Quando furono davanti agli ascensori, uno di loro li raggiunse e aspettò in silenzio l’apertura delle porte.
“Come va la mattinata?” chiese Jessie con voce cinguettante, incapace di trattare l’uomo con la solennità che chiaramente avrebbe richiesto.
Lui annuì ma non disse nulla.
“Stai finendo il turno o lo inizia ora?” insistette lei facendosi più severa, scocciata dalla mancanza di risposta.
Lui la guardò, poi spostò lo sguardo su Ryan che lo fissava con freddezza. Poi rispose con riluttanza: “Ho iniziato alle sei. Siamo stati chiamati dal servizio in camera alle sette.”
“Come mai le cameriere sono entrate in camera così presto?” chiese Jessie. “C’era una richiesta di pulizia appesa alla porta?”
“La donna ha detto che dalla stanza veniva uno strano odore.”
Jessie guardò verso Ryan, che aveva un’espressione rassegnata.
“Mi pare un modo divertente di cominciare la mattinata,” disse, leggendogli nel pensiero.
L’ascensore arrivò e loro vi entrarono. La guardia li accompagnò al quattordicesimo piano. Quando le porte si aprirono, Jessie non poté evitare di meravigliarsi della veduta. L’ascensore si affacciava sulle Hollywood Hills, e in questa mattinata piuttosto limpida, l’insegna bianca di Hollywood luccicava ammiccando verso di loro. Sembrava tanto vicina da poterla toccare. Accanto ad essa era arroccato l’Osservatorio di Griffith Park, in cima a una collina del parco. La zona circostante era cosparsa di numerosi studi cinematografici, come anche migliaia di veicoli che scorrevano lungo le strade già intasate dal traffico.
Un leggero tintinnio la riportò al momento presente e Jessie uscì dall’ascensore, seguendo la guardia e Ryan fino alla fine del corridoio. Erano a metà strada quando Jessie percepì una folata di quello che doveva aver colto l’attenzione della cameriera.
Era l’odore dei gas batterici putridi emanati dal corpo della vittima e che fuoriuscivano, spesso accompagnati da liquidi altrettanto maleodoranti. Anche se era sempre spiacevole, Jessie ci si era in qualche modo abituata. Dubitava che una cameriera potesse sentirsi altrettanto a proprio agio.
Un agente che aspettava fuori dalla stanza riconobbe Ryan e porse a lui e Jessie dei copri-scarpe di plastica alzando poi il nastro di delimitazione per farli entrare. Con soddisfazione di Jessie, l’agente non permise l’accesso alla guardia dell’hotel.
Una volta all’interno, Jessie si fermò sulla porta e osservò la scena. C’erano diversi tecnici della scena del crimine che scattavano foto e raccoglievano impronte digitali. Diversi segni sulla moquette erano stati notati e contrassegnati con dei numeri.
Il corpo giaceva sul letto, nudo, gonfio e scoperto. La prima descrizione della vittima appariva accurata. Sembrava un uomo sulla quarantina. Quando Jessie si avvicinò, capì che era stato effettivamente strangolato. Sul collo aveva segni violacei lasciati dalle dita, anche se non si notavano evidenti tagli o graffi che indicassero delle unghie conficcate.
L’uomo era in buona forma fisica se si ignorava il gonfiore. Era chiaramente ben curato, con unghie recentemente tagliate, un trapianto di capelli che era stato eseguito in maniera impeccabile per donargli una spruzzata di grigio in mezzo ai capelli neri, oltre a delle iniezioni di Botox sapientemente eseguite attorno a occhi, bocca e fronte.
I calzini, ora tesi per l’eccesso di fluidi raccolti alle caviglie, gli pendevano mestamente dai piedi. Le scarpe erano posate al lato del letto. I suoi vestiti, che includevano un abito dall’aspetto costoso, un paio di boxer e una maglietta, si trovavano ordinatamente piegati su una sedia vicino alla scrivania.
Nella stanza non c’erano ovvi effetti personali: nessuna valigia, niente abiti in più, nessun orologio od occhiali accanto al letto. Diede un’occhiata nel bagno e vide la stessa situazione lì: nessun oggetto per la toletta, nessun asciugamano usato, niente che suggerisse che l’uomo avesse trascorso molto tempo nella camera.
