas con una corazza di cuoio lo colpì con un’enorme mazza. Gihtar scoppiò a ridere, reso folle dall’improvvisa consapevolezza. L’Ordine era lì, ma non era solo. Quelli con cui tentavano di combattere erano due volte di più. Riecheggiò un suono acuto quando uno di loro brandì la spada e un braccio avvolto nell’uniforme prese il volo nell’aria. Il mio lavoro, pensò, è così che taglia quel che io forgio, e appena un attimo dopo si trovò faccia a faccia con un altro proprietario dell’opera a cui si era tanto a lungo dedicato. Mi colpirà. C’era qualcosa di selvaggio nell’idea che sarebbe stato ferito da una lama che lui stesso aveva creato.
“Lui è con noi”, riecheggiò una voce ferma e il suo aspirante assalitore si spostò, alzando la lama in alto sopra la testa, pronto a calare il colpo su chi lo avesse meritato. Prima che riuscisse ad abbassare il braccio, una punta di ferro con precisione quasi chirurgica fece breccia nella corazza di pelle dura sulle sue spalle e appena un attimo dopo furono tutti bersagliati dai rimasugli di quanto un tempo componeva il suo torso. Rabbia e soddisfazione brillavano sul volto del guardiano della legge, che gettò a terra il trinciante usato e di scatto estrasse un pugnale correndo verso Gihtar. Mi ucciderà, pensò, e tentò di difendersi alla bell’e meglio. Sarebbe stato tutto di gran lunga più facile se avesse avuto un’arma qualsiasi. Non c’era quasi spazio di manovra, il mondo attorno a lui era diventato una massa di grida e colpi e lui pensò al fatto che era un vero miracolo che fosse ancora in piedi. Pochi istanti lo dividevano dal suo assalitore e lui con ammirazione pensò all’energia del colpo che ne sarebbe inevitabilmente seguito. Vuole uccidermi. Il suo boia, ormai a un passo dal suo scopo, inciampò sui resti di qualcosa, e se non avesse avuto un’aria di stupore sul volto Gihtar non si sarebbe accorto della situazione salvifica che gli si era inaspettatamente presentata. Guidato da un istinto di cui in precedenza non era mai stato cosciente, si spostò abilmente di lato e con un forte colpo placò per sempre l’ira del suo aspirante carnefice. Sembra che ora io possieda un’arma. Sconvolto dalla vista del cranio deformato del kas, tento di valutare quanto balsamo sarebbe stato necessario per curare lo sfregio che i frammenti d’osso avevano procurato alla sua mano. Lo strappò dallo stato di trance una mano che lo scuoteva stringendogli forte una spalla. “Maledetto, gli hai fatto saltare la testa con un pugno!”, urlò un volto rozzo ricoperto dalla barba scoprendo allegramente una serie di denti affilati. “Lo hai spappolato come se fosse una torta di zucchine!”.
Si guardò attorno, barcollò, tentando di allontanarsi dal cadavere accanto al quale stava in piedi. Aveva ucciso un kas – per quanto fosse una questione di difesa, l’aveva comunque ucciso. Un altro Gihtar dentro di lui pensò quant’era bizzarro trovarsi dentro il Gihtar criminale. Gihtar l’assassino. La proprietà era illuminata a giorno, e lui comprese che il padiglione era in fiamme. Le figure oscure, ora radunate alla base del gigantesco falò, non erano più ombre – la torcia aveva scoperto le loro nere uniformi, per niente meno spaventose di prima. Il cadavere di qualcuno bruciava mentre gli altri trafficavano intorno a dei supporti di legno sui cui era riposta una cassa. Tutto attorno si trovavano i resti di quelli che non si sarebbero più risvegliati. La battaglia presso il cancello era giunta al termine.
“Andiamo!”, gridò qualcuno, e la folla si affrettò verso l’uscita. Gihtar si lasciò trascinare dalla massa, e ben presto correva completamente disorientato per le strade vuote della città. Camminando al ritmo dei passi dei suoi inattesi commilitoni, si guardava attorno disorientato – le mura, i tetti, la notte che pian piano spariva lasciando spazio al suo primo mattino di libertà, così forte e impressionante da ubriacarlo e da sembrargli che quella che fino a ieri pareva vita fosse così lontana da non essere mai successa. Correva come un pazzo, selvaggio e sregolato, sorbendo ogni dettaglio con un entusiasmo per via del quale il suo corpo ardeva. E adesso, all’improvviso, come tutto ciò che era accaduto quella notte, il suolo sotto i suoi piedi svanì e lui cadde nelle tenebre.
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Quando recuperò i sensi, si accorse di essere in un’immensa sala senza finestre, piena di kasi che parlavano allegramente tra loro, ridendo e scherzando