I. IL SENSO DELLA MORTE.
Paesaggi di pace e paesaggi di guerra.
AVVERTIMENTO.
Gli scritti raccolti nel presente volume furono composti e pubblicati a parte durante la guerra. Mentre si decidevano le sorti della Patria e del mondo non era possibile distrarre la mente dalla immane tragedia, al paragone della quale ogni opera di fantasia sarebbe rimasta priva di senso. L'autore si volse alla storia per cercarvi ammaestramenti e conforti, studiò memorie di soldati, di diplomatici e di politici, e tra i libri di bella letteratura esaminò quelli che avevano per tema la grande crisi, o che indirettamente vi si potevano riferire. Le pagine che egli ne trasse ad auspicio di vittoria non sono forse indegne d'essere rilette ora che la guerra è gloriosamente finita.
31 decembre 1918.
AL ROMBO DEL CANNONE
Vigilia italica.
Il regno d'Italia è dunque in guerra ad oltranza contro l'impero d'Austria: dall'Adige all'Isonzo, dalle vette delle Prealpi tridentine agli anfratti del Carso il bombardamento imperversa, la battaglia infuria. Soldati italiani veleggiano per l'Adriatico, battaglioni di bersaglieri operano in Val Sabbia; i nomi di Gorizia, di Tolmino, di Malborghetto, di Monfalcone, di Plava, di Asiago, di Arsiero, della Val Sugana, della Vallarsa, della Valle Lagarina ricorrono nei bollettini quotidiani; Trento, Trieste, l'Istria, la Dalmazia sono oggetto della gran contesa. La Francia è col giovane Regno contro il decrepito Impero, che ha dalla sua i Prussiani e le altre genti tedesche; l'Inghilterra e la Russia.... ahimè, l'Inghilterra e la Russia non sono — non erano con noi quando una guerra simile alla presente si combatteva tra il regno d'Italia avente per metropoli Milano e per vicerè il figlio di Giuseppina di Beauharnais, e l'Austria di Francesco II.... Come oggi contro l'impero teutonico ed i suoi dipendenti, l'Europa si era allora collegata contro l'impero napoleonico ed i suoi satelliti; e il Regno Italico, trasformazione monarchica della Cisalpina, doppiamente odiato perciò, come opera iniziata dalla Rivoluzione francese e compita dall'uomo che aveva vòlto a proprio profitto quel cataclisma, non doveva, non poteva trovar grazia presso i futuri negoziatori di Vienna, preparatori della Santa Alleanza, restauratori della legittimità.
Ma proprio allora, quando alla difesa d'Italia cooperavano veri reggimenti italiani ed i primi soldati designati col nome più tardi glorioso di bersaglieri, proprio allora furono proferite la prima volta tra i popoli e nei Gabinetti le espressioni di indipendenza italiana, di unità italiana, e la storia di quei tempestosissimi giorni ha per noi un interesse profondo ed un irresistibile fascino. Un ufficiale francese studiosissimo delle imprese guerresche e degli avvenimenti politici di quel tempo, il comandante Weil, la narrò in un'opera colossale che è tornata oggi d'attualità: i cinque grossi volumi, di circa tremila pagine complessive, intitolati Le prince Eugène et Murat, dove si descrivono giorno per giorno e quasi ora per ora, con una infallibile e inesauribile documentazione, le operazioni militari dirette dal figliastro e dal cognato del gran Côrso, e si riferiscono tutti i contemporanei negoziati diplomatici svolti dalla primavera del 1813 a quella del '14, cioè fino al primo tracollo del l'impero francese ed alla definitiva rovina dei due regni italiani che gli erano infeudati.
I.
Nelle grandi linee, la campagna d'Italia del 1813-14, combattuta per la difesa del nostro paese sugli stessi campi dove si è iniziata per la sua integrazione quella del 1915, procedette sciaguratamente al contrario dell'odierna. Oggi il nostro Comando ha preso l'offensiva nell'impresa di liberazione delle Alpi Giulie; allora Eugenio di Beauharnais, possedendole dopo che Campoformio era stato corretto a Presburgo ed a Schönbrunn, doveva soltanto difenderle contro la rinnovata cupidigia austriaca; noi miriamo alle rive della Sava e della Drava, entrambe allora tenute — e perdute — dal Vicerè. L'occhio d'aquila di Napoleone aveva, fin da parecchi anni innanzi, antiveduto in quale situazione il figliastro si sarebbe trovato venendo alle prese con l'Austria e quale via avrebbe dovuto tenere per ridurla alla ragione. «Voi concentrerete il vostro esercito nel Friuli» gli aveva scritto da Parigi il 12 aprile 1809 «e disporrete una divisione alla sbocco di Pontebba per minacciare continuamente di marciare su Tarvis.... Secondo il mio calcolo, le principali forze del nemico si troveranno a Tarvis; così essendo, esso non si porterà su Gorizia, ma si accentrerà a Lubiana. Lasciate dunque sull'Isonzo una parte della cavalleria e una dozzina di migliaia di fanti ed avanzate con tutto l'esercito su Tarvis, nulla concedendo al caso. Tenete bene unite le vostre forze.» Invece Eugenio, subordinando le proprie mosse alla manovra austriaca, della quale ebbe troppo tardi notizia, abbandonava a sè stessa la sua ala sinistra per portarsi con tutte le truppe disponibili su Adelsberg e Lubiana, perdendo il vantaggio dell'iniziativa e contromandando poi la marcia, con deplorevole effetto, per procedere da Gorizia, Canale e Caporetto verso la Carinzia. Il buon successo di Feistritz parve per un momento avergli ridato il vantaggio dell'offensiva; ma poi l'inferiorità numerica, l'incapacità dei luogotenenti, la deficienza dello stato maggiore — era composto di soli sei ufficiali! — la diserzione degli Illirici e dei Dalmati, lo mettevano nella penosa necessità di retrocedere sull'Isonzo.
Nulla ancora era perduto. La linea dell'Isonzo era naturalmente designata per una strenua difesa: nove anni innanzi Napoleone aveva suggerito al figliastro: «Percorrete a cavallo le rive dell'Isonzo; sono quelle le vostre frontiere. Un giorno sarete chiamato a difenderle. Bisogna che il più piccolo sentiero e l'infima posizione siano da voi conosciute. Coteste ricognizioni sono importantissime e vi riusciranno preziose. Credo che abbiate visto quei luoghi quando eravate molto giovane, ma che non li abbiate esaminati tanto minutamente quanto occorre....» Nè la perdita dell'Isonzo