“Cellulare?” chiese Ryan all’agente che stava nell’angolo.
“L’abbiamo trovato nel cestino,” gli rispose l’investigatore della scena del crimine. “Era rotto, ma il team tecnico pensa sia recuperabile. La SIM era ancora dentro. L’hanno portato al laboratorio.”
“Portafoglio?” chiese Ryan.
“Era sul pavimento vicino al letto,” disse l’investigatore. “Ma era stato ripulito. Quasi ogni cosa potenzialmente identificabile rimossa: niente carte di credito né patente. C’erano un paio di foto di bambini. Immagino si possano usare alla fine per stabilire l’identità. Ma sospetto che il cellulare ci darà più velocemente dei risultati!”
Jessie si avvicinò al corpo, assicurandosi di evitare tutti i segni di prove sulla moquette.
“Nessuna evidente ferita di difesa,” notò. “Niente graffi sulle mani. Nessun livido sulle dita.”
“Difficile credere che se ne sia stato fermo a farsi soffocare, a meno che non fosse parte di un giochino sessuale. Ovviamente è già successo in passato,” disse Ryan, riferendosi a un complicato caso risolto recentemente che aveva coinvolto del sadomasochismo.
“Oppure avrebbero potuto averlo drogato,” ribatté Jessie, indicando il bicchiere vuoto che si trovava sulla scrivania vicino a un’altra prova contrassegnata. “Se qualcosa è scivolato nel suo bicchiere, potrebbe essere stato incapacitato a reagire.”
“Quindi immagino che stiamo escludendo il suicidio,” disse Ryan avvicinandosi al corpo.
“Se ha fatto questa cosa da solo, sarebbe un risultato davvero notevole,” disse Jessie.
Guardò l’espressione di Ryan mutare da divertimento a curiosità.
“Cosa c’è?” gli chiese.
“Penso di riconoscerlo.”
“Davvero?” chiese Jessie. “Chi è?”
“Non ne sono sicuro. Penso possa essere un politico locale, o magari uno del consiglio comunale?”
“Dovremmo confrontare la sua foto con quelle dei politici del posto e di altri funzionari,” suggerì Jessie.
“Giusto,” confermò Ryan. “Se la cosa è confermata, allora potremmo pensare a un movente politico.”
“Vero. Può darsi che qualcuno fosse scontento di una votazione recentemente ottenuta, o prossima. Ovviamente si potrebbe pensare che mostrare delle foto di lui stesso nudo e drogato in un hotel sarebbe stato sufficiente.”
“Buona considerazione,” le concesse Ryan. “Magari è una sorta di messaggio per qualcun altro.”
“Anche questa è una possibilità,” disse Jessie, guardandosi attorno nella stanza, alla ricerca di qualcosa che forse le stava sfuggendo. “Ma sarei propensa a pensare che, per il modo in cui si muovono i messaggi, due proiettili alla testa avrebbero avuto maggiore impatto. Penso che sia necessario scoprire chi è questo tizio prima di poter trarre delle reali conclusioni.”
Ryan annuì soddisfatto.
“Perché non scendiamo alla reception,” le disse. “Vediamo cos’hanno da dirci sul nostro John Smith.”
L’addetto alla reception che aveva fatto il check-in per “John Smith” della City Logistics aveva terminato il turno alle sei di mattina e avevano dovuto richiamarlo lì. Mentre aspettavano il suo arrivo, Ryan diede istruzioni all’ufficio della sicurezza di fornire loro i video di sorveglianza dall’ora del check-in, oltre a ogni strisciata della carta che dava accesso alla stanza del defunto.
Jessie era seduta nella lobby insieme a Ryan, in attesa, e osservava il via vai della routine dell’albergo. Alcune persone stavano facendo il check-out. Ma per lo più c’erano turisti che gironzolavano o gente d’affari che usciva per quelle che sembravano faccende da ‘titani dell’industria’.
Capì che il receptionist era arrivato nel momento in cui lo vide entrare. Vestito con blue jeans