Kamui guardò la tomba e poi il suo amico, con più calma di rispetto a quando era iniziato quell’incubo. Non voleva che Shinbe fosse la prossima vittima, perciò lo capiva. Si staccò una piuma arcobaleno dalla sua ala destra e gliela premette sul collo.
Shinbe ansimò mentre la piuma iniziava a brillare intensamente, per poi essere assorbita nella sua pelle. Abbassò lo sguardo e vide la sagoma della piuma proprio sotto il colletto del suo soprabito.
«Ti aiuterà quando sarà il momento.» disse Kamui con un sorriso, poi lo abbracciò forte. Non avrebbe perso anche lui.
«Ci rivedremo, amico mio.» sussurrò Shinbe prima di scostarsi. Fece un cenno a Kotaro, sapendo che il Lycan si sarebbe preso cura di Kamui. Guardò di nuovo la tomba, poi distolse lo sguardo, lasciando che la frangetta nascondesse la sua tristezza. «Così sia.» sussurrò di nuovo mentre svaniva nell’oscurità.
«Piccolo, sei pronto?» chiese Kotaro a Kamui, dando le spalle alla tomba. Sapeva di non poter restare, Shinbe aveva ragione… più erano lontani, più l’incantesimo sarebbe stato al sicuro.
Kamui voleva protestare per il nomignolo che Kotaro gli aveva appena dato ma non aveva il coraggio. Il suo cuore era sepolto nel terreno ma avrebbe visto Hyakuhei pagare per i suoi crimini, anche se ci sarebbe voluta un’eternità.
«Sì.» rispose, asciugandosi gli occhi con il braccio, «Sono pronto.».
Kotaro gli mise un braccio attorno alle spalle e lo portò via. Il Lycan scoprì che non aveva più lacrime per la donna che aveva amato con tutto se stesso. Si sentiva come se qualcuno gli avesse strappato l’anima, riducendola a brandelli e restituendogliene solo metà.
Se l’incantesimo avesse funzionato, avrebbe rivisto la sua adorata Kyoko. Non poté fare a meno di sorridere ricordando tutte le pagliacciate che lui e Toya dovevano inventarsi per guadagnarsi il suo affetto. Avrebbe litigato volentieri per lei ancora una volta, se solo Toya fosse tornato. Dopotutto… lui voleva bene a entrambi.
Resistette all’impulso di voltarsi indietro verso la tomba. «Mille anni sono tanti ma io sarò lì ad aspettarti… Kyoko.».
Oggi… oltre mille anni nel futuro.
Una figura solitaria si trovava sul tetto dell’edificio più alto, con vista sulla città affollata. I suoi lineamenti non tradivano mai il ricordo straziante del corpo del suo unico fratello disteso senza vita sul terreno duro e freddo, secoli prima. Il suo cuore, un tempo caldo e pulsante, stretto negli artigli del sadico mostro che li aveva creati entrambi.
Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per allontanarsi dal male che lo circondava silenziosamente. Proprio come gli umani, si nutriva soltanto degli animali che trovava in natura. Anche se l’oscurità era l’unica cosa che gli era permessa, così come la maledizione di vampiro, non sarebbe mai diventato il demone che suo zio voleva che fosse.
Negli ultimi anni si era scatenato qualcosa dentro di lui… un desiderio che non riusciva a capire e che non provava da oltre mille lunghi anni.
La sua mente fu pervasa di ricordi mai dimenticati di un giovane innocente che gli aveva riempito la vita di felicità, anche in un mondo di oscurità. Toya… era così pieno di vita, con i suoi occhi dorati e l’ingenuità di un bambino. Ancora una volta provò un senso di colpa nel cuore per non essere riuscito a proteggere suo fratello minore.
I suoi occhi dorati, induriti da centinaia di anni di solitudine, divennero rossi al ricordo di una promessa che doveva ancora mantenere. Col passare dei decenni, Kyou diventava più forte. Si era avvicinato molte volte, ma l’oggetto del suo odio e della sua ira continuava a sfuggirgli.
