L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico. Gaetano Negri. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Gaetano Negri
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Документальная литература
Год издания: 0
isbn: 4064066071332
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dal marito che muti la destinazione del possibile pretendente, ed invece di mandarlo nel lontano Oriente dove potrebbe preparare la vendetta di Gallo, lo condanni a domicilio coatto ad Atene. Era davvero un correre incontro al desiderio di Giuliano. Il giovane entusiasta punto non si incaricava di politica imperiale, non aveva nè ambizioni di regno, nè desiderio di ricchezze e di vendette. Egli non chiedeva che di poter sprofondarsi ne' suoi studi, non aveva che una passione, quella dei libri, non aveva che un'intensa aspirazione, vedere la Grecia, la sua vera patria, ch'egli amava di intenso affetto42; la sede ancora brillante di quella coltura ellenica a cui egli aveva dedicata la sua vita.

      Giuliano non fu lasciato che pochi mesi ad Atene, [pg!40] ma questi pochi mesi hanno avuto, come lo affermano i suoi contemporanei, una grande influenza sull'animo suo. Egli teneva ancora celate le sue convinzioni religiose, ma ciò non gli impediva di infervorarsi negli studi ed anche nella conoscenza dei Misteri, che costituivano il principale atto di culto di quel simbolismo politeista di cui Giuliano voleva fare la religione del mondo. Eunapio, Socrate e Sozomene insistono tutti sull'importanza che ebbe, nella vita di Giuliano, la sua dimora in Atene. Ma i due narratori più autorevoli ed interessanti sono, come sempre, Libanio e Gregorio. Libanio dice che, presentatosi Giuliano ai professori di Atene, e offertosi ad un esperimento, si trovò che ne sapeva più dei maestri, così che «solo di tutti i giovani che accorrevano ad Atene, ne ripartiva, avendo insegnato più che imparato. Pertanto si vedevano continuamente intorno a lui degli sciami di giovani, di vecchi, di filosofi, di retori. A lui guardavano anche gli dei, ben sapendo ch'egli avrebbe risollevato il patrio culto. Quando parlava era, insieme, ammirabile e modesto, poichè, checchè dicesse, subito arrossiva. Di questa sua mansuetudine tutti godevano, e i migliori traevano profitto dai suoi insegnamenti. E il giovinetto aveva intenzione di vivere e di morire in Atene, e ciò gli pareva il colmo della felicità»43.

      Nulla di più curioso che il contrapporre a questo ritratto disegnato da Libanio il ritratto disegnato da Gregorio. Costui, che, come sappiamo, era coetaneo di Giuliano, si trovava pure ad Atene, per addestrarsi, nell'università letteraria di quella città, in quell'arte oratoria ch'egli doveva, più tardi, adoperare, [pg!41] con tanta genialità, a difesa dell'ortodossia nicena. Gregorio e Giuliano erano condiscepoli; il futuro teologo, vivendo al fianco del futuro apostata, aveva agevole occasione di scrutarne l'animo e di studiarlo in ogni sua mossa, per quanto Giuliano cercasse ancora di tener celate le tendenze e le convinzioni già in lui radicate. Nel ritratto disegnato da Gregorio è evidente l'intenzione ostile del pittore che vuol darci un'imagine odiosa. Ma, con tutto questo, a me non pare che il ritratto possa dirsi una caricatura. C'è un'espressione di verità nella figura che balza fuori dalle pagine del polemista. La vita così singolare ed agitata di Giuliano, le contraddizioni di cui è piena, la subitaneità delle sue risoluzioni, il suo eroismo disperato, la versatilità inquieta del suo ingegno, si accordano, forse, assai meglio coll'imagine turbata, enigmatica, un po' convulsa che ci presenta Gregorio che coll'imagine serena e sorridente tratteggiata da Libanio. «Io — dice Gregorio, scrivendo dopo la morte di Giuliano — aveva, già da tempo, sospettato di lui, fin da quando mi trovavo in Atene. Era egli venuto colà, poco dopo la catastrofe di suo fratello, avendone ottenuta licenza dall'imperatore. Due erano i motivi che gli facevano desiderare quel soggiorno; il primo, il lodevole, era di conoscere la Grecia e le sue scuole, l'altro, che non si diceva e che solo a pochi era noto, era di conferire segretamente coi sacerdoti e con gli impostori, poichè l'empietà non si sentiva ancor sicura del fatto suo. Fu allora appunto che io divenni un sagace indovino del carattere di lui, quantunque io non sia di coloro che hanno a ciò una naturale disposizione. Ma mi aveva fatto indovino l'anomalia del suo contegno e la singolarità delle sue distrazioni. A me parevano [pg!42] indicare nulla di buono il collo dondolante, le spalle agitate, l'occhio vagabondo, che intorno intorno guardava, e che aveva in sè qualche cosa del maniaco, il piede vacillante e che sembrava mal lo reggesse, le narici spiranti orgoglio e disprezzo, i lineamenti del volto ridicoli ed altezzosi, il riso immoderato e scoppiettante, i cenni di assenso e di diniego senza ragione, la parola che s'interrompeva ed a cui sembrava mancasse il fiato, le domande disordinate e irragionevoli, non migliori le risposte, intralciantisi le une le altre, senz'ordine di ragionamento. Ma perchè discendere a tanti particolari? Io lo vidi prima che agisse quale poi lo conobbi nell'azione. E, se fossero presenti alcuni di coloro che allora mi ascoltavano, attesterebbero senza esitanza la verità di ciò che dico. E ricorderebbero che, alla vista di quegli indizii, io esclamai: Quale mostro l'impero romano nutre nel suo seno! — Ma allora io fui chiamato ed imprecato falso profeta!»44. Che vi sia, in questa descrizione, una buona dose di esagerazione, non è dubbio. Essa contrasta troppo recisamente, non solo con quanto dice Libanio, ma, ciò che più importa, con la descrizione dell'onesto ed imparziale Ammiano. Ma, lo ripeto, vi deve essere anche qualche cosa di vero. La figura di Giuliano qui è vivente. Se non che, Gregorio vuol vedere le manifestazioni di un mattoide in ciò che altro non era se non il contegno sospettoso di un uomo che doveva gelosamente celare i suoi sentimenti, di un uomo che si sapeva circondato da nemici, di un uomo in cui la prudenza, consigliata dalla ragione, si trovava in lotta costante con l'audacia naturale [pg!43] dell'anima. Ma come è drammatico ed interessante l'incontro, nella scuola di Atene, di questi due giovani, destinati a diventare terribilmente nemici l'uno dell'altro, e che già si spiavano a vicenda con quell'acume che dà l'odio istintivo. Se Gregorio fu singolarmente sagace, Giuliano, al quale la già lunga esperienza della sua vita tribolata acuiva la prontezza dell'ingegno, non lo sarà stato meno del suo condiscepolo, e, certo, avrà presentito in Gregorio uno dei futuri difensori del Cristianesimo. Il suo contegno inquieto, tutto a scatti ed a mosse incoerenti, era probabilmente, almeno in parte, un artifizio per nascondere agli occhi scrutatori del compagno il segreto della sua anima di ellenista fervente, i suoi propositi e le sue speranze.

