C’erano poche persone al mondo che conoscevano la sua condizione. C’era la dottoressa Monk, e la dottoressa Francesca Applewhite, che era stata la mentore di Zoe sin dai suoi giorni al college. E poi c’era la sua partner all’FBI, l’Agente Speciale Shelley Rose.
E nessun altro. Non aveva neanche bisogno di tutte le sue dita per contarle. Quelle erano le uniche persone di cui si fosse mai fidata abbastanza da rivelare il proprio segreto, dalla prima volta in cui la sua condizione era stata diagnosticata da un dottore che non aveva mai più rivisto. Intenzionalmente. Per molto tempo, aveva pensato che fosse possibile, in qualche modo, fuggire o ignorare quella capacità che sua madre aveva definito “il dono del diavolo”.
Ma fino a quando la aiutava a risolvere crimini, Zoe non voleva che sparisse. Non più. Sarebbe soltanto utile riuscire a metterla in pausa mentre cercava di instaurare una relazione romantica, che non richiedeva misure specifiche del liquido contenuto in ogni bicchiere o della distanza tra gli occhi di John.
“Potrebbe essere utile riuscire a escogitare insieme dei modi per aiutarti ad “abbassare il volume”, a placare il tuo cervello, per così dire,” disse la dottoressa Monk. “È qualcosa che prenderesti in considerazione?”
Zoe annuì, sorpresa dal nodo che si era creato nella sua gola al pensiero di essere in grado di fare quanto detto dalla terapista. “Sì,” disse. “Sarebbe fantastico.”
“Perfetto.” La dottoressa Monk ci pensò su per un attimo, battendo distrattamente la penna sulla clavicola. Zoe aveva notato questa abitudine, un numero sempre pari di colpetti.
“Perché fa così?” sbottò, sentendosi in imbarazzo un secondo dopo aver posto quella domanda.
La dottoressa Monk la guardò sorpresa. “Ti riferisci al gesto di picchiettare la penna sulla spalla?”
“Mi scusi. Sono affari suoi. Non deve dirmi il motivo.”
La dottoressa Monk sorrise. “Non importa. In realtà, è una cosa che ho iniziato a fare quando ero una studentessa. È un esercizio di rilassamento.”
Zoe aggrottò la fronte. “Non si sente calma?”
“Certo. Ormai è diventata una sorta di abitudine, anche quando sto pensando. Mi permette di immergermi in uno stato più Zen. Di solito soffrivo di attacchi di panico quando ero più giovane. Hai mai sperimentato un attacco di panico, Zoe?”
Zoe ci pensò su, cercando di capire cosa si intendesse con attacchi di panico. “Non credo.”
“Che si tratti di un vero e proprio attacco di panico o di qualcosa di meno grave, abbiamo bisogno di trovare qualcosa che ti calmi, che faccia sparire i numeri. Vogliamo che la tua mente smetta di correre, permettendoti di concentrarti su una cosa alla volta.”
Zoe annuì, muovendo la dita sulle crepe del bracciolo in pelle della sua poltrona. “Sarebbe perfetto.”
“Iniziamo con un esercizio di meditazione. Ritengo che dovresti iniziare a praticare la meditazione ogni sera, magari appena prima di metterti a letto. Meditare sarà un aiuto costante che, nel tempo, migliorerà la tua capacità di controllare la mente. Non risolverà immediatamente la situazione, ma impegnandoti vedrai senza dubbio dei risultati. Mi segui?”
Zoe annuì silenziosamente.
“Bene. Ora ascolta attentamente le mie istruzioni. Voglio che ci provi subito, dopodiché potrai praticarla per conto tuo stasera. Inizia chiudendo gli occhi e contando i tuoi respiri. Prova a rimuovere qualsiasi altra cosa dalla tua mente.”
Zoe obbedì e chiuse gli occhi, iniziando a respirare profondamente. Uno, ripeté nella sua mente. Due.
“Benissimo. Non appena arriverai a dieci, ricomincia da uno. Non continuare a contare. Concentrati soltanto su quei respiri, fino a quando non inizierai a sentirti rilassata.”
Zoe cercò di farlo, sforzandosi di allontanare gli altri pensieri dalla mente. Era difficile. Il suo cervello voleva comunicarle la presenza di un prurito sulla gamba destra, o il vago odore del caffè della dottoressa Monk, o voleva ricordarle quanto fosse strano essere seduta a occhi chiusi nell’ufficio di un’altra persona. E poi voleva dirle che stava sbagliando l’esercizio, e voleva permetterle di distrarsi.
