Spasimo. Federico De Roberto. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Federico De Roberto
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066072346
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dico che, volendo e non potendo amarvi, o non potendo amarvi se non a costo del proprio rispetto, questa donna non trovò nell'amor vostro il conforto da voi asserito; al contrario: esso fu per lei l'estremo dolore e la definitiva ragione di lasciare la vita!

      Il giovane, come se non avesse dapprima compreso, o avesse voluto dubitare d'aver compreso male, ora guardava il suo interrogatore con occhio spaurito, e da tutto il suo atteggiamento, dalle labbra dischiuse, dal breve e precipitato respiro, dal trepido gesto col quale sollevava il braccio ed appressava la mano al petto, pareva che si fosse sentito improvvisamente trafiggere da una punta acutissima.

      —-Io?… Io?… Voi dite, per causa mia?… L'ho uccisa io?… Oh!

      E nascosta la faccia tra le mani soffocò un grido di dolore inumano.

      Il Ferpierre fu costretto al silenzio non tanto dalla discrezione quanto da un insolito turbamento. Egli era venuto ad istruire un processo, ed assisteva frattanto ad un dramma. Lo spettacolo delle passioni gli era abituale, ma il caso lo metteva ora di fronte a un'anima cui lo legavano i ricordi della giovinezza improvvisamente destati. Chi gli stava dinanzi non era soltanto l'antico compagno col quale aveva altra volta discusso, ma anche uno del più chiari ingegni del suo tempo. La natura di quell'ingegno non gli aveva ispirato simpatia; ma, se pure egli non avesse ora scoperto che l'uomo somigliava poco allo scrittore, la stessa rivalità intellettuale lo disturbava, lo toglieva all'ordinaria indifferenza, alla necessaria serenità. E la stessa vista di quel dolore lo commoveva, mentre egli aveva bisogno di tutta la lucidezza del proprio spirito per accertare l'accusa.

      Se il giovane gemeva al dubbio d'essere stato egli medesimo causa involontaria del suicidio della contessa, bisognava credere che questo dubbio non solamente non fosse inverisimile, ma che anzi lo addolorasse come un rimorso. Nonostante, il giudice non voleva attribuirgli ancora troppo valore. Mancando le prove materiali, non si poteva fare assegnamento se non sopra mere induzioni: ora tra l'affermazione del Vérod, che la contessa non aveva potuto darsi la morte mentre la luce d'una nuova affezione rischiarava la tenebrosa sua vita, e il sospetto contrario, che la stessa impossibilità di obbedire a questo sentimento le avesse rivelato l'insanabile miseria della propria esistenza, quale meritava più credito?

      Avvezzo a esercitare le sue facoltà d'analisi in casi molto dubbii ed oscuri, il giudice non s'era ancora trovato maggiormente esitante. Nondimeno, invece di discutere tra sè le varie ipotesi, egli faceva di tutto per distrarsi, per impedire che una di queste, a sua propria insaputa, mettesse radici e gli contendesse l'esatta percezione del vero. Egli sapeva che la vegetazione delle idee è molto più rapida di quelle di certe piante che in breve stendono attorno folte chiome frondose; e che la vita delle opinioni, quantunque sembri dipendere dalla volontà e cessare sotto l'influenza delle opinioni contrarie, pure è tenacissima e talvolta resiste agli sforzi più gravi.

      Anche il Vérod, che pareva tanto confuso ed abbattuto, fu ben tosto sollevato da una vivace reazione.

      —No!…—disse a un tratto, rialzando il capo e scrollandolo in atto di chi si ricrede.—No!… Non è possibile!… Non può essere vero!… Se fosse morta per me non m'avrebbe ella detto, non m'avrebbe lasciato una parola, la parola del suo dolore, un saluto, un addio?… Pur ieri io le parlai, e nulla, nulla potè farmi sospettare il pensiero di morte: al contrario!… No!—ripetè, affermando la voce secondo che il suo convincimento si veniva afforzando:—No! Non si è uccisa! È stata assassinata!… Voi non credete perchè non sapete, perchè non la conosceste!… Voi avete bisogno di toccare con mano per credere. Io sono certo invece che un infame delitto è stato qui oggi commesso. Io prendo impegno di confondere gli assassini, di vendicare la morta. Il dover vostro è di non credere nulla, per ora; di indagare, di aiutarmi a cercare le prove che mancano. Esistono: le troverò!

      —Tanto meglio!—rispose il Ferpierre.—Voi potete anche essere certo che le cercherò, che le cerco anch'io!…

      E, prima d'esser persuaso dalla forza di quella fede, lo congedò e diede ordine che introducessero la giovane sconosciuta.

      —Il vostro nome?—le domandò.

      —Alessandra Paskovna Natzichev.

      —Nata a?…

      —Cracovia.

      —Quanti anni?

      —Ventidue.

      —Che professione?

      —Studente di medicina.

      —Il domicilio?

      —Zurigo.

      Ella rispondeva con voce breve e secca, quasi insofferente delle domande.

      —Come vi trovate in questa casa?

      —Venni a parlare con Alessio Petrovich.

      —A parlare di che?

      —Di cose che non riguardano la giustizia.

      —O che la riguardano molto?

      La donna non rispose.

      —Siete sua correligionaria?

      —Sì.

      —Venivate a parlargli di affari politici?

      Nuovo silenzio.

      Il giudice, rimasto ad aspettare un poco la risposta, riprese con tono pacato:

      —Vi avverto che le reticenze potrebbero anche nuocervi. Avete udito di che cosa siete accusata?

      Ella alzò le spalle in atto di noncuranza sdegnosa.

      —Chi accusate? Me, o Alessio Petrovich, o entrambi?

      —Mi pare che adesso vogliate invertire le parti! Tocca a voi di rispondere. Siete soltanto correligionaria del principe?

      —Non comprendo.

      —Siete anche sua amante?

      Ella guardò l'inquisitore con espressione quasi irosa, avvampando, senza dir nulla.

      —Non volete rispondere neanche ora? Vi farò un'altra domanda. Dove eravate nel momento che quella donna moriva?

      —Nello scrittoio del principe.

      —Dove era egli?

      —Con me.

      —Conoscevate la morta?

      —Non parlai mai con lei.

      —Oggi la vedeste?

      —No.

      —Sapevate che viveva da anni insieme col vostro amico, che lo amava, che si amavano?

      Il giudice, prolungando quella domanda sulla quale faceva assegnamento per leggere nell'anima di lei, non le toglieva gli occhi dagli occhi; ma ella rispose, impassibile:

      —Sì.

      —Sapevate se erano gelosi l'uno dell'altra?

      —Non so.

      —V'accorgeste che dopo essersi amati furono per lungo tempo discordi?

      —No.

      —Quando udiste il colpo che cosa faceste?

      —Accorsi.

      Il Ferpierre fu un poco insospettito da quella risposta. Se fosse stato vero che ella era col principe, non avrebbe dovuto rispondere: «Accorremmo?»

      —Sola?—continuò a domandare.

      —Con lui.

      —Era già morta?

      —Spirava.

      —Perchè si sarebbe uccisa?

      —Non so.

      —Che disse il principe?

      —Pianse.

      —Quante volte siete venuta in questa casa?

      —Due