Aveva portato la sua lettera a Starringer per la spedizione immediata. Ritornando alla sua stanza s’imbatté sul corridoio in Maller che usciva. Per il desiderio di dimostrargli il suo zelo e levarlo da ogni preoccupazione circa l’esecuzione del suo ordine, gli disse sorridendo:
— Ho già spedita la lettera!
— Grazie! — disse Maller che per un istante rimase attonito quasi non ricordasse più di che cosa si trattasse. Anche il tono di voce era più freddo di molto di quello usato mezz’ora prima.
Bastò per mettere Alfonso in agitazione. Aveva avuto torto di fermare con tale famigliarità il suo principale dinanzi ai servi e più ancora di riparlargli di un servizio che gli aveva reso, quasi a chiedergli di replicare i ringraziamenti.
In stanza sua non trovò che Alchieri già pronto per andarsene. L’agitazione rendeva Alfonso ciarliero. Non sapeva sopportarla da solo; la parola fredda di un indifferente poteva calmarlo. Raccontò ad Alchieri della lettera ricevuta da sua madre ed il colloquio avuto con il signor Maller. Alchieri lo stette a udire distratto perché impensierito da affari propri. Attendeva con impazienza l’esito che avrebbe avuto una sua domanda di aumento di paga inoltrata quel giorno al principale; minacciava di abbandonare il posto e dava ad intendere di avere altro impiego alle viste, mentre sarebbe stato un uomo ruinato se lo si fosse preso in parola.
— Ho fatto molto male di fermare il signor Maller sul corridoio?
E a questa domanda di Alfonso, Alchieri, che non aveva saputo dare la sua attenzione che a una parte di quanto gli si raccontava, rispose:
— Scommetterei ch’è la sua amante.
Questa supposizione di Alchieri era tanto probabilmente giusta che Alfonso si meravigliò di non averla fatta lui prima. Ad Alchieri era stata suggerita dalla sua malizia, ma diveniva giusta per le circostanze note ad Alfonso. Che cosa d’altro poteva essere accaduto da mutare di tanto i rapporti fra Annetta e Francesca e il contegno di quest’ultima? Per quanto fosse naturale che Maller venisse incaricato di parlare con lui, il modo era stato insolito in quella banca ove non si era abituati a ricevere che ordini e anche quelli brevi, concisi, con tono e parole di ufficio. Gli era stato detto che Maller era donnaiuolo, ma non gli era venuto in mente la supposizione fatta da Alchieri, perché, anche saputo dei costumi di Maller, la sua casa gli era apparsa circondata da un nimbo che non vi lasciava penetrare delle passioni umane che la superbia e la vanità. Era stato difficile ad Alfonso d’immaginare l’amore in quelle stanze fredde, tenute per lusso, in gran parte non abitate, o meno ancora nella stanza coniugale di Maller ove, come gli aveva raccontato Santo, c’era ancora il letto della moglie, lasciato intatto dacché ci aveva agonizzato la giovine signora. Bastò però il sospetto di Alchieri, un uomo che in quella casa non aveva mai messo piede, per toglierle quel nimbo, e la fantasia di Alfonso la popolò di amori delittuosi, resi più foschi dal lusso che li circondava.
Gli sembrava un delitto la seduzione di Francesca agevolata di troppo dalla posizione subalterna di costei. Provò qualche cosa di simile alla gelosia al figurarsi quella figurina bianca e bionda gettata fra le braccia di quel freddo Maller, un’avventura che a lei ruinava la vita, a lui invece non costava niente e non aveva che il valore di un passatempo qualunque.
Egli non comprendeva quale parte in questo romanzetto toccasse ad Annetta. Probabilmente aveva essa tentato di allontanare Francesca e non le era riuscito.
Per la prima volta sognò di divenire l’amante di Annetta. La cosa gli pareva meno impossibile ora che la vedeva in mezzo a quelle tresche che non si curavano neppure di rimanere celate a lei; il sogno ne era reso più facile. Non seppe però sognare di venirne amato, perché su quel volto calmo, marmoreo non sapeva immaginare l’espressione dell’affetto o del desiderio. Fece un sogno da ragazzo vizioso. Ella si abbandonava a lui fredda, per compiacenza o per vendicarsi di un terzo oppure per ambizione. I suoi sogni sempre cominciavano col ricamare sul reale per poi allontanarsene completamente, e con facilità si figurava di valere tanto agli occhi di Annetta da venirne amato anche per ambizione.
