In mancanza del rapitore, coloro che cooperarono efficacemente al ratto sono obbligati, per quanto è possibile, a riparare interamente alla ingiustizia, sia verso la giovane, sia verso i di lei parenti.
Si domanda ciò che far deve una donna, oppressa dalla forza, affine di non peccare innanzi a Dio.
R. 1. Deve, internamente, non acconsentire al piacere venereo, qualunque sia la violenza esterna che su lei si compie: se no, peccherebbe mortalmente.
2. Ella deve difendersi con tutte le sue forze, colle mani, coi piedi, colle unghie, coi denti, o con qualunque altro strumento, in guisa però di non uccidere nè di mutilare gravemente l'aggressore, perchè la vita e i principali membri del corpo valgono in questo caso più dell'onore, che nella donna qui non è infine che soltanto materialmente offeso. Molti altri però affermano il contrario, appoggiati a ragioni esposte nelle Instituzioni della nostra teologia, t. 5, p. 392, quarta ediz.
3. Se ella spera di poter essere soccorsa, deve gridare e invocare l'opera altrui, imperocchè se ella non resiste esteriormente il più che può, parrebbe ch'essa acconsentisse. E meglio sarebbe mille volte morire, piuttosto che piegare di fronte a questo pericolo.
Una giovane, ridotta a queste strette, temendo di poter acconsentire al piacere delle sensazioni veneree, deve gridare, anche con evidente pericolo della propria vita, ed in allora ella sarà una martire della castità. Così pensano generalmente gli autori, contro il parere di pochi probabilisti.
Ma, escluso il pericolo prossimo dell'assentimento, generalmente si ritiene che la giovane non deve gridare, se gridando mette in evidente pericolo la vita e la fama, perchè la vita e la fama sono in questo caso beni d'un ordine più elevato. Ma che cotesto pericolo non esista è quasi impossibile, come disse Billuart, t. 13, pag. 368.
ARTICOLO IV.—Dell'adulterio.—«Adulterio, come indica lo stesso nome, è l'uso del talamo altrui» dice San Tommaso, 22, q. 154, art. 8. L'adulterio può essere compiuto in tre modi, cioè:
1. Fra un marito ed una donna libera;
2. Fra uno scapolo e una moglie;
3. Fra un marito e una moglie altrui.
L'adulterio, in tutti tre i casi, è un peccato speciale di lussuria, e gravissimo, come insegnano la Sacra Scrittura, i Santi Padri, la pratica della Chiesa, il consenso dei popoli e la ragione.
1. La Sacra Scrittura: Deut. 22, 23. «Se un uomo avrà giaciuto colla moglie d'altri, entrambi, cioè l'adultero e l'adultera, sieno messi a morte, e si tolga in Israel questo scandalo.» Nei precedenti versetti biblici, nei quali si tratta della semplice fornicazione, che è pure dichiarata una cosa cattiva, non si minaccia una sì grave pena. In molti altri luoghi della Scrittura mostransi i fornicatori e gli adulteri come peccatori speciali e degni di gravissime pene; v. 9, I. ai Cor. 6, 9: «Sappiatelo bene; nè i fornicatori……… nè gli adulteri……… possederanno il regno di Dio.»
2. I Santi Padri sono unanimi nell'insegnare, essere l'adulterio un grave peccato, ben distinto dagli altri peccati di lussuria.
3. Pratica ecclesiastica: La Chiesa decretando le pene canoniche, statuiva doversi esse imporre assai più gravi agli adulteri, che ai semplici fornicatori.
4. Consenso dei popoli: la storia d'ogni nazione attesta che l'adulterio fu sempre e dovunque ritenuto un grande peccato, differente dalla semplice fornicazione.
Così giudicarono i più celebri legislatori, come Solone presso i Greci, Romolo presso i Romani, e gli autori del nostro Codice penale (Francese), i quali all'art. 337 decretarono:
«La donna convinta d'adulterio subirà la pena della prigione per tre mesi, al meno, e due anni al più.» Il complice della donna subirà la stessa pena con la multa inoltre da 100 lire a 200.
Art. 324 Cod. Pen. «L'omicidio commesso dallo sposo sulla sposa, o da questa su quello, non è scusabile, se la vita dello sposo o della sposa che perpetrò l'omicidio non è stata messa in pericolo nel momento stesso in cui avvenne l'omicidio.
