Poi ritornava in sè; il pensiero che indi a pochi minuti avrebbe abbracciato sua madre gli ritornava limpido nella mente, e ne sentiva, come per la prima volta, tutta la dolcezza; gli occhi gli si animavano, le labbra gli fremevano, tutti i tratti del viso gli si tramutavano dalla gioja. Un lieve sorriso, poi un sorriso aperto, poi gli veniva su un singhiozzo di riso convulso, il petto e le spalle gli si andavano alzando e abbassando come per l'affanno di una corsa; un altro singhiozzo, un altro più forte, un altro ancora, uno scoppio di pianto, e si lasciava cadere sul letto colla faccia nelle mani e soffocava contro le coltri quel misto violento di pianto e di riso, scrollando ancora la testa come se dicesse:—Povera mamma!—
—Diventi imbecille?—urlò un caporale attraversando il camerone e soffermandosi sulla soglia della porta per cui doveva uscire.
Il soldato si scosse, si rizzò in piedi, si voltò e lo guardò cogli occhi molli di lagrime e la bocca aperta a un sorriso; non aveva capito. Il caporale sparì mormorando:—Che stupido!—
Rimasto solo, stette un minuto sopra pensiero; quindi, come spinto dal sorgere improvviso d'un'idea, afferrò lo zaino appoggiato sull'asse del pane, lo trasse giù sul letto, lo aperse dopo aver gingillato un pezzo colle dita tremanti intorno alle fibbie delle cigne, vi frugò dentro in furia con ambe le mani e ne trasse frettolosamente spazzole, pettini, scatolette, cencerelli; ordinò tutte queste cose sulla coperta; afferrò una spazzola, appoggiò il piede sull'estremità d'un'asse del letto, si chinò e cominciò a lustrare a tutta forza le scarpe fermandosi tratto tratto a guardare se luccicassero per bene.—Voglio farmi pulito—diceva a se stesso facendo un viso serio serio e seguitando a dar di spazzola.—Sicuro; lustro come uno specchio voglio farmi. Voglio farmi un bel soldato, voglio piacerle.—Lustrate le scarpe, afferrò la spazzola da panni, poi il pettine, poi frugò un'altra volta nello zaino, ne trasse uno specchietto rotondo, l'aperse, si guardò.... Quando l'anima è profondamente agitata da un affetto forte e gentile, e la mente è tutta piena di pensieri e d'immagini ridenti, gli occhi e il sorriso s'improntano così della gentilezza di quell'affetto e della serenità di quei pensieri, che anche il viso men bello, in quei momenti, s'illumina d'un raggio di bellezza; ond'è che quel buon soldato, guardandosi nello specchio e vedendosi brillar l'anima sul viso, sorrise d'ingenuo compiacimento....
Si sente giù per le scale il rumore d'un passo accelerato; il soldato tende l'orecchio; il rumore s'appressa; si sente il passo nella stanza vicina; è il caporale di guardia; entra, guarda intorno, scorge il nostro buon giovane.—Di'—esclama chiamandolo a nome—c'è una donna alla porta che ti cerca.—
—Mia madre!—gridò con subito slancio il figliuolo, e prese la corsa; traversò, volando, i cameroni; si precipitò giù per le scale, divorò il cortile, si gettò nell'androne, intravvide una figura di donna, si slanciò verso di lei, essa gli aperse le braccia, egli le cadde sul seno, e tutti e due gettarono un grido. Il figliuolo posò le palme aperte sulle tempie alla mamma, gliele fe' scorrere dentro i capelli grigi, le piegò indietro la testa, la guardò, guardato, negli occhi; poi si serrò quel caro capo contro la spalla, lo coprì colle braccia e le inchiodò la bocca sui capelli, rimasti scoperti per la pezzuola caduta. La buona donna soffocava i singhiozzi contro la spalla del figlio e, strettolo attorno alla vita, gli faceva scorrere le scarne mani sul ruvido cappotto, che per lei, in quei momenti, valeva cento volte il più bel manto di re. I soldati di guardia, trattisi rispettosamente in disparte, guardavano, immobili e silenziosi, quel santo amplesso, col volto atteggiato a una commozione profonda. Io, che quel giorno era di picchetto al quartiere, stavo là presso ritto sulla porta della mia stanza, e guardavo.
