Il delegato, dopo breve indugio, accordava la resa e dava incarico per l'esecuzione alla rappresentanza comunale; così i cacciatori del Tevere entravano in Orvieto dalla parte della Rocca, mentre i papalini ne uscivano dalla porta Romana.
La sera del 17 settembre i cacciatori incolonnati prendevano la via di Bagnorea preceduti da ardita avanguardia comandata dal tenente marchese Mario Theodoli. Arrivata la colonna a Bagnorea dopo breve sosta, riprese la marcia per Cellino e Montefiascone; si sperava di arrivare al paese di sorpresa, ma a tre chilometri distanti alcuni uomini dell'avanguardia mandati avanti dal Theodoli ad esplorare, s'imbatterono in una pattuglia di gendarmi a cavallo; altri a piedi seguivano a distanza; gli uomini dell'avanscoperta aprirono il fuoco: i carabinieri a piedi che si trovavano a distanza si misero in fuga, quelli a cavallo che erano già sopra ai nostri furono fatti prigionieri. Ma i fuggiti avevano dato l'allarme e la sorpresa non fu più possibile.
Una compagnia di pontifici (belgi) si fece avanti per arrestare l'avanguardia dei cacciatori comandati dal Theodoli, ma i nostri, fatta una scarica, e sorretti dal corpo del Masi sopraggiunto di corsa, attaccano i belgi alla baionetta, li mettono in fuga e con essi entravano a Montefiascone, mentre i papalini fuggivano dalla parte opposta per la via di Viterbo.
Il giorno 20 settembre la guarnigione pontificia avendo abbandonato Viterbo, una deputazione cittadina veniva ad invitare Masi ad entrarvi, ed alle 5 pomeridiane dello stesso giorno i nostri erano a Viterbo. Il 24 i cacciatori del Tevere occupavano Civitacastellana e Corneto.
Il 2 di ottobre i cacciatori lasciata Civitacastellana giunsero parte a Rignano Flaminio, altri a Castelnuovo di Porto e una colonna a Fiano Romano; il 5 tutta la colonna transitava sulla sinistra del Tevere e nel pomeriggio arrivava a Poggio Mirteto, città delle più patriottiche.
Presavi stanza il colonnello Masi spediva il Diligenti ed il Massarucci al generale Brignone in Terni per sapere se poteva proseguire il suo movimento verso Roma e quali erano le intenzioni del Governo.
I due patrioti venivano incaricati dal generale di fare sapere al colonnello Masi che ogni speranza di andare a Roma era svanita e che ordine perentorio eravi di sgombrare dal così detto patrimonio di S. Pietro.
Fu forza al Masi di ubbidire e l'8 di ottobre non restava un volontario sulla sinistra del Tevere. I cacciatori del Tevere si erano ridotti a Montefiascone diretti per Orvieto, da dove avevano mossi i primi passi pieni di ardire e di speranze; il 20 dovettero abbandonare anche Orvieto!
In seguito i cacciatori del Tevere formati in due battaglioni, sotto gli ordini del colonnello Masi, poterono rendere segnalati servigi al paese combattendo il brigantaggio che nell'Ascolano e negli Abruzzi perpetravano atrocità inaudite specialmente in Collalto, segnalandovisi in modo particolare il capitano Marchese Mario Theodoli che si meritava promozioni ed onoreficenze; vi si distinsero pure il tenente Giulio Silvestri ed il più giovane fratello Annibale sottotenente, romani.
Per liberare l'Umbria dai mercenari del papa comandati dal famoso generale Schmidt, fu dato incarico al generale Fanti, comandante del 5o corpo, il quale formò il piano seguente:
1o Impadronirsi di Perugia come base d'operazione;
2o Marciare compatti su Foligno, centro delle comunicazioni dello Stato pontificio con l'intento d'assicurare per ogni evento la congiunzione col 4o corpo, comandato dal Cialdini;
3o Da Foligno rivolgersi su Spoleto o su Ancona secondo le mosse di Lamoricière.
Il generale De Sonnaz con la brigata granatieri di Sardegna ed altre truppe sussidiarie, bersaglieri, artiglieria, cavalleria e genio, doveva occupare Perugia. La mattina del 14 settembre investiva la piazza murata e alle ore 9 la colonna di destra comandata dallo stesso generale De Sonnaz, sfondava la porta S. Antonio e coi bersaglieri in testa, comandati dal colonnello Pallavicini, entrava in città. Mentre questo avveniva a destra, i granatieri di Sardegna a sinistra sfondata la porta Santa Margherita entravano essi pure trionfanti in Perugia. Il generale Schmidt che si era ritirato nel forte, alle 6 pomeridiane capitolava. Così per le eccellenti disposizioni tattiche prese dal generale De Sonnaz e pel valore delle nostre truppe si ebbe espugnata l'importantissima piazza di Perugia e si arrendevano prigionieri 1700 ponteficii con sei pezzi d'artiglieria e la bandiera del 2o reggimento estero.