Da solo non trovava la via per recarsi da Annetta. L’invito che gli era stato fatto non gli sembrava abbastanza concreto e il primo mercoledì non vi andò dopo di aver cercato per tutta la settimana inutilmente Macario acciocché lo accompagnasse. Quei suoi sogni su Annetta dovevano renderlo anche più timido pel timore di lasciarne trapelare qualche cosa.
Desiderava però di rivedere Annetta e più intensamente che non la prima volta allorché per lui si era trattato soltanto di farsi ben volere dalla figliuola del suo principale. Ora l’amava! Quello doveva essere l’amore, il desiderio di una persona e di nessun’altra. Egli sottilizzava sui suoi sensi agitati non potendolo su un sentimento qualunque che gli mancava. Nei pochi giorni in cui aveva inutilmente cercato di soffocare i suoi desideri dando loro altra direzione s’era sentito diventare uomo, adulto. Egli desiderava una donna, quella, e tutte le altre, per lui, per i suoi sensi, non esistevano. Si rammentava degli appunti ch’egli aveva fatti alla figura di Annetta e ora si meravigliava di non aver subito compreso che l’originalità di quella figura e la sua bellezza erano precisamente formate da ciò ch’egli aveva qualificato per difetti. Gli occhi poco neri! I capelli non abbastanza ricciuti! Annetta aveva una figura da Venere e quella testa con gli occhi azzurri, tranquilli, i capelli lisci quasi modestamente, era la testa dell’intelligenza. Un bacio su quelle labbra che non sembravano capaci di corrispondervi doveva essere tanto più delizioso!
Quando al mercoledì susseguente s’imbatté in Macario il quale per incarico di Annetta gli fece i più forti rimproveri perché aveva mancato la settimana prima, Alfonso trasalì dalla gioia. Veniva cercato, chiamato.
Poi anche Annetta gli fece dei rimproveri, dolcemente. Gli disse che Macario le aveva raccomandato di non intimidirlo:
— Altrimenti la sgriderei. Ha proprio da essere timido anche con me? Le faccio paura?
Queste gentilezze lo commossero però meno di quelle ch’ella gli aveva fatto pervenire per mandato. Avendola dinanzi agli occhi dimenticava i suoi sogni. Ella era tutta intenta alla formazione della sua società letteraria e la sua naturale freddezza, che nel ricordo poteva pigliare l’aspetto di qualità secondaria, là invece era imponente e dava il colore a tutte le altre qualità sue. Non era una donna quando parlava di letteratura. Era un uomo nella lotta per la vita, moralmente un essere muscoloso.
Si stava bene in quel salotto specialmente perché fuori era scoppiata veemente la bora che in poche ore aveva spazzato via ogni ricordo dell’estate.
Alfonso e Macario trovarono Spalati venuto poco prima; Fumigi e il dottor Prarchi vennero subito dopo.
Il dottor Prarchi fece deviare il discorso dalla letteratura ove era caduto, raccontando del suicidio di un cassiere ch’essi tutti avevano conosciuto. Si trattava di uomo ch’era vissuto molto modestamente e che non aveva avuto altro torto che di frequentare persone troppo più ricche di lui. Ad onta della sua moderazione ciò era bastato a ruinarlo. Prarchi terminò la descrizione con una sentita parola di compassione. Egli aveva anche veduto il corpo del suicida.
Annetta si strinse nelle spalle con sdegno: — Peggio per lui! — Il tipo non le era simpatico; forse temeva che suo padre s’imbattesse in uno che gli somigliasse.
Alfonso si trovava veramente in lotta con Fumigi per poter rivolgere la sua attenzione alla conversazione generale. L’ometto gli si era cacciato accanto e lo interrogava sui suoi studî. Dovevano avergliene parlato molto perché il matematico lo ammirava, gli faceva la corte. Voleva sapere come avesse disposto l’orario per poter dedicare giornalmente a quegli studî una o più ore. Diceva di non aver saputo avere questa regolarità nelle sue occupazioni e di crucciarsene perché soltanto lo studio sistematico apportava qualche utile, non quello fatto a sbalzi.
Tutta l’attenzione di Alfonso era rivolta ad Annetta. Per quanto in sua presenza non sentisse desiderî ne era tuttavia preoccupato. Anzitutto era quasi addolorato di non sentirli e cercava di provocarli; studiava quel volto per vedere di metterci l’espressione della passione che mancava a far perfetto