La vita militare: bozzetti. Edmondo De Amicis. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Edmondo De Amicis
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066070373
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Gli si rimescolò il sangue.—Dove?—domandò un'altra volta mutandosi in volto dalla gioia; il sergente gli disse la città; era la più prossima al suo paese; pianse. La sera stessa, appena potè, scrisse a casa.

      Ecco la ragione della sua allegrezza di quella sera; quella città era a poche miglia dal suo villaggio.

      Ora, con quel ch'io seppi dappoi e quel ch'io vidi e quel ch'io non potei che immaginare o supporre, ma che può e dev'essere accaduto tal quale, voglio farvi un racconto che forse vi farà venir la voglia di dare un bacio un po' più forte del solito a vostra madre.

      Eran trascorsi due giorni da quel dell'arrivo. Il nostro soldato stava ancora ventilando il disegno di chiedere un congedo di pochi giorni per volare a casa, quand'ecco, una bella sera, nel dormentorio della compagnia, il furiere cerca di lui, e, trovatolo:—To'—gli dice porgendogli una lettera—vien di vicino.—Glie l'avea porta appena, ch'era già dissigillata e spiegata al chiarore d'una lucerna, in un cantuccio del camerone fra due mani malferme e sotto due occhi dilatati e luccicanti di due belle goccie di pianto. Lesse la lettera rapidissimamente seguendo col moto della testa il serpeggiamento dell'occhio e borbottando affollatamente le parole; lettala, la strinse fra i pugni e lasciò cadere ambe le braccia alzando i grandi occhi al cielo, e quelle due grosse goccie, dopo aver tremolato incerte sulla palpebra, caddero, gli corsero le guancie senza disfarsi, e gli si vennero a sciogliere calde calde sulle mani. La lettera era di sua madre e diceva: «Domani verrò in città, a piedi; sono quattro anni che non ti vedo! Oh, figliuolo, io non posso più stare; ho tanto bisogno di gettarti le braccia al collo!»

      Quella notte non potè chiuder occhio. Si cacciò sotto le coltri irrequieto, e non trovò posa, e non fece che scontorcersi e voltarsi ora sull'uno, ora sull'altro fianco, ora supino, ora bocconi; sempre invano, chè la coperta gli parea grave grave, e si sentiva addosso una gran caldura, un gran peso sul petto, una irrequietezza, una smania di moto, un'avidità tormentosa d'aria aperta. Afferrava ogni momento la rimboccatura della coperta e la spingeva in giù fino al ginocchio, sospirando, soffiando, chè gli pareva di giacere accanto ad una fornace. Di tratto in tratto si metteva a sedere sul letto e guardava intorno i compagni: dormivano tutti un sonno quieto e pieno, quale si suol dormire in primavera. Guardava quel po' di cielo stellato che appariva per un'angusta finestra della parete opposta, e pensava: oh, se fossi in campagna a respirare quell'aria! Guardava una lucerna posta in un angolo lontano, la quale mandava intorno una luce tremola che appariva e spariva a vicenda, e gli pareva che quella luce gli crescesse l'affanno e facesse il tempo più lungo. Poi si stendeva di nuovo nel letto e si metteva a pensare al dimani, chiudendo gli occhi e stando immobile per vedere d'addormentarsi in quel dolce pensiero; ma sempre invano. Quel dolce pensiero non gli dava pace; la persona era immobile, gli occhi erano chiusi; ma il cuore batteva batteva come gli dicesse: non dormirai, non dormirai; e dopo un po' di tempo gli era forza riaprire gli occhi, e guardare intorno da capo. E molte e lunghe ore passarono così. Finalmente la stanchezza lo vinse, il cuore tacque, la fantasia ardente si quetò. Egli dormì; sognò il dimani; sognò sua madre. Gli pareva di vedersela là, ritta accanto al suo capezzale, sorridente; gli pareva di sentirsi passare sulla fronte la sua mano, e sognava di afferrarla e posarvi le labbra su. Poi d'un tratto gli parve di essere tornato fanciullo, in casa, e gli rivennero in mente, una ad una, cento piccole scene della vita domestica dei suoi primi anni, e in quelle scene sempre sua madre in atto di confortarlo, piangente; o di difenderlo, minacciato dal padre; o di curarlo, ferito per caduta; o di assisterlo, malato; e sempre ansante di pietà e di sollecitudine, sempre amorosa, sempre madre! Poi si sognò adulto; si risovvenne del dì della partenza, il pianto materno, i lunghi e rinnovati abbracciamenti, le date e ricevute parole di addio e di conforto, e si sentì stringere il cuore proprio come quel giorno; si sentì attorno alla vita le braccia di sua madre che non voleva lasciarlo partire; tentò di sciogliersi, non potè; mise un gemito.... Era desto. Guardò attorno, pensò, si ravvide, e quello fu un momento di gioia che si può forse immaginare; ma non si potrà esprimere mai.

