Ancora a cento metri di distanza, il cuore di Aidan martellava sentendo un profondo senso di apprensione. Abbassò la testa, spronò il cavallo e lo spinse più veloce, galoppando tanto velocemente da non riuscire quasi a respirare. Provava un bruttissimo presentimento, un senso di incombente tragedia mentre vedeva la ragazza avvicinarsi a Duncan.
“PADRE!” gridò.
Ma da lì le sue grida vennero messe a tacere dal vento.
Aidan galoppò più veloce, diretto verso il gruppo di soldati, scendendo rapidamente la collina. Guardò senza poter fare niente mentre la ragazza si avvicinava e abbracciava suo padre.
“NO, PADRE!” gridò.
Si trovava a cinquanta metri adesso, poi quaranta, poi trenta, ancora troppo distante per poter fare qualcosa di più che guardare.
“BIANCO, CORRI!” ordinò.
Bianco scattò, correndo ancora più veloce del cavallo. Eppure Aidan sapeva che non c’era tempo.
Poi vide che accadeva. La ragazza con orrore di Aidan allungò una mano e piantò un pugnale nel petto di suo padre. L’uomo sgranò gli occhi e cadde in ginocchio.
Aidan si sentì come se avessero pugnalato anche lui. Sentì tutti il suo corpo cadere con suo padre: non si era mai sentito più inutile in vita sua. Era successo tutto così rapidamente, gli uomini di suo padre erano lì in piedi, confusi, senza parole. Nessuno neppure sapeva cosa stesse accadendo. Ma Aidan lo sapeva. L’aveva capito subito.
Ancora a venti metri di distanza, disperato, portò la mano alla vita, sguainò il pugnale che Motley gli aveva dato e lo lanciò.
Il pugnale volò in aria, roteando, brillando alla luce, dritto verso la ragazza. Lei estrasse il suo coltello, sorrise con una smorfia e si preparò a pugnalare Duncan un’altra volta. Ma improvvisamente il pugnale di Aidan andò a segno. Aidan si sentì sollevato nel vedere che almeno le aveva colpito il dorso della mano, facendola gridare e lasciare la presa sulla sua arma. Non era un grido terreno, e certo non il grido di Kyra. Chiunque fosse, Aidan l’aveva smascherata.
La ragazza si girò a guardarlo e subito Aidan vide con orrore mentre il suo volto si trasformava. L’espressione femminile del viso venne rimpiazzata da una figura grottesca e mascolina che si allargava ogni secondo di più, divenendo più grossa di tutti loro. Aidan sgranò gli occhi per lo shock. Non era sua sorella. Non era nient’altro che il grande e santo Ra.
Anche gli uomini di Duncan guardavano scioccati. In qualche modo il pugnale che aveva punto la mano aveva trasformato l’illusione, aveva fatto a pezzi la stregoneria usata per ingannare Duncan.
Nello stesso momento Bianco saltò in avanti, balzando in aria e atterrando sul petto di Ra con le grosse zampe, facendolo cadere. Ringhiando il cane gli azzannò la gola, graffiandolo. Portò le zanne sul suo viso disorientando completamente Ra ed evitando che potesse riorganizzarsi e attaccare di nuovo Duncan.
Ra, lottando nella polvere, sollevò gli occhi al cielo e gridò delle parole, qualcosa in una lingua che Aidan non conosceva, chiaramente invocando qualche antico incantesimo.
E poi improvvisamente Ra scomparve in una palla di polvere.
Tutto quello che rimase fu il suo coltello insanguinato, a terra.
E lì, in una pozza di sangue il padre di Aidan, immobile.
CAPITOLO OTTO
Vesuvio attraversava la campagna, diretto verso nord, galoppando in sella al cavallo che aveva rubato dopo aver assassinato un gruppo di soldati pandesiani. Da allora intenzionato a fare una strage, aveva a malapena rallentato attraversando villaggio dopo villaggio, uccidendo donne e bambini innocenti. In qualche paese si era fermato per cibo e armi, in altri solo per la gioia di ammazzare. Sorrideva di gusto ripensando al fuoco appiccato villaggio dopo villaggio, bruciandoli tutti da solo e radendoli al suolo. Avrebbe lasciato il suo segno su Escalon ovunque fosse andato.
