La Serpentina era un’ampia nave a tre alberi, dai lati alti e curvi che, come una spada, tagliava le onde mentre si faceva strada nel mare. Portava piccole scialuppe ai lati, assicurate alle ringhiere. I marinai erano uomini dall’aspetto duro, ricoperti da indumenti larghi e spartani che permettevano loro di muoversi senza difficoltà nelle manovre navali. Erano robusti e segnati dalle intemperie, l’esatto opposto di Greave; e osservavano la sua pelle liscia e il suo aspetto femmineo con disprezzo.
Tuttavia, il solo pensiero di Nerra e che tutto ciò era finalizzato ad aiutarla, rendeva l’impresa degna dello sforzo. Quello era il modo più veloce per raggiungere Astare e la grande biblioteca che giaceva lì. Era l’unica via per arrivare dove avrebbe potuto trovare una cura alla malattia a squame abbastanza in fretta. Nonostante ciò… nonostante ciò, Greave era preoccupato di non fare in tempo.
“Questo è… normale?” chiese Aurelle, che era accanto a lui.
“Stai iniziando a desiderare di non essere venuta?” chiese Greave.
Scosse la testa. “Voi siete qui ed io non vi lascerò.”
Lo fece sembrare del tutto normale, ma Greave non poteva immaginare un’altra donna che lo avrebbe seguito lì, in quei mari spietati che avevano reclamato così tante vite, su una nave che avrebbe potuto essere fatta a pezzi se si fosse avvicinata troppo alle correnti rapide in prossimità delle sponde del fiume Slate. Nessun’altra donna avrebbe accettato di farlo, ma Aurelle era più di una donna qualsiasi.
“Sembra che abbiate la nausea,” disse Aurelle.
Greave detestava pensare all’aspetto che doveva avere in quel momento. Di solito era elegante, esile, con tratti quasi femminei, i capelli che gli scendevano in onde morbide e i tratti chiusi in un’espressione che avrebbe potuto fornire una perfetta ispirazione per la tristezza a un artista. Adesso, i suoi capelli erano aggrovigliati per il sale marino e il primo accenno di barba scura gli punteggiava il mento. Il suo non era un volto che poteva ospitare una barba, neanche quando non tendeva al verde per il mal di mare.
Mentre per quanto riguardava Aurelle… lei era perfetta.
Non era solo bellissima, sebbene lo fosse, con la sua pelle d’alabastro e gli zigomi e le labbra che ricordavano le stelle più luminose in una costellazione di tratti perfetti. Il suo corpo… Greave avrebbe potuto scrivere delle poesie su di lei, soprattutto poiché non portava più un abito elegante, ma dei vestiti da viaggio, con una tunica grigia e argento, un corsetto e dei calzoncini.
Niente di tutto ciò era tanto importante quanto il fatto che fosse lì, con lui, sulla rotta migliore che potevano trovare per raggiungere la grande biblioteca di Astare. Lo aveva accompagnato nella sua caccia per trovare una cura alla malattia a squame, quando nessun altro lo avrebbe fatto; stava cercando di aiutare Nerra, essendo salita a bordo di quella nave insieme a lui con piacere, se non addirittura con gioia.
“Non avremmo potuto andarci a cavallo?” chiese.
“È all’estremo nord-est e per arrivare laggiù occorre attraversare le terre vulcaniche,” disse Greave. “Raggiungerlo a cavallo sarebbe difficile e pericoloso se siamo solo noi due.”
“E questo invece non lo è?” chiese Aurelle, accennando al mare attorno a loro.
Non c’era segno di terraferma da lì; le navi dovevano viaggiare a largo per evitare il rischio di essere travolte dalle pericolose correnti in prossimità della costa. Era snervante; Greave aveva trascorso la maggior parte della sua vita confinato in biblioteca ma, allo stesso tempo, poteva sentire qualcosa crescere in lui a quella vista. Quello era ciò che gli scrittori che ammirava avevano visto: il mondo in tutta la sua gloria.
“Greave,” disse Aurelle, puntando il dito all’orizzonte. “Guardate, una balena.”
Greave guardò e vide un’ampia forma grigia sollevarsi dall’acqua, ma le fauci che mostrava erano troppo lunghe e piene di denti appuntiti per appartenere a quel cetaceo. Il suo corpo era grande quanto quello di una balena, ma era percorso da fronde di carne che potevano essere scambiate per alghe da lontano. Greave richiamò alla memoria Creature del profondo di Lolland, e la paura gli si agitò dentro.