«Nondimeno, nel caso d'adulterio, l'omicidio commesso dallo sposo sulla sposa, come anche sul complice, nel momento in cui egli li sorprende in flagrante delitto nella abitazione coniugale, è scusabile.»
Peraltro, l'art. 326 condanna l'uccisore alla pena del carcere da uno a cinque anni.
5. Finalmente, secondo i dettami della ragione, l'adulterio, oltre la malizia annessa alla fornicazione, ne implica un'altra e ben grave, cioè, l'infrazione della fede coniugale, il turbamento portato nella famiglie, e pérciò un,enorme ingiustizia.
Ne consegue che, se un marito si accoppia con una donna libera, compiesi uno speciale e grave peccato di lussuria, ma è ben più grave se si compie da uno scapolo con una donna maritata, imperocchè qui vi ha il pericolo di introdurre dei falsi eredi nella famiglia altrui; ma è ancor molto più grave, se compiesi fra un marito e una moglie d' altri, per la ragione che questo è un doppio adulterio. Tutte queste circostanze devono dunque essere disvelate in confessione.
Si domanda se una moglie la quale, consenziente il marito, si dà ad un altro, sia rea d'adulterio.
R. Alcuni probabilisti dissero di no, o almeno sostennero non essere necessario di dichiarare al confessore la circostanza dell'adulterio. Ma si noti che Innocenzo XI condannò la seguente proposizione: «Il commercio carnale con una donna maritata, consenziente il marito, non è adulterio, perciò basta dire al confessore che si è fornicato.»
Questa decisione pontificia è basata su una ragione evidente, imperocchè il marito, per la forza stessa del contratto e per la ragione del matrimonio, ha il diritto di usare della moglie in relazione alla procreazione della prole, e non può quindi cederla, nè prestarla, nè noleggiarla ad altri senza peccare contro la natura stessa del matrimonio; il suo consenso dunque nulla toglie alla malizia dell'adulterio: precisamente come il prete, che non può validamente rinunciare al privilegio canonico che pronuncia la scomunica contro gli ingiusti percuotitori dei sacerdoti, appunto perchè tale privilegio è insito al carattere sacerdotale.
In questo caso però si ritiene che il marito abbia rinunciato alla reintegrazione a lui dovuta e alla riparazione dell'offesa. Il commercio carnale con una persona fidanzata ad un'altra, o d'una persona fidanzata con una persona libera; non è propriamente un adulterio, perchè qui non esiste violazione di talamo altrui; è però uno speciale peccato d'ingiustizia da doversi determinare in confessione, in riguardo al vincolo iniziato dalla promessa di nozze.
ARTICOLO V.—Dell'incesto.—L'incesto è il commercio carnale, nonmatrimoniale, fra consanguinei ed affini, in gradi proibiti.
Non v'ha dubbio che ai genitori è dovuto un naturale rispetto come pure alle persone che con essi hanno vincoli di consanguineità o di affinità. Per ciò l'accoppiamento illecito fra essi è doppiamente cattivo, primieramente perchè è contrario alla castità, e in secondo luogo perchè viola il rispetto dovuto a consanguinei o ad affini. Questo peccato fu sempre ritenuto come un genere speciale di lussuria, e gravissimo. Nel Levit, 20, è punito colla pena di morte. San Paolo, I, ai Corint, 5, 1, dice: «Vociferasi fra di voi fornicazione, e di tale fornicazione quale si rinviene presso i Pagani, come è quella di giacere colla moglie del proprio padre.» Ecco la ragione per cui questo genere di unioni carnali sono aborrite assai più che la semplice fornicazione.
Disputano i teologi se gli incesti sieno tutti d'una specie o no; molti opinano essere essi di specie diverse imperciocchè nell'unione carnale fra consanguinei v'ha una malizia speciale che non si rinviene nel commercio venereo fra affini. L'accoppiamento, per esempio, colla propria madre o colla propria figlia è ben diverso da l'incesto fra parenti consanguinei o affini d'altri gradi più remoti. Così Concina, t. 15, p. 282, il quale dice che questa opinione è la più comune e la più probabile.
Cionondimeno a noi sembra più probabile e più comune l'altra opinione,