Gianni si affaccendava ora a trovare per Cencio una stanza qualsiasi d'affitto in vista dello studio di Manlio. Il che gli venne fatto facilmente. In quella parte della capitale del mondo l'affluenza delle genti non è mai strabocchevole, poiché i preti, che curano tanto per sé il bene materiale, non pensano, rispetto agli altri, che al bene spirituale. Ora il secolo è un po' positivo, bada al tanto per cento più che alla gloria del paradiso, ed è per questo che Roma, per mancanza d'industria e commerci rimane squallida e scarsa d'abitatori(7)
(7) Roma ch'ebbe in passato due milioni di abitanti, ne conta ora appena 210 mila.
Gianni adunque dopo di avere preso a fitto una stanza, come dicemmo, se ne tornava a casa cantarellando e colla coscienza tutt'altro che aggravata, sicuro com'era dell'assoluzione che i preti non negano mai alle ribalderie commesse in servizio loro.
CAPITOLO II
ATTILIO
Di faccia allo studio di Manlio ve n'era un altro, quello dove lavorava Attilio. Dalle sue finestre questi aveva potuto vedere la Clelia; appunto così s'era acceso per lei di altissimo affetto.
Clelia vinceva di beltà le più leggiadre donzelle di Roma, e forse era altera e non vaga di amori, ma quando occhio di donna s'era fiso per una volta sola nell'occhio del nostro Attilio ed aveva osservato la sua bella persona, per duro e cinto di triplice acciaio che fosse il cuore di lei, doveva commuoversi di ammirazione e di simpatia.
Un lampo dell'occhio scambiatosi da que' due era bastato a fissare il loro destino per tutta la vita.
Ora Attilio, avendo il suo santuario davanti allo studio ov'egli passava quasi intera la giornata, molte volte fissava lo sguardo ad una finestra del primo piano ove Clelia lavorava colla madre, e donde la luce elettrica dell'occhio suo incontravasi quasi di concerto con quella del suo prediletto.
Attilio quella sera aveva osservato il barcheggiare dello scherano, lo aveva riconosciuto per manutengolo di qualche pezzo grosso, e l'occhio suo penetrante, dallo indietreggiare, dalla titubanza e dall'irresoluto contegno di lui, istintivamente aveva augurato(8) male per la sorte della bella fanciulla. Imperocché i pochi eletti della popolazione romana sanno ciò che si possa aspettare dai settantadue(9) tanto più corrotti e lascivi quanto più son ricchi e potenti non mirano alla bellezza ed all'innocenza che per profanarle.
(8) Preveduto (N.d.C.) (9) I 72 Cardinali son chiamati cosi dal popolo di Roma
Non aveva Gianni fatto ancora cento passi all'ingiù verso la Lungara che il nostro amico già si trovava sulle sue peste seguendolo con aria sbadata come chi nulla avendo da fare si ferma a contemplare tutte le curosità che scopre sul davanti delle botteghe e sui frontespizi dei templi e dei monumenti, di cui ad ogni passo è ornata la meravigliosa metropoli del mondo.
E lo seguiva Attilio col presentimento di seguire un ribaldo, uno stromento d'infamia la cui meta fosse quella di rovinare la sua donna. Lo seguiva, Attilio, tastando il manico di un pugnale che teneva nascosto in seno.
Vedi presentimento! L'aspetto di uno sconosciuto veduto per la prima volta e per un solo istante, di uno sconosciuto volgare, aveva svegliato in quell'anima di fuoco una sete di sangue, in cui si sarebbe bagnato con voluttà da cannibale.
E ritastava il pugnale: arma proibita, arma italiana che lo straniero condanna, come se la baionetta o la scimitarra bagnate da lui tante volte nel sangue innocente, siano armi più nobili d'un pugnale immerso nel petto d'un assassino o confitto in quello d'un tiranno.
Gianni fu veduto da Attilio entrare nella casa ov'egli contrattava la stanza per Cencio, e quindi fu visto avviarsi e penetrare nel vestibolo del superbo palazzo Corsini, ove abitava il suo padrone.
