«E tale mai sempre abbia saluto», esclamava il Ferruccio, «l'empio ladrone che vende l'anima ai nemici della libertà di un paese innocente!»
O giovanetto! la fortuna ti concedeva singolare vaghezza di forme; forte tu eri e animoso: non pativi difetto di beni terreni; scendevi raro germoglio dal sangue degli Chalons[41]: Filiberto, principe di Orange, capitano dell'esercito imperiale, in te abbracciava il suo nepote e il suo erede... Perchè dunque lasciasti i tuoi dolci castelli? perchè i tuoi genitori canuti? Tu avresti lieti fatti e soavi gli anni loro, che adesso strascineranno fra la disperazione alla morte: — te avrebbe amato una donna, a te sorriso i cari figliuoletti. O se nella tua anima ruggiva lo spirito delle battaglie, perchè muovere ai danni d'un popolo innocente? Largo campo di onore forse non ti si apriva in Palestina, dove gl'infedeli contristano il sepolcro di Cristo? Allora il tuo sangue avrebbe bagnato il sacro terreno che bevve prima il sangue del tuo Salvatore; ti avrebbero i cieli largito la palma del martirio, dato la terra lagrime e voti. Adesso il trovatore nella sua mesta ballata ti saluterebbe campione della fede, la tua prodezza esalterebbe, ti piangerebbe come una pleiade scomparsa dal coro degli astri; — per te gemerebbe la vergine ascoltante, e la tua fama rinverdirebbe nei secoli per la rugiada delle lacrime pietose. Ora, morendo, tuo ultimo desiderio fu precipitare intero nell'oblio, perchè nel cuore consapevole sentisti come per cotesta unica via ti fosse dato scampare a infamia. Te misero! che, a tanta distanza di tempo e mentre dovrebbero dormire spenti gli sdegni, la carità patria contende non solo di sciogliere un sospiro sul tuo fato infelice, ma anzi comanda di calpestare il suo teschio ed imprecarvi sopra queste parole: «Bene si ebbe innanzi tempo la sua stanza il serpente in questo vôto cranio; bene fecero i vermi della terra pasto delle tue membra giovanili; bene ti sta la morte immatura; se tu più avessi vissuto, avresti ordito maggiore trama di colpe; ti fu l'obbrobrio lenzuolo sepolcrale, ti pose lo avvilimento la lapide, il maledire dei popoli v'incise sopra la iscrizione, e la giustizia divina ve la mantiene immortale, onde facciano senno i maligni che non abborrono vendere il proprio sangue contro la libertà delle genti.»
Intanto dalle radici estreme del monte si dilatò sul piano una moltitudine meravigliosa di fanti e cavalieri levando dense nuvole di polvere, — e tra mezzo coteste nuvole sventolano bandiere con l'aquila, bandiere con le chiavi di s. Pietro; gli elmi, le corazze, le partigiane e gli altri arnesi guerreschi mandavano lampi; — l'aere d'intorno intronava un suono discorde e terribile di trombe, di pifferi e di tamburi, commovendo i petti, secondo la natura degli uomini, a rabbia o a terrore; procedevano senza osservare le ordinanze, come se poco curassero il nemico, o fossero sicuri di avere a patti il paese; — s'inoltrano spensierati; — privi di qualunque riparo si accostano alle batterie fiorentine.
Dio certamente gli accieca.
All'improvviso con immenso fragore prorompe dalla fortezza un turbine di fuoco, di ferro e di fumo: — il cielo si oscura; la faccia del sole si cuopre come un velo funerario per non contemplare la strage nefanda, — ma il vento rinforzando si porta altrove il fumo e la polvere, sicchè si fanno manifesto allo sguardo cavalli inferociti erranti senza cavaliere di su di giù per la campagna, un cumulo di morti giacenti in atti diversi, i vivi in rotta, i feriti implorare soccorso e non ottenerlo, tentare carponi con miserabili conati sottrarsi da quel luogo micidiale e non poterlo; — armi sparse e spezzate; — di membra il terreno fatto infame e di sangue.
Come vennero, sparvero; togliendo riparo dietro certi argini alzati traverso i campi, sicchè, senza quella testimonianza di strage, quanto avvenne sarebbe apparso un sogno d'infermo.
«Tal sia di loro!» dopo alcuni momenti di silenzio interruppe il Ferruccio.