“Quella non è una balena,” disse. “Aggrappati a qualcosa, Aurelle.” Gridò forte, in modo che l’equipaggio potesse sentire. “Faucenera!”
L’equipaggio si girò verso la creatura e impiegò un secondo in più di quanto avrebbe dovuto metterci a reagire, perché era stato lui a urlare invece che uno di loro. Greave sapeva cosa dovevano pensare in quel momento: che quel tenero principe viziato non avrebbe distinto una faucenera da un branco di sardine. Tuttavia, un secondo dopo, la videro coi loro occhi e corsero verso la riserva di arpioni della nave.
A quel punto, la creatura era già sott’acqua.
Greave osservò la sua ombra da sopra alla superficie, la seguì con gli occhi mentre si aggrappava a una delle corde della nave. Attorno a lui, i marinai guardavano cauti, diversi ancora affannandosi per prendere le armi.
Poi la creatura colpì.
Sbatté al lato della nave, ma il nostromo la stava già facendo allontanare quindi non accusarono il pieno impatto dell’attacco. Nonostante ciò, bastò a scuotere il mezzo con violenza, inclinandolo di lato abbastanza forte che se Greave non avesse afferrato la corda, sarebbe caduto.
Aurelle non fu altrettanto fortunata e urlò mentre ruzzolava verso il bordo della nave. La faucenera si stava già sollevando con le sue grosse fauci spalancate, pronte ad afferrare la preda, mentre con le sue lunghe fronde si aggrappava alla nave, sorreggendosi sul suo lato inclinato.
Greave balzò in avanti d’istinto, afferrando Aurelle, anche se quello significava abbandonare la sua presa sicura. Le avvolse la vita con le dita, ma anche mentre lo faceva, avvertiva il suo stesso supporto cedere.
Davanti a sé, Greave poté vedere gli arpioni conficcarsi nella carne della creatura, ma non servì a molto. Stava continuando ad avvicinarsi, con quei suoi grandi occhi privi di palpebre che lo guardavano fissi con una cattiveria terrificante.
“Vostra altezza!” gridò uno dei marinai e Greave si voltò nella sua direzione, appena in tempo per accorgersi che l’uomo gli stava tirando un arpione. L’arma restò sospesa nell’aria per un secondo prima di sbattergli contro al palmo mentre la afferrava.
“Greave!” urlò Aurelle. Era quasi al bordo della nave adesso, frenata dalla sua presa sul suo polso, ma solo appena. Sollevò l’arpione, rimpiangendo di non aver trascorso più tempo ad allenarsi con le armi e consapevole che avrebbe dovuto essere vicino a quel grande occhio per…
Lanciò l’arpione, che sfrecciò più preciso di quanto avrebbe potuto sperare. Si conficcò nel bulbo scoperto dell’occhio della faucenera, immergendosi abbastanza in profondità da far emettere alla creatura un grido che parve scuotere il mondo. La sua mole si ritrasse dalla nave che tornò a raddrizzarsi e il tonfo provocato dal suo rientro in acqua riversò sul ponte un’onda che minacciò di affondarla.
Per tutto il tempo, Greave tenne Aurelle stretta, determinato a non lasciarla andare. La tirò su, stringendola a sé perché non corresse il rischio di cadere nell’acqua ma anche perché voleva assicurarsi che fosse ancora viva, ancora lì, ancora salva.
“Pensavo che ti avrei persa,” disse.
“Mi avete salvata,” rispose lei. “Io… Io non so cosa dire…”
“Io sì,” replicò Greave e la baciò dolce. “Ti amo.”
“Io… Vi amo anch’io.”
Aurelle pronunciò le parole in automatico, perché alla Casa dei Sospiri le avevano insegnato bene che certe cose erano uno strumento da usare, un mero modo in più per controllare i sentimenti di chi le udiva. Per coloro il cui unico ruolo era vendersi agli altri, quelle erano parole che potevano rimuovere una sfumatura di inclemenza oppure accrescere l’incasso. Per quelle come lei, potevano essere un’arma affilata come pugnali.
Avrebbe potuto infilzare il Principe Greave in quel momento.