La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale. Guido Pagliarino. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Guido Pagliarino
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Серия:
Жанр произведения: Философия
Год издания: 0
isbn: 9788873046370
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vedeva nella ricerca e ritrovamento della memoria della propria origine divina l’unica possibilità d’uscita dalla ruota delle rinascite e di accesso finale al mondo dei giusti. L’idea di reincarnazione è anche uno dei cardini del successivo neoplatonismo; e qualche suggestione in merito tocca forse, per un momento, pure sant’Agostino che sappiamo influenzato dal neoplatonismo di Plotino; egli scrive nelle sue “Confessioni”: “Dimmi, Signore, dimmi se la mia fanciullezza venne dietro ad altra mia età morta prima di essa e se prima ancora di quella vita, o Dio mia gioia, io fui forse in qualche altro luogo o in qualche altro corpo.”

      Nel caso del concetto antropologico B) secondo il quale l’anima-psiche è spirituale e immortale, si ha dapprima la discesa all’inferno, vissuto, della sola anima pneumatica immortale e, alla fine del mondo, pure del corpo che si riunisce eternamente all’anima; quindi si soffre anche una perenne pena fisica, come aveva scritto sant’Agostino nell’opera “De catechizandis rudibus”: “Quelli che deridono la resurrezione, credendo che questa carne che si decompone non può risorgere, risusciteranno in essa per le pene e Dio dimostrerà loro che chi poté fare questi corpi prima che fossero, può in un attimo restituirli così come erano.”13

      Nel caso della concezione C), diversa sia da quella di anima immortale alla Platone, sia da quella del perituro sinolo umano alla Aristotele, mentre il corpo del giusto con la sua individuale psiche-anima risorge, quello del peccatore non pentito, semplicemente, resta morto: l’inferno coincide con la morte eterna della persona. Si possono al riguardo richiamare, fra altre affermazioni del Nuovo Testamento, la testimonianza di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno […]”14 e, per contro, si può ricordare l’ammonizione di san Paolo nella lettera ai Romani: “[…] il salario del peccato è la morte” (Rm 6, 23); san Paolo tuttavia aggiunge, nello stesso versetto, “ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.”

      Per inciso, può essere interessante un’osservazione relativa alla più volte citata concezione antropologica aristotelica del sinolo umano che, comunque, per lo Stagirita è mortale tanto che la persona sia stata giusta quanto che sia stata peccatrice: Tal idea, dopo essere passata in ambiente culturale arabo, insidia in tempo rinascimentale il credo di cristiani neo aristotelici; in particolare, influisce sull’illustre filosofo Pietro Pomponazzi il cui relativo pensiero, pubblicato nel 1516, viene giudicato eretico quasi immediatamente dal V concilio Lateranense, svoltosi fra il maggio 1512 e il maggio 1517 – vedi anche l’Appendice 2, I 21 concili ecumenici della Chiesa e tracce dei relativi argomenti trattati -, concilio che tuttavia, più che richiamarsi all’affermazione di san Paolo sulla trasformazione del corpo umano da materiale a spirituale, si basa sul platonismo con la sua anima umana naturalmente immortale. S’era scritto in un precedente saggio15 : “Il filosofo arabo Averroè (Ibn Rushd, 1126-1198) tanto tempo dopo Aristotele, afferma dietro di lui che l’intelletto produttivo16 è unico com’è unica la specie umana e conclude espressamente che non c’è permanenza in vita per la persona ma solo per le specie e che di quella umana sopravvive l’intelletto produttivo, cioè la razionalità dell’uomo di tutti i tempi, e non l’anima intellettiva personale17 . L’idea d’Averroè passa a un certo numero di cristiani colti, causando crisi di fede, tanto più che Aristotele è ormai considerato in quel tempo quasi un cristiano ante litteram, in qualche modo ispirato da Dio, almeno di fondo, prima della venuta di Cristo. Tra coloro che perdono la fede ragionando sull’inseparabilità di anima e materia, c’è il noto filosofo cristiano e aristotelico Pietro Pomponazzi (1462-1524), anche se continua a manifestarla pubblicamente, come tanti altri, secondo la cosiddetta doppia verità, religiosa e filosofica: un atteggiamento – che viene attribuito erroneamente all’aristotelismo averroista – tutto sommato di comodo perché mostrarsi credenti evita di correre rischi con l’Inquisizione e, comunque, di perdere privilegi sociali. Il Pomponazzi scrive un suo trattato sull’immortalità dell’anima proponendosi d’esporre fedelmente la dottrina d’Aristotele, diversa da quella, a suo parere, stravolta dalla dottrina cattolica scolastica e in particolare da san Tommaso d’Aquino, il quale secondo lui avrebbe coperto con la ragione quanto doveva riguardare la sola fede. Il Pomponazzi, in sintonia con Averroè, conclude che l’anima non può svolgere la propria più alta funzione, quella intellettiva, se privata dei dati provenienti dagli organi del corpo: anche per lui, morto il corpo, morta l’anima; ovvero, per il principio della doppia verità, se per la fede l’anima è immortale, secondo ragione invece muore col corpo, con cui costituisce un’unità vale a dire forma una singola persona, cioè, aristotelicamente, è un sinolo.