«Così piacesse a Dio e a san Giovanni glorioso,», rispose Lupo; «ma, per quanto e' mi sembra, il diavolo vuol tenere in conto di caparra questa prima mandata di scomunicati... Vedete, capitano! guardate laggiù quella casa...»
«Dove?»
«Costà, costà, a piè del colle, ov'è la torre rovinata... diritto alla mia mano... la vedete voi? Diavolo! e che siete diventato cieco?
«La vedo, sì, adesso la vedo... E quando ci sono entrati? e che cosa fanno?...»
«Mettono fuori dalla finestra una bandiera... due... un'altra ancora; la prima parmi imperiale... la seconda del papa... la terza! no... sì... oh! diavolo! come c'entra cotesta?... È il cavallo sfrenato... la insegna d'Arezzo.»
«Ah! Machiavello, quanto ben dicesti, a cotesto cavallo doversi imporre un duro morso e di ferro[42].»
«Ed ora che cosa significa quella turba? Sembrano gente del contado... in abito da festa... Sì, sì, è la festa dei morti.»
«O Lupo mio, in cotesta casa per certo si raccolsero i capi dell'esercito; — e mentre noi qui ci travagliamo per la libertà della terra, la gente del contado, sempre nemica alla patria nostra, va a prestare l'obbedienza allo straniero; — ed ecco come sempre, di voglie divisi, siamo fatti facile preda dei barbari. Stolti! Andate e imparerete di che sappia la signoria di Carlo! Quando mai le colombe si raccomandarono allo sparviere? Almeno Dio, allorchè vi rapiva il cuore per difendere la libertà vostra, vi avesse tolte le ginocchia con le quali vi avvilite; — o se con l'anima di Bruto ve ne fosse pure stata compartita la forma, ora io qui non dovrei vergognarmi di nascere da una stirpe comune.»
«Possa l'anima di Lupo non andare in luogo di salute, s'io non mando a costoro la diceria bella e fatta.»
In questo modo favellando, il bombardiere gira a quella volta la colubrina. I soldati gli si dispongono intorno, sicuri di ammirare un qualche tiro stupendo.
Lupo imperturbato, aggiusta il bronzo, prende la corda infocata e di propria mano dà fuoco.
Tra una rovina d'intonaco infranto precipita rotto in ischegge lo stipite della finestra; vanno in fascio le imposte, la bandiera imperiale tentenna e cade nella polvere.
Subito dopo furono viste sboccare furiosamente genti di varia maniera, e confuse, spaventate sbandarsi per la campagna. Invano, fermo sul limitare, un cavaliere, sprezzando il pericolo, con la voce e co' cenni le richiama. La paura chiude loro gli orecchi; quei codardi non hanno vita che nelle gambe.
Il cavaliere era Filiberto di Chalons, principe di Grange, capitano dell'esercito.
«Bel colpo! Viva Lupo! che tiro, eh? Non ve lo aveva detto ch'egli era un valentuomo?» si ascoltava suonare in giro a Lupo; e il capitano Gualterotto Strozzi lo baciava in volto, Mariotto Segni gli stringeva la destra, Francesco del Monte la sinistra; ed egli esultava, rideva, non capiva in sè dal contento, e:
«Ve ne farò vedere degli altri, se Dio mi dà vita», ripeteva baldanzoso.
«E sì che io avrei giurato ve ne fosse rimasto uno», mormora il Ferruccio tra sè, e fruga e rifruga dentro un borsone di velluto cremisino ricamato in oro, il quale, secondo il costume dei tempi, teneva appeso alla cintura: — mentre così favella, si accosta a Giovannantonio.
«O che pensate di fare, capitano? gli domandava quell'ultimo.
«Pensava, e certo non vorrai usarmi la scortesia di rifiutarlo, pensava donarti un bello scudo d'oro dal sole, che mi pareva esser rimasto qua dentro.»
La faccia di Lupo diventa vermiglia, biechi torce gli sguardi, si morde per ira le labbra: il Ferruccio invece pacato continua a cercare lo scudo, ma non lo rinvenendo comincia ad arrossire egli e a turbarsi. Lupo, a mano a mano che vede il Ferruccio confuso, compone il suo sdegno; finalmente si risovenne Ferruccio averlo la sera innanzi donato a certo povero soldato il quale, infermo pei travagli