La conquista di Roma. Matilde Serao. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Matilde Serao
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066070885
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mandato qui Pochalsky?»

      «Sissignora».

      «Me lo immaginavo: Pochalsky lo sa che questo è un quartierino per deputati: io non affitto ad altri. Ma favorisca: questa è l'anticamera, qui ci è un tavolino con l'occorrente da scrivere, per gli elettori che non trovino in casa il deputato. Ci ho avuto l'onorevole Santinelli: quello lì era assediato dalla mattina alla sera, mai un minuto di riposo, me lo diceva sempre, quando si chiacchierava un po' insieme, chè era tanto compìto, l'onorevole Santinelli: — Sora Virginia mia, non ne posso più. — Questo qui, come vede, è il salotto, decente ed elegante, questa tappezzeria è tutto lavoro mio, di quando ero più giovane e non avevo tormenti pel capo: basta, non ne parliamo. Qui vi è tutto, tappeto, tende; e il deputato Gagliardi non se ne sarebbe mai più andato, tanto vi si trovava bene, se gli elettori non gli avessero fatto il tiro di non rieleggerlo. Ma la vita politica è piena di questi dolori.....».

      E la femminetta prese un'aria grave, la boccuccia stretta e il capo inchinato sopra una spalla. In realtà, il salotto non era molto diverso da quello di Via Angelo Custode: vi era più tappezzeria sbiadita, un maggior numero di fotografie, una seggiola americana a dondolo: la cornice dorata dello specchio aveva un velo verde, per preservarla dalle mosche.

      «Questa qui», continuava la sora Virginia con un forte accento romano «è la stanza da letto. Vi è una piccola biblioteca, per i libri, perchè io ci ho avuto sempre dei deputati studiosi: anzi l'onorevole Gotti leggeva continuamente dei romanzi. Ne legge lei, dei romanzi?»

      «Nossignora: mai».

      «Peccato, perchè me ne presterebbe. Qui manca un armadio per i vestiti, ma sto aspettando una vendita, in Via Viminale, che anzi il Muccioli, il perito, m'ha promesso di conservarmelo, un bell'armadio. Del resto, può affidare a me la sua roba, marsina, soprabito, pelliccia, quello che sia, che la conserverò nel mio armadio, fra i miei vestiti e vi starà benissimo. Qui vi è tutto, concolina, brocca, lavapiedi per l'acqua, il letto con le sue brave tendine e il comò. Osservi tutto, chè tutto è soddisfacente, e non faccio per vantarmi, ma Toto ringrazia Dio sera e mattina per avergli dato una moglie come Virginia. Tutto questo, onorevole?...»

      «Sangiorgio, Francesco Sangiorgio».

      «Deputato per?...»

      «Tito in Basilicata».

      «Onorevole Sangiorgio, tutto questo per centotrenta lire il mese, senza calare un centesimo, perchè io non ci guadagno niente: se dovessi vivere col far l'affittacamere, starei fresca. In anticamera vi è una porta di comunicazione col mio quartino: chiudendosi, lei ha il suo quartino con l'ingresso libero. Ha bisogno, Lei, dell'ingresso libero?»

      E lo scrutò, con gli occhietti chiari di gatta. Sangiorgio non capì bene.

      «... Non so, non so,» disse a caso.

      «Perchè, per avere l'ingresso libero, come capisce, si pagano venti lire di più il mese, centocinquanta lire. Ma se Lei è ammogliato e vuole delle altre stanze, capitando la sua signora, ci è qui, sullo stesso pianerottolo, mia sorella Restituta Coppi, che ha disponibili delle camere; quelle di mia cognata, al secondo, non gliele posso raccomandare, non cura la pulizia, povera donna, è popolante.... tutte così quelle di quel quartiere: è un errore che mio fratello, povero Gigio, ha commesso. È ammogliato, Lei, onorevole?»

      «Nossignora».

      «Sia per non detto, allora; e si goda ancora la gioventù, chè ad ammogliarsi subito è un inferno. Io, grazie a Dio, non mi posso lagnare, chè Toto è un fior d'uomo, ma via, meglio la libertà. Glielo dicevo sempre al deputato Gotti, che era ancora celibe come Lei, onorevole Sangiorgio: e lui, che mi rispondeva sempre, bontà sua: — Dovrei trovare un'altra sora Virginia per ammogliarmi, ma non ve ne sono più. — Dicevamo dunque, centotrenta lire il mese, è proprio un prezzo economico, poi ci è il servizio di dieci lire al mese a Nanna, ci è il gas, per le scale, sino alle undici, cinque lire. Al caso, posso pensare anche io alla imbiancatura, ho una lavandaia buonissima, lava con acqua Marcia e sapone, senza potassa. Insomma, tutto quello che ci vuole; e se qualche giorno l'onorevole vuol pranzare in casa, nauseato da quei pasticci che si mangiano nelle trattorie, ci è qui Toto, mio marito, che si diverte a fare e a cucinare gli gnocchi, che è un piacere: io non ci metto piede in cucina, la mia salute è troppo delicata».