Ad ogni modo, stava respirando al ritmo giusto? Quanto rapidamente avrebbe dovuto farlo? Lo stava facendo bene? E se avesse respirato male per tutto questo tempo? Per tutta la sua vita? Come avrebbe fatto a saperlo?
Nonostante i suoi dubbi, continuò a provarci in silenzio, e alla fine iniziò a sentirsi rilassata.
“Stai andando benissimo,” disse la dottoressa Monk, la sua voce era più bassa e tranquilla adesso. “Ora voglio che immagini un cielo. Sei seduta, alzi lo sguardo verso il cielo. Un blu stupendo; c’è soltanto una nuvola che fluttua, nient’altro all’orizzonte. Si allunga su un calmo mare blu. Riesci a vederla?”
Zoe non era brava con l’immaginazione, ma ricordò una foto che aveva visto di recente, un annuncio pubblicitario di un’agenzia di viaggi. Una famiglia che giocava felicemente in spiaggia, un incredibile paradiso blu alle loro spalle. La sua mente si diresse lì, concentrandosi su quell’immagine. Rivolse un piccolo cenno alla dottoressa Monk per farle capire di essere pronta a continuare.
“Bene. Senti il calore del sole sul tuo viso e sulle spalle. È una giornata meravigliosa. Soltanto una leggera brezza, esattamente il tipo di clima che ti piacerebbe trovare. Sei seduta su un piccolo gommone, appena al largo. Lo senti oscillare dolcemente al ritmo delle onde. È così calmo e sereno. Non è stupendo il sole?”
Zoe di norma sarebbe scoppiata a ridere per una cosa del genere, ma fece come le era stato detto, e poté quasi giurare di riuscire a provare quelle sensazioni. Un sole reale, che accarezzava la sua fronte. Non troppo forte: il sole adatto per un’abbronzatura, non per un melanoma.
Melanoma. Non avrebbe dovuto pensare a quel tumore. Concentrati, Zoe. Dondola al ritmo delle onde.
“Guarda di lato. Vedrai l’isola alle tue spalle. La spiaggia da dove sei appena venuta e, più indietro, il resto di questo paradiso. Cosa vedi?”
Zoe sapeva esattamente ciò che vedeva: un’altra immagine di una pubblicità di viaggi. Un posto dove tempo fa avrebbe voluto andare. Ma si trattava di una destinazione da luna di miele e lei era single all’epoca. In quell’occasione si era sentita ancora più sola.
“Sabbia dorata,” rispose, il suono della sua stessa voce stranamente distante ed estraneo. “Poi una macchia rigogliosa. Dietro, alberi tropicali che si allungano verso il cielo, tre metri e oltre. Il sole sta scendendo a un angolo acuto, le ombre sono lunghe soltanto quindici centimetri. Non riesco a vedere oltre. C’è un albero che pende a quarantacinque gradi sull’acqua, con un’amaca di due metri legata sotto. È vuota.”
“Cerca di concentrarti più sulla scena che sui numeri. Adesso ascolta. Riesci a sentire le onde che si infrangono dolcemente sulla spiaggia? Il canto degli uccelli?”
Zoe respirò profondamente, lasciandosi travolgere da queste nuove sensazioni. “Sì,” disse. “Pappagalli. Credo. Le onde arrivano a intervalli di tre secondi. Gli uccelli cantano ogni cinque secondi.”
“Senti il calore del sole sul tuo viso. Puoi chiudere gli occhi, smettere di contare. Sei al sicuro lì.”
Zoe respirò, continuando a guardare l’isola nella propria mente. Il suo sguardo deviava sull’amaca. Per chi era? Per se stessa, o un giorno ci sarebbe stato qualcuno accanto a lei? John? Lo voleva lì, su quest’isola tutta sua? L’amaca era concepita per un uomo. Lei era alta soltanto un metro e sessantotto centimetri. L’amaca era sospesa a sessanta centimetri sul pelo dell’acqua.
“Perfetto, Zoe. Ora, voglio che ti concentri nuovamente sul tuo respiro. Conta a ritroso a partire da dieci, proprio come abbiamo fatto prima, ma al contrario. Mentre lo fai, voglio che torni lentamente dalla tua isola. Lascia che