Dava pure ordine al 2o battaglione bersaglieri livornesi comandati dal maggiore Sgarallino di spingersi a sinistra dalla strada per S. Angelo, al 2o reggimento colonnello Borghesi, ed al 1o comandato dal tenente colonnello Fazioli, di occupare il cimitero ed una casa, per tener testa all'irrompente nemico. Tutti questi ordini rigorosamente eseguiti, malgrado il fulminare incessante del nemico, rafforzano la minacciata posizione tenuta con estremo valore dal brigadiere Malenchini e dai suoi eroici compagni. L'attacco fulmineo della brigata Assanti e dei bravi guidati da Lauger, Sprovieri, Palizzolo, Malenchini, La Porta ferma lo slancio del nemico che si riduce ad investire Santa Maria.
Mentre a destra ardeva così il combattimento a Sant'Angelo i Regi facevano i più arditi sforzi, con le più grandi masse, per sfondare la linea occupata dai nostri e irrompere su Caserta e Napoli. Il Dunn, lo Spangaro, il Simonetta, il Ferrari, il Pedotti facevano sforzi eroici per contenere ed arrestare l'impeto del nemico, ma battuti da tutti i lati dall'artiglieria dei Regi, ferito il brigadiere Dunn, morto il comandante del battaglione Ramorino, feriti i capitani Tito, Franco ed altri, sono costretti a dare indietro e a riparare dietro le barricate.
Il generale Medici comprendeva che la perdita della sua posizione sarebbe stata la perdita della battaglia e l'occupazione da parte dei Regi di Caserta e di Napoli. Bisognava vincere ad ogni costo: "Avanti figliuoli" egli grida – "moriamo tutti qui se occorre, ma vinciamo in nome d'Italia e di Garibaldi".
"Avanti tutti" egli grida – e colla risoluzione di vincere o di morire si mette alla testa dei suoi e, sorretto dalla sezione d'artiglieria comandata dal tenente Torricelli, si slancia contro il nemico affrontandone il turbine di fuoco, caricando furiosamente alla baionetta; cadeva nella brillante carica il maggior Castellazzo, il luogotenente Capanelli e molti altri, ma il nemico era fermato e obbligato a retrocedere.
Il generale Garibaldi che dalle prime ore del mattino si trovava a S. Maria, confidando interamente in Milbitz, suo vecchio compagno di Roma, cui aveva raccomandato di tener duro e impedire ad ogni costo che le comunicazioni tra S. Maria e Sant'Angelo fossero tagliate, montò in vettura e, scortato dal suo stato maggiore, da Missori, da Arrivabene, da Canzio, da Basso e da alcune guide, si mosse verso Sant'Angelo per vedere se, anche in quel campo d'azione, il combattimento era impegnato seriamente.
La strada che da S. Maria va a Sant'Angelo era fulminata; il generale Garibaldi in quel momento supremo per le sue armi nel traversarla si trovò avvolto in un nembo di morte; la carrozza tempestata da una grandine di fucilate fu involta fra un nugolo di nemici. Già le scariche avevano ucciso un cavallo ed il cocchiere, talchè Garibaldi fu costretto a balzare a terra e coi suoi difendersi; cadeva ferito, facendo scudo al generale il prode Arrivabene; il pericolo era grande; ma se ne avvidero i carabinieri genovesi comandati dal Mosto, i carabinieri lombardi comandati dal Simonetta, e il bravo capitano Romano Pratelli comandante la 7a compagnia della brigata Spangaro, i quali tutti si slanciarono con tale impeto che il nemico fu in breve sbaragliato e posto in fuga a punta di baionetta, e a Garibaldi e ai suoi fu aperta la via per Monte Sant'Angelo.
Ivi arrivato trovò Medici che alla testa dei suoi faceva eroici sforzi onde rigettare le masse borboniche e s'avvide che le sommità del Monte S. Nicola erano occupate dai nemici, i quali per strade coperte avevano delusa la vigilanza dei garibaldini e, girato Sant'Angelo, si erano portati dietro la nostra linea, occupando le alture.
Senza perdita di tempo il generale raccolse tutte le truppe che potè avere sotto mano e, preso esso stesso il comando, si avviò per stretti sentieri di montagna passando al di sopra del nemico e d'improvviso fatta una sola scarica si precipitò sui borbonici che ne rimasero schiacciati e fatti prigionieri.
Intanto altre truppe giungevano in aiuto al Medici condotte dal maggiore Farinelli, dal maggior Morici, dal Simonetta, dal colonnello Ferrari, e dal colonnello Guastalla, capo dello stato maggiore; con tutte queste forze il Medici ordinava un estremo assalto alla baionetta; questo fu condotto con tale impeto irresistibile, che i borbonici furono rotti e posti in fuga lasciando numerosi prigionieri.