      Giù nel cortile della caserma scoppiò un fragoroso rullo di tamburi. Tutti balzarono dal letto. Egli si vestì in fretta e fece cogli altri le solite cose della mattina, ilare e sereno in volto; ma colla febbre addosso e col cuore violentemente agitato. Andava soffregando coi piedi il pavimento, si morsicava or l'uno or l'altro labbro, si passava e ripassava la mano sulla fronte calda calda, e chiedeva tratto tratto ai vicini che ora fosse, e si guardava ogni momento dal petto ai piedi s'era pulito e se aveva ogni cosa al suo punto. Finalmente giunse quel sospirato mezzogiorno. Sospirato, però che sua madre, partendo da casa, come era detto nella lettera, intorno alle nove del mattino, avrebbe dovuto giungere in città fra il mezzogiorno e il tocco, tenuto conto della via ch'ella aveva a percorrere e della lentezza con cui, povera vecchia, l'avrebbe percorsa. Appunto in quell'ora i soldati doveano uscir di quartiere per attendere alla scuola del bastone. Il nostro buon figliuolo, facendo valere la lettera di sua madre, ottenne la dispensa da quella scuola. I soldati uscirono; i cameroni rimasero deserti; egli salì di corsa le scale, volò al suo letto, vi si appoggiò colla mano, e stette un istante fermo, chè gli pareva non potersi reggere sulle gambe, e il petto gli ansava forte forte.

      Di lì a un poco, sedette sul letto; appuntellò i gomiti sulle ginocchia, appoggiò la faccia sulle palme, fissò gli occhi sul pavimento, e pensò:—Essa verrà. Verrà qui; proprio qui; in questa caserma. Oh Dio!—E ridendo in suoni tronchi e repressi si grattava con le mani la fronte.—Quattro anni che non la vedo! Quattro anni!—E faceva cenno colle quattro dita della mano.—Come sono stati lunghi!—E riandava colla mente le malinconie, gli scoraggiamenti e le ambasce patite.—Oh!—esclamava poi con un accento soave e tremante di amorosa pietà, giungendo le mani e scuotendo lievemente la testa cogli occhi fissi sur un punto del muro, come in atto di dire: povera mamma! e diceva infatti:—Povera mamma! E tu parti di così lontano per venirmi a vedere, e vieni sola sola, e a piedi, e fai tante ore di cammino sotto il sole, e arriverai qui in questa città così grande, in mezzo a tanta gente, senza saper dov'io mi sia, e dovrai domandare qua e là dov'è la mia caserma, e stare ancora in piedi per tanto tempo, tu, sola, vecchia, malaticcia, spossata, e forse ti perderai per le vie della città e vagherai senza saper dove e ti piangerà il cuore di non trovarmi.... Oh povera vecchia!—E seguitava a tener le mani giunte e gli occhi fissi sul muro, e andava serrando con rapida vicenda fra i denti ora un labbro ora l'altro e battendo celere celere le palpebre come per ricacciar giù il pianto ch'era in procinto di uscire. E ripeteva di tratto in tratto:—Povera vecchia!—

      Poi si passava tutt'e due le mani sul viso, scuoteva la testa, mandava un sospiro, si rizzava in piedi impetuosamente e passeggiava per la stanza col passo d'un viaggiatore frettoloso. Dopo un po' s'arrestava tutt'ad un tratto:—Sarà ora?—Correva alla finestra che dava sulla strada, si sporgeva fuori del parapetto, guardava a destra e a sinistra, una, due, tre volte:—nessuno. Gli saliva il sangue alla testa.—Pensiamo ad altro!—diceva a sè stesso; e si metteva di proposito a scacciar dalla mente l'immagine di sua madre per ingannare così il tempo dell'aspettazione penosa. Scacciar quell'immagine! Poveretto! Era impossibile; vi rinunziò.

      —Guarda, mamma,—diceva poi a viva voce scuotendo dinanzi al viso le due mani aperte, io ti voglio un bene, sai, un bene....—Guardò attorno; non c'era alcuno; proseguì:—Un bene che a questo mondo non si può volerne di più!—E lasciando cader le mani giunte sul letto, seguitava a scrollar dolcemente la testa come per significare più chiaramente coll'atto il senso delle sue ultime parole:—Non si può volerne di più.—Poi, all'improvviso, si scuoteva e:—Sarà ora?—domandavasi un'altra volta, e un'altra volta si lanciava verso la finestra, e, giuntovi presso, si fermava ad un tratto e le volgeva le spalle:—no—dicendo a sè stesso—non devi guardare. E batteva col piede il pavimento come per ripetere:—no.—Ma sorrideva, e quel sorriso voleva dire: Eh, non ci riesco! E difatti, dopo un istante, si riaffacciava alla finestra e guardava:—nessuno.

      Ritornava accanto al letto e studiava un modo di ingannare il tempo. Piegava un braccio coll'indice teso contro il mento, sorreggeva il gomito di quel braccio colla palma dell'altro, e, figgendo gli occhi sul letto e appoggiando sulla sponda un ginocchio, correva colla mente a casa, vedeva sua madre fare un involto di camicie e di fazzoletti per portarlo a lui, la vedeva pigliar comiato dai suoi, mettersi in strada; l'accompagnava cogli occhi della mente lungo la via, quella via così lunga! sotto la sferza del sole, in mezzo ai nuvoli di polvere sollevati