Non si sarebbe placato finché quella vile creatura si sarebbe contorta in agonia davanti a lui, e la sua anima non sarebbe stata gettata nell’inferno cui apparteneva.
Lo sguardo di Kyou fu attirato dall’unico posto tranquillo di tutta la città… il parco in centro. «Luoghi del genere non dovrebbero essere così vicini al male.» mormorò nella notte. Saltando giù dall’edificio, continuò la ricerca come faceva da tanti secoli. Hyakuhei avrebbe pagato con la sua stessa vita per aver preso l’unica persona che gli stava a cuore. Suo fratello era perduto per sempre e non sarebbe mai più tornato.
«Toya…» sussurrò mentre scompariva nella notte, lasciando l’immagine di un angelo vendicatore.
Il parco era sempre tranquillo a quell’ora, era ancora pomeriggio e il sole era alto nel cielo. Kotaro passeggiava pigramente tra gli alberi in centro, accanto a un enorme blocco di marmo. Non sapeva da dove provenisse… era lì da tanto, da prima della città stessa. Sapeva solo che provava un travolgente senso di pace ogni volta che gli era vicino.
«Chi immaginava che una roccia quadrata potesse tranquillizzare la mente?» mormorò tra sé.
Imboccando un sentiero tra gli alberi, si diresse verso la pietra per guardarla. Anche se quel giorno si sentiva bene, sapere che era ancora lì lo faceva sentire meglio.
Kotaro si fermò quando arrivò e notò qualcuno seduto in stile indiano sopra la pietra, con i gomiti sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani. I suoi capelli viola corti ondeggiavano nella brezza leggera, dando al giovane un aspetto ancora più infantile.
«Che diavolo ci fai qui?» gli chiese Kotaro.
Kamui sorrise senza guardarlo e annuì verso il college in lontananza. «Aspetto che inizi la lezione.».
L’altro scosse la testa e proseguì, poi si fermò di nuovo e si voltò di scatto, «Ma che dici? Tu non frequenti questa scuola.».
Kamui gli fece l’occhiolino e svanì lentamente con una pioggia di polvere arcobaleno scintillante, dicendo: «Lo so.».
Kotaro lanciò un’occhiataccia alla polvere che vorticò prima di svanire completamente. «A volte quel ragazzo è un vero mistero.» disse al vento, poi osservò la pietra. Gli sembrò di sentire dei passi frettolosi ma non se ne rese davvero conto finché qualcuno non gli diede un colpetto sulla spalla. Sussultando, si voltò e vide Hoto e Toki che cercavano di riprendere fiato con le mani appoggiate sulle ginocchia. «Perché avete corso?» gli chiese con un ghigno.
Hoto gli porse un foglietto di carta, «Per te… dalla polizia… è importante.».
Kotaro lo prese, «Dalla polizia, eh? Dev’essere davvero importante, per farvi correre come due forsennati.».
Toki annuì prima di lasciarsi cadere su un fianco per riposare. Hoto s’inginocchiò e poggiò la testa sull’erba.
«Siete le due persone più pigre che io abbia mai visto.» si lamentò Kotaro scherzosamente.
«Mi fa male un fianco.» piagnucolò Toki, «Devo tornare… in ufficio… c’è l’aria condizionata.».
Kotaro sospirò rassegnato e li lasciò aspettare al caldo mentre leggeva il biglietto. Poi strinse la mano, accartocciando il foglio che aveva appena ricevuto dalla centrale di polizia non lontano dal campus. Un’altra ragazza era scomparsa senza lasciare traccia. Lui aveva trascorso parecchio tempo a indagare sulle sparizioni delle ragazze e, alla fine, tutto riconduceva al college in cui adesso era capo della sicurezza.
I suoi pensieri tornarono subito alla sua amata Kyoko. L’aveva ritrovata e, proprio come si aspettava, Toya non era