—Via, rimettiti, mamma; fatti coraggio; non pianger così. Oh, Dio buono, o che c'è ragione di piangere?—andava dicendo con voce carezzevole il figliuolo, e con ambe le mani le rimetteva dietro gli orecchi i capelli che le s'erano scarmigliati e sparsi sulla fronte nell'impeto di quel primo abbraccio. La vecchia seguitava a singhiozzar forte, senza pianto e senza parola; finchè, alzati gli occhi in volto al figliuolo, sorrise, mise un respiro aperto come le fosse tolto un peso dal cuore, e mormorando:—mio figlio!—lo abbracciò un'altra volta.—Sei stanca?—domandò premurosamente il soldato svincolandosi delle sue braccia.—Un po'—rispose sorridendo la donna. E girò gli occhi attorno in cerca d'un luogo ove posare il grosso involto che avea recato con sè.—Entrate qua—diss'io spalancando la porta della mia stanza.—Oh! l'ufficiale—diss'ella volgendosi verso di me e facendomi un inchino.—Grazie, signor ufficiale.—Suo figlio restò un po' confuso.—Entrate,—io ripetei—entrate pure.—Entrarono timidamente e s'avvicinarono al tavolino; la vecchia vi posò su l'involto; io mi ritrassi in disparte.
—Fatti vedere, figliuolo; voltati indietro; lasciati guardare.—Il soldato, sorridendo, si rigirava per essere osservato da ogni parte. E la madre traendosi indietro, squadrandolo da capo a piedi, e giungendo le palme esclamava affettuosamente:—Come sei bello così!—E si sentiva ringiovanire, la poveretta; e le veniva quasi voglia di mettersegli a saltellare intorno. Gli si accostava, si riallontanava, ritornava a farsegli presso, e se lo divorava cogli occhi; gli posava le mani sulle spalle e gliele faceva scorrer giù lungo le braccia fino a prendergli le mani; gli appressava il volto al petto per guardargli i bottoni; poi, accortasi di avergli appannato coll'alito la croce del cinturino, gliela soffregava colla cocca del grembiale; finalmente, dopo averlo guardato e riguardato un pezzo, gli gettò ancora una volta le braccia al collo chiamandolo amorosamente per nome. Poi si staccò ad un tratto da lui e gli domandò sollecitamente: E la guerra?—Il figliuolo sorrise; essa ripetè:—E la guerra, dimmelo figliuolo, quando la fate la guerra?—Oh, Dio benedetto! Ma chi ha mai parlato di guerra, buona donna che sei?—Dunque non c'è la guerra?—domandò tutta contenta;—non la farete mai più, non è vero?—Mai più? Mai più non si può dire, mia cara....—Ah! dunque la fate! Dimmi la verità, figliuolo.—Oh buona donna, e che cosa vuoi che se ne sappia, noi soldati?—Ma se non lo sapete voi altri che la fate,—rispose con un accento di convinzione profonda la madre—se non lo sapete voi altri, poveri ragazzi, e chi l'ha da sapere?—
E dette queste parole, rimase immobile ad aspettare la risposta in un atteggiamento di volto e di persona così caramente curioso, con un sorriso così affettuosamente piacevole sulla bocca, e con un certo lume ineffabile negli occhi, che suo figlio, sorridendo anch'esso, rimase quasi estatico a mirarla, e gli piacque tanto in quel momento, si sentì nel cuore un nuovo e così veemente impulso verso di lei, che le fu sopra d'un salto, le strinse la testa fra le mani, gliela baciò, gliela scosse scherzevolmente come si fa ai bambini, e, posatale un'altra volta la bocca sulla fronte, mormorò sorridendo:—Povera la mia vecchierella!—
Ed io, sempre là fermo, colle spalle appoggiate al muro e le braccia incrociate sul petto, pensava:
—Ecco, quello là è un uomo che adora sua madre! Non può non essere un buon soldato, rispettoso, docile, pieno di amor proprio, e di coraggio. Sì, anche di coraggio, perchè le anime che sentono profondamente e fortemente l'amore non possono essere anime codarde. Quel soldato là, condotto sul campo, si farà ammazzare senza paura e morirà col nome di sua madre sul labbro. Insegnategli che cosa è patria, fategli capire che la patria son centomila madri e centomila famiglie come la sua, ed egli amerà la patria con entusiasmo. Ma bisogna cominciar dalla madre. Oh! se di tutti gli affetti gentili e di tutte le azioni oneste e generose di cui andiamo superbi si potesse scoprire il primo e vero germe, noi lo scopriremmo quasi sempre nel cuore di nostra madre. Quante medaglie al valor militare dovrebbero splendere sul petto, invece che ai figli, alle