"È dunque Don Procopio l'uomo" disse tra se il nostro eroe, Don Procopio il favorito ed il più dissoluto della caterva dei masnadieri principi di Roma; e andò innanzi immerso nelle sue riflessioni.
CAPITOLO III
LA CONGIURA
Privilegio dello schiavo è la congiura e pochi sono gli italiani di tutte le epoche del servaggio del loro paese i quali non abbiano congiurato. E poiché il dispotismo dei preti è il più esoso di tutti, il più degradante ed infame, si può tenere per certo che il cospirar dei Romani dati dal dominio di questi impostori.
La notte dell'8 febbraio era in Roma notte di congiura. Convegno il
Colosseo; perciò Attilio dopo aver pedinato quel messo di delitti che
si chiamava il Gianni, anzi che avviarsi alla sua casa prese la via di
Campo Vaccino(10).
(10) Antico foro Romano. Che trasformazione d'un nome sì glorioso!
Era oscura la notte e nuvoloni neri neri si addensavano sulla città santa spinti da violento scirocco: il mendico di Roma avvolto nel suo mantello cencioso cerca ripararsi in qualche aristocratico portone, o sotto il peristilio di qualche chiesa; il prete servito dall'inseparabile Perpetua sta invece rifocillandosi a lauta mensa e si prepara a delizioso riposo, di vivande ripieno e di vini prelibati.
Là nel fondo dell'antico Foro sorge il maestoso gigante delle ruine, tetro, imponente, segnando a questa generazione di schiavi cento passate generazioni e ricordando ai Romani che la loro Roma, sconquassata dal tempo e dalla vendetta delle già oppresse nazioni crollò, non cadde.
Lo straniero suole visitare il Colosseo a lume di luna. Ma bisogna vederlo in una oscura notte di tempesta, illuminato dal lampo, scosso dalla folgore e pieno di cupi e strani rimbombi.
Tale era la notte dell'8 febbraio, quando i congiurati ad uno ad uno per diverse vie si avvicinavano all'anfiteatro dei gladiatori e delle fiere, avvolti in ampi mantelli che nella luce incerta parevano toghe. È privilegio oggi de' mendichi soltanto quello di andare per le vie di Roma coperti dal tradizionale mantello in guisa da parere togati; e forse non pochi mendichi v'erano tra que' generosi, perché sulla terra dei Bruti spesso si nasconde sotto cenci l'animo virile di un gladiatore pronto a gittare la sua vita nell'arena, ove si contende la liberazione de' popoli.
Tra le mille loggie ove soleva adunarsi il popolo-re, ve ne eran varie più spaziose delle altre, forse in antico destinate agli imperanti, alla corte, ai grandi. Il tempo le avea ridotte ad una sola. Non seggioloni, non arazzi adornavano il recinto. (E che importavano gli adornamenti a coloro che s'eran sacrati alla morte?). Le macerie eran per loro pareti, tribune, sedili.
Al fioco lume di una lanterna sorda di cui eran muniti i congiurati si vedevano ascendere per diverse vie quei coraggiosi propugnatori della libertà romana e giunti nel loggione (tale era il nome dato da loro al recinto) ognuno vi prendeva posto senz'altra cerimonia che una stretta di mano tra i vicini, poiché tutti eran conoscenti ed amici.
Quando quasi tutti furono al loro posto una voce sonora si udì nel recinto che gridò: "Le sentinelle sono a posto?" Un'altra voce dall'altro estremo rispose: "A posto". Allora il lume di una torcia accanto alla prima voce illuminò centinaia di fisonomie simpatiche di giovani quasi tutti al disotto dei trenta, ed altre torcie si accesero qua e là per vincere l'oscurità della notte.
I preti non mancan di spie e spie famose sono i preti stessi, onde ad alcuno sembrerà strano che una massa di congiurati potesse riunirsi impunemente in Roma. Ma bisogna riflettere che nella santa città vi sono deserti e che il Campo Vaccino, principale di quei deserti, racchiude tante rovine quante forse