      ❦

      Mentre Giuliano studiava ad Atene, maturavano per lui inaspettati destini. Una congiura militare, supposta, più che scoperta, a Sirmio, in Pannonia45, la rivolta di Silvano nella Gallia, domata con la proditoria uccisione di Silvano stesso46, e le continue devastazioni perpetrate dai Germani nella Gallia indifesa, avevano spaventato Costanzo. Ondeggiante fra il sospetto e la fiducia, stiracchiato fra diversi consigli, spinto finalmente dalla grandezza del pericolo, e, certamente, premuto da Eusebia, l'imperatore chiamò a Milano il cugino Giuliano47. Con quanto dolore lo studente [pg!44] abbandonasse Atene, ce lo narra egli stesso nel suo manifesto agli Ateniesi. «Quale torrente di lagrime io versassi e quanti gemiti, tendendo le mani verso l'Acropoli vostra, e pregando Minerva di salvare il supplice e di non abbandonarlo, lo possono attestare molti di voi che l'hanno veduto, e più di tutti la stessa dea a cui io chiedeva di farmi morire in Atene, prima che partissi. Ma la dea mostrò col fatto di non voler tradire il suo devoto, poichè mi fu sempre guida e mi circondò di custodi, chiamando degli angeli dal Sole e dalla Luna»48.

      Giunto a Milano, si ferma in un sobborgo, e non vuole entrare nella Corte imperiale, malgrado le insistenze dei cortigiani che, presaghi della sua prossima fortuna, gli stavano al fianco, e lo costringevano a meglio curare le vesti ed il contegno, così da trasformare lo studente di filosofia in un soldato ed in uomo di corte49. Eusebia, intanto, cercava, con mezzi ripetuti, di infondergli coraggio e confidenza in lei. Egli vorrebbe, invece, persuaderla a rimandarlo da Milano, e le scrive una lettera, anzi una supplica, che finiva così: «Possa tu aver figli, eredi dell'impero, possa dio concederti tutto quanto desideri, ma rimandami a casa più presto che puoi»50. Poi riflette a ciò che sta per fare, teme di compromettersi, inviando a Corte una lettera per la moglie dell'imperatore. Nel silenzio della notte prega gli dei di rivelargli ciò che deve fare, e gli dei gli annunciano che, se manda quella lettera, è un [pg!45] uomo morto. Allora Giuliano fa a sè stesso un ragionamento che a lui pare tanto persuasivo, da riprodurlo intieramente nel manifesto agli Ateniesi. «Io penso di oppormi agli dei, e pretendo di giudicare di ciò che devo fare meglio di coloro che sanno tutto. Eppure, la saggezza umana, applicata alle cose presenti, non riesce che a stento ad evitar gli errori... ma la saggezza divina va all'infinito e, tutto vedendo, insegna la via diretta e agisce pel meglio. Gli dei sono gli autori di ogni cosa ed attuale e futura. È, dunque, naturale che essi conoscano il presente. E tosto mi avvidi che ragionavo meglio di prima. E pensando ai nostri doveri, soggiunsi: Tu ti sdegneresti, se qualcuno degli esseri che tu possiedi ti privasse del suo servizio, o chiamato se ne fuggisse via, fosse anche un cavallo, una pecora,