Mentre usciva dall’ultimo villaggio, Vesuvio sbuffò e lanciò una fiaccola infuocata, soddisfatto di vederla atterrare su un altro tetto e dando fuoco all’ennesimo paese. Ne uscì galoppando e pieno di gioia. Era il terzo villaggio che bruciava nell’ultima ora. Li avrebbe fatti fuori tutti se avesse potuto, ma aveva affari urgenti di cui occuparsi. Piantò i talloni addosso ai fianchi del cavallo, determinato a riunirsi ai suoi troll e condurli nell’ultimo tratto della loro invasione. Ora avevano più che mai bisogno di lui.
Vesuvio continuò a galoppare, attraversando vaste pianure ed entrando nella parte settentrionale di Escalon. Sentiva che il cavallo iniziava a stancarsi sotto il suo peso, ma questo lo indusse a spronarlo con maggiore forza. Non gli interessava se l’avrebbe portato alla morte. In effetti sperava anche di riuscirci.
Mentre il sole scendeva, Vesuvio poté sentire la sua nazione di troll sempre più vicina, che lo aspettava. Ne sentiva l’odore nell’aria. Il pensiero del suo popolo lì ad Escalon, finalmente da quella parte de Le Fiamme, lo riempiva di gioia. Ma mentre galoppava si chiedeva perché i suoi troll non fossero già arrivati a sud, saccheggiando tutta la campagna. Cosa li stava frenando? I suoi generali erano così incompetenti da non poter ottenere niente senza di lui?
Vesuvio finalmente si liberò della lunga distesa di boschi e subito il cuore gli balzò in gola vedendo i suoi eserciti dispiegati sulle piane di Ur. Provò emozione nel vedere che decine di migliaia di troll si stavano riunendo. Ma era anche confuso: invece di sembrare vittoriosi, quei troll apparivano sconfitti, abbattuti. Come poteva essere?
Guardando la sua gente che se ne stava semplicemente ferma lì, il volto di Vesuvio avvampò per l’umiliazione. Senza di lui sembravano tutti demoralizzati, privi di ogni voglia di combattere. Finalmente Le Fiamme erano state abbassate ed Escalon era loro. Cosa stavano aspettando?
Finalmente li raggiunse e facendo irruzione in mezzo alla folla, galoppando tra loro, li vide tutti rivolgergli sguardi scioccati, spaventati, ma anche speranzosi. Si fermarono tutti a fissarlo. Aveva sempre avuto quell’effetto su di loro.
Balzò giù da cavallo e senza esitare sollevò l’alabarda, la fece ruotare e tagliò la testa all’animale. Il cavallo rimase in piedi per un momento, decapitato. Poi cadde a terra morto.
Questo, pensò Vesuvio, per non aver galoppato abbastanza veloce.
E poi gli era sempre piaciuto uccidere qualcosa quando arrivava da qualche parte.
Vesuvio vide la paura negli occhi dei suoi troll mentre avanzava furioso incontro a loro, desideroso di risposte.
“Chi guida questi uomini?” chiese.
“Sono io, mio signore.”
Vesuvio si voltò e vide un robusto e grande troll, Suve, suo vicecomandante a Marda, che si portava davanti a lui con decine di migliaia di troll alle spalle. Vesuvio capì subito che Suve stava cercando di darsi un’apparenza fiera, ma che la paura era celata dietro al suo sguardo.
“Pensavamo fossi morto, mio signore,” aggiunse, come se volesse spiegarsi.
Vesuvio si accigliò.
“Io non muoio,” disse seccamente. “Morire è da codardi.”
Tutti i troll lo guardavano con timore, in silenzio, mentre Vesuvio serrava e rilasciava il pugno sull’alabarda.
“E perché vi siete fermati qui?” chiese. “Perché non avete distrutto tutta Escalon?”
Suve guardò prima Vesuvio e poi i suoi uomini.
“Siamo stati fermati, mio signore,” ammise alla fine.
Vesuvio sentì un’ondata di rabbia.
“Fermati?” disse seccamente. “Da chi?”
Suve esitò.
“Colui che è conosciuto come Alva,” disse infine.
Alva. Il nome risuonò nel profondo dell’animo di Vesuvio. Il più grande stregone di Escalon. L’unico forse che avesse più potere di lui.
“Ha creato un crepaccio nella terra,” spiegò