Quando Garibaldi fu assicurato che a Sant'Angelo per l'eroica condotta dei combattenti potevasi ormai contare sulla vittoria, si lanciò di nuovo verso S. Maria. Mentre accorreva in quella parte ove il combattimento era aspramente impegnato, il generale Turr mandò a Garibaldi un suo ufficiale d'ordinanza, per fargli noto di avere inviata parte della riserva a S. Maria e parte in rinforzo a Bixio; e per chiedergli se credeva arrivato il momento opportuno per fare entrare in combattimento i restanti 3500; Garibaldi gli rispondeva: "marciate con tutte le forze su S. Maria, dove mi troverete".
Il generale Turr non perdette un minuto – egli teneva pronti i suoi – e presto fu a S. Maria ove trovò che Milbitz faceva eroici sforzi per ribattere gli attacchi sempre ripetuti del nemico.
Appena Garibaldi vide Turr con la riserva gli disse: "Siamo vincitori – non occorre che l'ultimo colpo decisivo".
All'istante il generale Turr ordina alla brigata Milano che aveva condotto con sè di caricare il nemico; Garibaldi seguito da Rustow coi suoi usseri si mette alla testa della brigata; tutti gli altri corpi fanno a gara per seguirlo nell'estremo cimento; Corrao, La Porta, Pace, Palizzolo, Sprovieri, Malenchini, Bassini, Tasca si slanciano in furioso attacco; il battaglione Tasca del reggimento Bassini, 1a compagnia Lepore alla testa, affronta il nemico che erasi fortemente trincerato nel Cimitero da dove seminava strage sui nostri; il primo a scalare la cinta è il valoroso furiere Pittaluga; il Pittaluga è seguito dalla 1a compagnia e dalle altre; il Cimitero è preso colla punta della baionetta e il nemico posto in fuga; molti rimangono prigionieri e il prode Pittaluga è promosso sottotenente sul campo di battaglia.
Altri si avventano contro la batteria nemica e se ne impadroniscono.
Ma non era ancora la vittoria predetta da Garibaldi!
A S. Maria ancora si combatteva accanitamente.
La compagnia La Flotte teneva fermo nella Cascina davanti S. Maria dalla mattina, da dove cinque furiosi assalti nemici non avevano potuto sloggiarla. Ma tutti erano sfiniti.
Per fortuna il capitano Adamoli dello Stato maggiore portava la notizia al generale Turr dell'arrivo della brigata Eber; si sentiva il vivissimo fuoco col quale era stata accolta la brigata Milano guidata da Garibaldi in persona, e Turr ordinava che Eber con la brigata, colla legione ungherese e con la compagnia dei cacciatori esteri, accorresse a sostegno.
Il Dittatore, sboccato sulla strada S. Angelo colla brigata Milano, era stato accolto da fuoco violentissimo sulla sua sinistra; la cavalleria borbonica si slanciava alla carica, ma i bersaglieri milanesi mandati dal Medici a sostegno e guidati dal capitano Pedotti, tennero testa con una furiosa controcarica loro e della legione ungherese e mettono in fuga, sbaragliata, la cavalleria borbonica.
Era ora di finirla; e Garibaldi manda ordine al Turr a S. Maria, a Medici a Sant'Angelo, perchè si faccia un ultimo supremo sforzo su tutta la linea; Scheiter coi suoi usseri ungheresi, Corrao, La Porta, coi loro reggimenti; Tanara, Cucchi, Tasca coi loro battaglioni si lanciano in aiuto delle truppe di Malenchini e del Bassini e tutti uniti si avventano contro il nemico con furiosa carica alla baionetta; il nemico è rotto su tutta la linea, sbandato ed in ritirata su Capua.
La giornata del 1o ottobre fu memorabile. – In quel fiero combattimento anche una volta Garibaldi dava prova di grande sapienza militare: i suoi luogotenenti Turr, Medici, Bixio, Milbitz e Dezza, si mostrarono degni di lui; i bravi garibaldini tutti, diedero prove di grandissimo valore e di abnegazione. Moltissimi furono coloro che si distinsero e fra questi i colonnelli Borghesi e Fazioli, il maggiore Pedotti, il tenente Carbone, il Tommasi, che il Malenchini promosse capitani; a fianco del Carbone combattè da valoroso il furiere maggiore Coffa che veniva promosso sottotenente e fregiato della medaglia al valore militare.
Verso le 6 pom. tutta la linea di battaglia da S. Maria alle alture di S. Angelo era abbandonata dai nemici e i garibaldini estenuati, dopo 14 ore di combattimento accanito, potevano riposarsi sul campo tanto gloriosamente difeso.
Anche da Maddaloni Bixio aveva mandata la notizia della vittoria su tutta la sua linea.
Il combattimento fu lungo ed accanitissimo. – Bixio aveva voluto dai suoi compagni nel grave cimento la promessa che sarebbero morti tutti