      Erano giunti di nuovo nell'anticamera e Sangiorgio serbava il contegno freddo delle persone taciturne innanzi a quelle troppo loquaci.

      «E..... scusi, signor deputato,» chiese a un tratto la sora Virginia con la voce che era diventata aspra, pel silenzio di Sangiorgio, «che intende Ella di fare? Io ho molte richieste, capirà, un quartino come questo non ci è da lasciarlo sfuggire...»

      «Faccia pure i suoi affari, signora,» disse il deputato, in cui la natural diffidenza del provinciale rinasceva. «Nel caso, Le farò sapere qualche cosa».

      «Aspetterò un suo biglietto, allora? Debbo mandare a ritirarlo alla Camera?» ribattè quella, ridiventata melliflua.

      «Non s'incomodi, manderò io».

      La sora Virginia inchinò il capo e gli tese una manina, come una gran signora. Ancora, per le scale, egli restava sbalordito e stanco di quel chiacchiericcio: e già gli sembrava di aver visitato dieci case. Aveva due altri indirizzi sul pezzetto di carta e gli veniva meno la voglia di recarvisi. Fu proprio per una reazione di volontà che si fece condurre, in carrozza, in Via del Gambero, 37, poichè non ancora conosceva le vie. La strada aveva l'aria misteriosa delle parallele al Corso, le vie scorciatoie che scelgono gli uomini frettolosi e le donne preoccupate: dal grande palazzo Raggi, che ha un cortile come una piazza, un portone sul Corso e l'altro sul Gambero, ogni tanto se ne vedeva sfilare qualcuna, che sfuggiva la folla e gl'incontri pericolosi, scantonava rapidamente, senza guardarsi indietro. Nel portoncino n. 37, dall'aria decente, vi era un casotto di legno con vetri, che prendeva luce dalla sala. Una donnetta ne uscì, incontro al deputato.

      «Non si affitta, qui, al terzo piano, un quartino?»

      «Sissignore; vuol vederlo?»

      «Vorrei vederlo».

      La donnetta rientrò nel suo casotto, scelse una chiave da un mazzo e s'avviò, ammiccando con un par di occhietti bigi dalle palpebre rosse e gonfie. Era evidentemente la portinaia: portava un vestito di lana verdognola, smesso, stinto, guarnito con una certa pompa di raso verde: un perucchino di raso cupo, con un treccione finto sulla nuca e una sfioccatura a frangia sulla fronte: salendo, le calze di seta rosse si vedevano, smorte. E nella floscezza scialba delle guance di un biancore punteggiato di lentiggini, nel pallore violetto di una bocca dal disegno infantile, s'indovinava un viso che una volta era stato rotondo, roseo e che si era a un tratto appassito, vuotato, come quello di una pupattola a cui è sfuggita la crusca da un bucherello. La scala era larga e girava ampiamente, caso raro negli edifizi romani: sopra ogni pianerottolo, tre porte corrispondevano. Al primo piano, a destra, l'onorevole Sangiorgio lesse: Barone di Sangarzia, deputato al Parlamento, nulla sulla porta di mezzo, e a sinistra: Anna Scartozzi, sarta. Al secondo piano a destra: Marchese di Tuttavilla, deputato al Parlamento, nulla sulla porta di mezzo, e a sinistra: Ditta di commissioni e rappresentanze.

      «Anche questi due deputati hanno dei quartini mobiliati?»

      «Nossignore; hanno mobiliato del loro; ma il quartino è simile,» rispose la portinaia, mettendo la chiave nella toppa della porta a destra: anche al terzo piano, non vi era alcuna leggenda sulla porta di mezzo, e a quella di sinistra: Cav. Paolo Galasso, dentista.

      Il quartino che dava sulla strada era pieno di luce, e i mobili, quasi nuovi, pretendevano alla eleganza. Un vaso di maiolica per fiori posava sopra un tavolino: vi era un caminetto, un vero e buon caminetto, l'estremo lusso delle case borghesi romane. «Qui si può accendere il fuoco e dopo pranzo d'inverno, è un piacere,» disse la portinaia. «Il caminetto ci è in tutti i piani: che anzi il deputato del primo piano lo fa accendere dalla mattina, una gran fiammata tutto il giorno».

      «Ma non va alla Camera?» domandò Sangiorgio, cedendo al pettegolezzo.

      «Non sempre, non sempre,» rispose, con sorriso