Nelle Marche le cose andavano così:
L'8 settembre Urbino insorgeva e fugati i gendarmi pontificii, abbattuti gli stemmi del governo papale proclamava l'unione all'Italia sotto la dinastia di Savoia; Fossombrone ne seguiva l'esempio innalzando il vessillo tricolore. A tale notizia il generale Lamoricière mandava ordine al Di Curten di ridurre a servitù le ribellate città. Il giorno 11 Fossombrone veniva violentemente assalita da una forte colonna di mercenari, i quali sorpresa la città vi rinnovarono le scelleratezze e gli eccidî che funestarono la patriottica Perugia; non ebbe il prode Di Curten l'ardire di assalire Urbino, ove lo attendevano in armi i generosi cittadini rafforzati da 800 volontari accorsi in loro soccorso dalle terre vicine, risoluti all'estrema resistenza.
Nè, nella baldanza brutale di quell'orgia sanguinaria, ardiva di muovere su Pergola che erasi pure sollevata con grande entusiasmo e si sosteneva con vigoroso ardimento, ispirato coll'esempio dai patriotti G. Batt. Jonni e Ascanio Ginevri.
Per tutte le Marche il Lamoricière aveva fatto proclamare lo stato d'assedio e le scorazzava terrorizzando le popolazioni con atti feroci.
Al Cialdini, a cui il governo del Re aveva dato l'incarico di liberare le Marche da tanto flagello, era imposto il dovere di accelerare le sue mosse per cogliere il nemico disseminato e sconfiggerlo prima che avesse potuto raccogliersi.
Il mezzogiorno del 11 settembre una brigata di cavalleria e tre battaglioni di bersaglieri, divorata la via, accerchiavano la città di Pesaro.
Il Cialdini mandava un parlamentario coll'intimazione della resa, ma essendo stata questa respinta, l'artiglieria, che appena arrivata aveva preso posizione, apriva il fuoco contro porta Rimini e porta Cappuccini. Dopo un'ora di cannoneggiamento i nostri bravi bersaglieri entravano in città per le porte sfondate.
La guarnigione mercenaria erasi riparata nel forte coll'intendimento di resistere; ma il giorno di poi dopo un vivacissimo fuoco della nostra artiglieria piazzata sul colle di Loreto, inalberava bandiera bianca e si arrendeva a discrezione.
Il giorno 12 i nostri s'impadronirono di Fano e la mattina del 13 riprendevano la marcia per Ancona.
Il 14 si volle dare un po' di riposo alle truppe a Senigallia, ma, saputosi che la colonna del generale Di Curten si trovava sulle alture di S. Angelo, il bravo generale Leotardi ordinava al brigadiere Avogadro di Casanova di muovere subito ad attaccarli e questi, con due battaglioni della brigata Bergamo e coi Lancieri di Milano, verso le 2 pomeridiane assaliva il nemico vigorosamente e lo sbaragliava, facendo buon numero di prigionieri.
Nella notte del 14 il generale Cialdini veniva informato che il generale Lamoricière si dirigeva per la Valle del Chienti a marcie forzate verso Ancona con circa 4000 uomini e che era seguito, ad un giorno di distanza, dal general Pimodan colla 2a brigata di circa 5000 uomini; e gli si riferiva pure che avrebbe passata la notte del 15 a Macerata.
Da Macerata per Ancona il Lamoricière poteva percorrere tre strade; la 1a, più breve e più diretta, discende in Val di Potenza, passa questo fiume, sale a Monte Casciano e per Monte Fiore procede per Osimo e di là ad Ancona; la 2a che, dopo passato il fiume Potenza segue il versante a maestro di questa valle mette a Recanati, sale a Loreto e per la Valle di Musone va alle Crocette di Castelfidardo e ad Ancona; la 3a segue la cresta delle colline fra Potenza e Chienti, per Monte Lupone e Monte Santo sbocca alla spiaggia, varca il fiume Potenza presso la foce, viene a Porto Recanati e per Camerano va ad Ancona.
Il generale Cialdini al mattino del 16 fece occupare un'eccellente posizione fra Osimo e Jesi, spingendosi fino a Castelfidardo.
Per trarre in inganno il Lamoricière sulle sue intenzioni il Cialdini mandava nel cuore della notte del 15 uno squadrone di lancieri a Filottrano,