      L’errore sta nel vedere la sopravvivenza in modo platonico, possibile cioè solo grazie a un’anima intrinsecamente immortale, invece di contemplare paolinamente, e pure secondo la Genesi, lo spirito di vita di Dio che, secondo il Cristianesimo del I secolo, non solo mantiene viva la persona sulla terra ma la fa risorgere dopo la morte, o per meglio dire la mantiene viva nell’Essere eterno, in modo soprannaturale, prescindendo dalla naturale mortalità del suo corpo e della sua inscindibile anima.

      Parlerò ancora della sopravvivenza a proposito dei cosiddetti Novissimi, parola che è la trascrizione in italiano del termine latino plurale novissÄ­ma cioè cose estreme o ultime. A volte lo si trova citato in greco antico come éschata. S’intende parlare in sintesi, usando tal vocabolo, di Paradiso (l’unico che si deve, o si dovrebbe, scrivere con l’iniziale maiuscola perché è un soprannome di Dio), di purgatorio, accolto dai soli cattolici e d’inferno.

      Dirò anche qualcosa, per inciso, sul limbo dei neonati e dei giusti morti senza battesimo e di come nacque fra i teologi tal fantasiosa idea del limbo, non dogmatica nemmeno per i cattolici.

      Intanto torniamo ai casi A), B), C) più nei particolari e cominciamo, nel capitolo seguente, a esaminare il caso A, la risurrezione del solo animo.

      Ãˆ noto che, con eccezioni come il monista Aristotele, i filosofi greci antichi hanno di regola un’ottica antropologica dualista, dagli orfici ai pitagorici a Platone fino a Plotino: per loro, corpo psichico e spirito dell’essere umano sono scindibili e il primo ha fine con la morte mentre lo pneuma, parte nobile dell’uomo di natura spirituale, sopravvive, si reincarna più volte e si confonde finalmente con Dio, per cui si può dire che l’individuale persona non c’è più, come d’altro canto, fuori d’Europa, è nel sentire delle religioni e metafisiche orientali reincarnazioniste dal buddismo in poi, che influisce in tal senso sull’induismo il quale, precedentemente, contempla invece un ciclo eterno e disperante di morti e rinascite.

      L’idea dualista – o se vogliamo, trialista, ma usiamo il classico termine considerando singolare il corpo psichico – col pneuma da una parte e la psiche e il corpo dall’altra, è accolta sia dall’ipotetico Gnosticismo precristiano, o comunque acristiano, sia da quello cristianeggiante.

      Le idee degli gnostici cristiani ci sono giunte grazie alle critiche di apologisti e di Padri della Chiesa e ad alcuni vangeli gnostici. È invece solo ipotetica l’esistenza d’uno Gnosticismo non cristiano, o se precedente il Cristianesimo, precristiano, considerando che non ce ne sono giunti documenti né diretti né indiretti. Lo Gnosticismo cristiano, o meglio cristianeggiante, potrebbe essere dunque un fenomeno non preesistente al Cristianesimo ed essere derivato storicamente, in epoca cristiana, sia da filosofie