Anton Giulio Barrili
Terra vergine
Romanzo colombiano
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066071585
Indice
Capitolo Primo.
In alto mare.
Quelli de' nostri lettori che mettono il venerdì tra i giorni nefasti, sono pregati a non citare tra gli esempi a conforto della loro opinione il giorno scelto, o accettato da messer Cristoforo Colombo, per dar principio al suo primo viaggio di scoperta. Diciamo la loro opinione, e non la loro superstizione; primieramente perchè non vogliamo essere scortesi con nessuno, e in secondo luogo perchè non crediamo a questa facile asseveranza moderna che gabella per superstizioni le idee di cui non può darsi una ragione. Se dunque i nostri lettori hanno di queste idee, ed amano tenersele, non saremo noi che ci proveremo a combatterle. Uomini insigni con idee di tal fatta ce ne sono stati parecchi, e ce ne saranno ancora, se Dio vuole. Il savio, che vede assumer forma di verità e grado di certezza tante cose che ieri ancora sapevano di bugia, d'invenzione, d'illusione e via discorrendo, non bolla di nomi derisorii le cose che non intende, o che gli paiono escire dalla cerchia delle verità riconosciute: per contro, [pg!2] diffida di queste ultime, non s'impegna a sostenere che saranno verità domani, come sembrano oggi.
Così ragionando, si può ammettere benissimo che ci siano dei giorni nefasti, o per tutti o per qualcheduno. Ma è permesso di credere che il venerdì, tanto calunniato, non sia tra quei giorni. Io, se debbo interrogare la mia particolare esperienza in proposito, ho il venerdì per un giorno buono. E per buono doveva averlo messer Cristoforo Colombo, che la mattina del 3 agosto 1492, essendo un venerdì, si avviava da Palos per il suo viaggio di scoperta, con tre caravelle, quasi con tre gusci di noce, e centoventi uomini d'equipaggio, tra marinai, soldati, ufficiali di bordo e sopraccarichi. Voi non ignorate che si chiamano sopraccarichi, in una nave, tutti i personaggi che ci sono imbarcati, senza avere un uffizio particolare, di comando o d'ubbidienza, nella nave anzidetta.
Ben altri pensieri, ben altri dubbi e timori occupavano lo spirito del navigatore Genovese, che il terrore della partenza in venerdì. Due di quei gusci di noce erano stati presi ed allestiti per ordine regio, come a dire per forza. E per forza erano stati imbarcati in gran parte i suoi marinai. Un primo esempio di sorda resistenza gli aveva dimostrato come egli potesse far poco assegnamento su quella marinaresca, allorquando era stato male aggiustato alla Pinta il timone, per modo che al primo colpo di mare dovesse spiccarsi dalla poppa, mettendo la caravella in istato di non più governare. Oramai si era in acqua, e bisognava navigare. Ma non poteva ancora il mal talento studiarne qualchedun'altra, per far ritornare indietro le navi? La paura è tanto ingegnosa! E l'almirante del mare Oceano ricordava a proposito che un'altra caravella mandata celatamente [pg!3] dai Portoghesi sulla rotta indicata da lui, per rubargli la gloria della scoperta, non era tornata a Lisbona per poca voglia che avesse il suo comandante di andare innanzi, ma per deliberato proposito della ciurma ribelle.
Una cosa era necessaria, perchè niente di simile accadesse a Cristoforo Colombo: che tra la sua piccola squadra navale e le famose colonne d'Ercole corressero leghe marine a parecchie centinaia. Ma come sperare che quei marinai, costretti a navigare per forza, si adattassero a fare, senza un tentativo di ribellione, parecchie centinaia di leghe? E se la ribellione ci fosse stata, e se le navi avessero dovuto dar volta, che vergogna per lui! quale impossibilità di tentare in altra occasione e con altre forze navali il viaggio! Egli, a buon conto, per non lasciare troppe armi alla resistenza della sua gente, aveva subito immaginato di non segnare sul libro di stima il numero esatto delle leghe percorse, tenendo il computo vero per sè. Ma quanti altri argomenti di rivolta alla sua autorità non avrebbe offerti la paura a quegli uomini rozzi, ignoranti, che egli aveva raccolti a furia, non scelti diligentemente tra i migliori della classe marinara?
Queste cose pensava Cristoforo Colombo; e queste cose non lo facevano lieto, non gli lasciavano gustare pienamente, come avrebbe potuto e dovuto, il gaudio onesto della sua sudata vittoria su tante contrarietà, su tanta guerra d'uomini e cose. Nè i suoi sospetti erano vani. La mattina del 6 agosto, un lunedì, terzo giorno del viaggio, la Pinta fece il segnale di non poter proseguire il cammino, avendo spezzato il timone; proprio quel timone che sulla spiaggia di Palos era stato così male aggiustato alla poppa. Gomez Rascon e Cristoval Quintero, padroni della nave, che era senza fallo la migliore [pg!4] delle tre, tornavano dunque alla riscossa con le loro alzate d'ingegno?
Del malvagio proposito non dubitava l'almirante, mentre governava verso la Pinta per recarle soccorso. Ma il vento soffiava gagliardo, il mare ruggiva, e con quel tempo era più facile investire la Pinta che accostarsi al suo bordo. Per fortuna, il comandante della nave era Martino Alonzo Pinzon, e questi non era della opinione dei padroni, in materia di parziali avarie.
—Almirante!—gridò egli dal capo di banda,—non temete di nulla. Leverò io la voglia a tutti di guastare un'altra volta il