Anton Giulio Barrili
La montanara
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066072070
Indice
MILANO. FRATELLI TREVES, EDITORI
DEL MEDESIMO AUTORE:
Capitan Dodero (1865). Settima edizione L. 2 — Santa Cecilia (1866). Quarta edizione » 2 — I Rossi e i Neri (1870). Seconda edizione » 6 — Il libro nero (1871). Quarta edizione » 2 — Le confessioni di Fra Gualberto (1873). Seconda edizione » 3 — Val d'Olivi (1873). Terza edizione » 2 — Semiramide, racconto babilonese (1873). Terza edizione. » 3 50 La legge Oppia, commedia (1874) » 1 — La notte del commendatore (1875). Seconda edizione » 4 — Castel Gavone (1875). Seconda edizione » 2 50 Come un sogno (1875) Sesta edizione » 3 50 Cuor di ferro e cuor d'oro (1877). Terza edizione » 3 50 Tizio Caio Sempronio (1877) Seconda edizione » 3 — L'olmo e l'edera (1877). Ottava edizione » 3 50 Diana degli Embriaci (1877) Seconda edizione » 3 — La conquista d'Alessandro (1879). Seconda edizione » 4 — Il tesoro di Golconda (1879) Seconda edizione » 3 50 La donna di picche (1880). Seconda edizione » 4 — L'undecimo Comandamento (1881). Seconda edizione » 3 — Il ritratto del diavolo (1882) Seconda edizione » 3 — Il biancospino (1882) » 4 — L'anello di Salomone (1883) » 3 50 O tutto o nulla (1883) » 3 50 Fior di Mughetto (1883). Quarta edizione » 3 50 Dalla Rupe (1884) » 3 50 Il conte Rosso (1884). Seconda edizione » 3 50 Amori alla macchia (1884) » 3 50 Monsù Tomè (1885) » 3 50 Il lettore della principessa (1885) » 4 — Lutezia (1878). Seconda edizione » 2 — Victor Hugo, discorso (1885) » 2 50
IN PREPARAZIONE
Arrigo il Savio.
Il giudizio di Dio.
Il merlo bianco.
LA MONTANARA
RACCONTO DI ANTON GIULIO BARRILI
MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI
1886.
Tip. Fratelli Treves.
LA MONTANARA
Capitolo Primo.
Mandato a confine.
«Illustrissimo Signor Conte,
«Con grave rincrescimento, ma non senza il conforto di vedere evitato un male più grande, annunzio alla Signoria Vostra Illustrissima come il governo di Sua Altezza Serenissima abbia posto gli occhi sui diportamenti del signor conte Gino, di Lei figlio primogenito. Le sue relazioni con persone indegne e non convenienti al suo grado, i viaggi frequenti, uno dei quali fu protratto, come consta a questo ufficio, ben oltre i confini dei prossimi Stati di Parma e Piacenza, e finalmente lo scandaloso episodio della scorsa domenica, nella villa dove il predetto conte Gino di Lei figlio ha osato trarre da un mazzo di fiori sconvenientissime allusioni alla bandiera piemontese, hanno costretto il governo di S. A. S. ad uscire da quei riguardi che il cuore paterno del nostro augusto Signore avrebbe pur voluto osservare.
«La severità delle disposizioni sarebbe stata più grande e meglio proporzionata alla gravità dei trascorsi, se all'animo della prefata Altezza Sua non fosse piaciuto di temperare i proprii e giusti rigori, pensando ai meriti della S. V. Ill.ma, e ricordando com'Ella, da leale e fedelissimo suddito, anche in tempi più sciolti, quali furono quelli dell'infausto 1848, ricusasse costantemente di riconoscere il sedicente governo dei rivoltosi. Egli è per ciò che la prefata Altezza si è degnata di comandare che il conte Gino Malatesti vada a confine a Querciuola, e più non ne esca fino a nuovo ordine, come correzione sua, se è possibile, e come esempio salutare ad altri nobili, che potessero derogare siffattamente al grado loro, e venir meno in tal guisa alla benevolenza del Padrone, da dimenticare in qualche modo il loro obbligo di fedeltà.
«La differenza fra il trattamento usato al predetto suo figlio e quello che toccherà agli altri suoi complici, dimostrerà alla S. V. Ill.ma quanta clemenza alberghi nell'animo del nostro venerato Signore. Disponga Ella pertanto, appena ricevuta questa confidenzialissima lettera, che il figlio suo conte Gino, senza indugio di ore, senza tentar di comunicare con altre persone, o di presenza, o per lettere, sia avviato alla sua destinazione. Non le nascondo che questo ufficio dovrà vegliare dal canto suo all'adempimento rigoroso dell'ordine e delle sue modalità, quali ho avuto l'onore di significarle.
«Colgo l'occasione, illustrissimo signor Conte, per rassegnarle gli atti della mia servitù, ecc., ecc.»
Così il direttore di polizia del duca di Modena, in un giorno del 1857, che non occorre di precisare. La lettera era diretta al conte Jacopo Malatesti.
Il conta Jacopo era un fedel servitore del duca. La madre sua, una Lanzoni, era stata dama d'onore di Maria Beatrice d'Este, ultimo rampollo delle famiglie Cibo ed Estense. Il padre era morto ciambellano del duca Francesco IV. Egli, poi, si era diportato stupendamente nel 1848, poichè aveva voluto accompagnare fino alla frontiera il suo buon padrone Francesco V, quando questi, costretto ad abbandonare la sua residenza ducale, era corso a ricoverarsi sotto le grandi ali dell'aquila austriaca. Ragioni domestiche, prima tra le quali la cura del suo patrimonio, non gli avevano consentito di andare più in là, fino a Vienna; ma, anche ritornato in patria, il conte Jacopo aveva dato un insigne esempio di fedeltà al suo padrone, poichè si era chiuso nel suo palazzo, tenendone chiuse le finestre e le persiane verso la strada, fino a tanto durò la baldoria dei liberali. «Baldoria» era il termine usato da lui. Il palazzo dei Malatesti sorgeva sulla strada maggiore della città; le occasioni di ostentare la chiusura delle finestre erano molte, e per conseguenza erano anche molte quelle di far perdere la pazienza ai liberali. Ma nessuno lo aveva molestato; si era riso alla prima circostanza, si seguitò a ridere per le altre; e voi lo sapete, quando un popolo ride, è un popolo che non rompe i vetri a nessuno. Il conte Jacopo raccolse i benefizi di quelle risate, e potè vantarsi più tardi che i ribelli non avessero osato. Nell'aprile del 1849, prostrate sui campi di Novara le fortune d'Italia, Francesco V era ritornato tra i frementi suoi sudditi, ma con le baionette austriache al fianco, e primo a muovergli incontro, per dargli il benvenuto nei suoi felicissimi Stati, fu il conte Jacopo Malatesti.
Come potesse educarsi tanto diverso da lui il conte Gino, in verità non si riesce ad intendere. Ah, questi figliuoli, questi figliuoli!… come girano nel manico! come vengono su diversi dai padri! Il conte Gino era venuto su un fior di liberale, da una stufa sanfedista! E non si contentava mica di essere un liberale dentro