—Oh, signor Aminta, buon giorno!—disse il mugnaio, andandogli incontro, con atto rispettoso.
—Buon giorno, Gasparino!—rispose quell'altro.—E il grano?
—Per domani, signor Aminta.
—Come? Ancora domani?
—Che vuole? Era tanto! Venga a vedere e si persuaderà.—
Il cacciatore entrò nel mulino, seguendo il mugnaio, e il conte Gino non lo vide più ricomparire nella sala. Stava per finire la minestra, quando il mugnaio ritornò presso di lui.
—Ebbene,—gli disse Gino,—avete pensato alla cavalcatura e alla guida?
—Sissignore,—rispose il mugnaio,—e siamo abbastanza fortunati, perchè il signor Aminta ci pensa egli.
—Chi è il signor Aminta?
—Quel giovane cacciatore che ha veduto poco fa.
—Che, forse dà cavalli a nolo?
—Nossignore, non ne ha bisogno. È il figlio del re della montagna.—
Gino credette lì per lì che il mugnaio gli raccontasse una favola da bambini.
—Caspita!—esclamò.—C'è un re della montagna, qui? E vive nei dominî di un semplice duca?
—Sicuro;—rispose il mugnaio, sorridendo alla celia.—I Guerri si chiamano così, nel nostro paese, tanto son ricchi. Tutto ciò ch'Ella vede dal monte Cimone all'alpe di San Pellegrino appartiene ai Guerri.
—Ah, capisco;—disse Gino.—Perciò li chiamate i re della montagna. E come mai il figlio del re, senza che io abbia avuto l'onore di essergli presentato, si degna di mandarmi una mula e una guida per Querciola?
—Gli ho detto che Vossignoria doveva andare lassù, e il signor Aminta s'è offerto a servirla. Quanto alla presentazione, non ce n'è proprio bisogno. In questi paesi ogni forastiero che arriva è un ospite dei Guerri. La conoscenza, poi, la faranno per istrada.
—Bene!—conchiuse Gino.—Seguitiamo gli usi di questo paese. E datemi le uova, frattanto; non vorrei far troppo aspettare il figlio del re.
—No, scusi;—replicò il mugnaio:—non le posso dar altro. Il signor
Aminta se l'avrebbe a male.
—Perchè? Non devo dunque mangiar altro?
—Per ora no, se non le dispiace. Il signor Aminta è escito per mandare l'avviso a casa sua, dov'Ella troverà assai meglio di quello che può offrirle la nostra cucina.
—Oh diamine! È grossa. Eccomi dunque invitato per forza.
—Qui è l'uso, quando passa un forastiero sul territorio dei Guerri.
—Ma qui, scusate, sono in paese abitato.
—Ha ragione; ma il mulino appartiene ai Guerri.
—Ed io mi trovo sul territorio del re, non è vero?—disse Gino, ridendo.—Ma sapete che è un uso piacevolissimo, e che tutti i re dovrebbero introdurlo nei loro Stati? Ottima istituzione, questi re della montagna! Passa un forastiero, in queste gole, e lo invitano a pranzo. Una volta si usava altrimenti; il forastiero, che si arrisicava in questi passi, era invitato bensì, ma a buttarsi con la faccia a terra, e lo svaligiavano senza misericordia. A proposito, e le mie valigie?…
—Le ha fatte prendere il signor Aminta.
—E per che farne, di grazia?
—Per mandarle a casa sua.
—Di bene in meglio!—esclamò Gino, che non sapeva se dovesse ridere, o andare in collera.
Ma perchè andare in collera, poi? Era venuto a cascare nei dominii d'un re, e quel re non somigliava punto al duca di Modena, suo riverito padrone. Questi lo discacciava, quell'altro lo accoglieva. In una cosa sola si manifestava una specie di analogia tra loro; ambedue facevano quel che volevano, senza consultare l'intenzione dei sudditi.
—Io, per altro,—soggiunse Gino, come ultimo atto di protesta,—debbo andare a Querciola.
—Che ci vuol fare, a Querciola?—disse il mugnaio, crollando le spalle.—È un paesaccio.
—Sia quel che gli pare; debbo andarci e ci andrò;—rispose
Gino.—Mettete che io abbia da farci degli studi.
—In questo caso potrà sempre inerpicarsi lassù ed arrivarci in un'ora di cammino. Ma, come abitazione, si troverà meglio dai Guerri.
—Dai Guerri? Chi sono i Guerri?
—Gliel ho detto poc'anzi: la famiglia del….
—Ah sì, lo ricordo ora, del signor Aminta. Ed anche non ricordandolo, dovevo immaginarmelo.
—Hanno un alloggio molto comodo;—rispose il mugnaio.
—Lo capisco;—disse Gino.—Sarà una reggia, se i padroni sono i re della montagna. E voi mi dite che in un'ora si può andare a Querciola?
—Dalle Vaie, sicuro.
—Le Vaie! Che cosa sono le Vaie?
—Il luogo di abitazione dei….
—Basta, ho capito anche questo;—interruppe Gino, ridendo.—Caro amico, vi ringrazio delle vostre informazioni, che finiscono tutte ad un modo, come i salmi. Non mi resta ora che di pagarvi il conto.
—Perdoni, signor mio;—disse il mugnaio, schermendosi.
—Come? Non si usa pagare il conto, alla vostra osteria?
—Si usa, sì; ma in questo caso…. Ella non ha mangiato che una cattiva minestra…. E poi, il signor Aminta non permetterebbe.
—Ah, per tutti i… re della montagna, ed anche della pianura, questa è grossa davvero. E se io volessi darvi uno scudo….
—Quando Vossignoria lo volesse ad ogni costo…—rispose l'altro, facendo bocca da ridere.
—Ah, finalmente!—gridò Gino, mettendo mano alla borsa.—Ne vinco una io, sul vostro signor Aminta.—
Pagato a quel modo lo scotto, il conte Gino escì dall'osteria, per avviarsi sulla strada che avevano già presa le sue valigie. Quasi sarebbe inutile il dire che lo guidava il mugnaio, poichè egli, ignaro affatto dei luoghi, non avrebbe saputo da qual parte voltarsi.
Passarono sopra un ponte di legno il ruscello che forniva l'acqua al mulino, e di là presero a salire un sentiero largo e sassoso in mezzo ad una boscaglia di cerri, rada nei tronchi, che apparivano grossi e diritti, ma folta in alto, per la diffusione dei rami.
I cerri sono le quercie delle alte convalli, dove il freddo regna più a lungo. Robusti e previdenti, hanno la corteccia più fitta, e le loro ghiande portano il cappuccio lanoso.
Il conte Gino aveva fatto appena un cento metri di strada, quando attraverso i radi tronchi dei cerri vide discendere dall'erta uomini e cavalli.
—To'!—diss'egli.—Una cavalcata. Com'è pittoresca!
—È il signor Aminta che ci viene incontro;—rispose il mugnaio.
—Sempre Aminta!—gridò il conte Gino.—Caro mio, Torquato Tasso dovrà esservi molto riconoscente.
—Chi è questo signore?—domandò candidamente il mugnaio.
—Il padre di Aminta;—rispose Gino.
—Scusi,—replicò quell'altro, sicuro