L'indomani, di buon mattino, i ciceroni portarono a ognuna delle due donne una profumatissima tazza di tè, accompagnata da dolcetti a base di uva sultanina e mosto, dicendo loro di prepararsi per essere ricevute dal Grande Patriarca. I loro compagni del giorno precedente le accompagnarono fino ai piedi di una scalinata, che conduceva ai piani superiori. Da quel momento sarebbero state accompagnate da una guida ben più anziana e molto meno attraente, in quanto a Ero e Dusai non era concesso salire al cospetto del Patriarca. Hiamalè, così si chiamava la nuova guida, era una persona che dimostrava almeno un'ottantina di anni, ma si diceva che ne avesse molti di più. Una lunga barba grigia ornava il suo viso e i capelli lunghi e argentei erano raccolti dietro la nuca in una lunga treccia. Salutò le donne nell'antica lingua e le invitò a salire. Nonostante l'età, l'anziano affrontò con agilità la scalinata, ramo dopo ramo, fino ad arrivare al quinto livello. Aurora e Larìs si resero conto di essere su una specie di torre che sovrastava il tempio e che, dalle finestre, si poteva ammirare la costruzione in tutta la sua magnificenza. L'anziano Hiamalè si inginocchiò avanti a una porta in legno, decorata con stupendi intarsi, e invitò le due donne a fare altrettanto. Come se qualcuno avesse avvertito la loro presenza, anche se non annunciati, la porta si spalancò e le due donne si trovarono al cospetto del Grande Patriarca.
«Non c'è alcun bisogno che vi prostriate avanti a me» disse, congedando l'anziano e invitando le due donne a entrare nella sua stanza. «Siete le benvenute. Vi stavo aspettando da tempo, la percezione del vostro arrivo era forte dentro di me. Mi presento a voi, fedeli adepte, che aspirate al sapere universale. Da quando sono in questo luogo mi faccio chiamare Roboamo, anche se questo non è il mio vero nome, in onore del figlio del Re Salomone che così si chiamava. La tradizione vuole che questo tempio sia stato fatto edificare proprio dal saggio Re in questi luoghi inaccessibili, tra queste che sono le più alte montagne della Terra, per fare da scrigno e da protezione al libro di magia più antico e più esatto, scritto proprio di suo pugno, “La chiave di Salomone”. Le leggende narrano che tale libro sia stato ritrovato, dopo qualche secolo dalla morte del famoso Re, all'interno della sua tomba, conservato in un contenitore in avorio insieme a un anello recante il suo sigillo. In molti cercarono di tradurre quello scritto prima in Latino, poi in Francese, ma nessuno riuscì appieno nell'intento, in quanto quello era solo un falso e Re Salomone aveva fatto in modo di renderlo incomprensibile. L'originale “Chiave di Salomone” è invece conservata nel Sancta Sanctorum di questo tempio e solo poche sagge persone, nel corso dei millenni, vi hanno potuto avere accesso. Forse tu, Aurora, potrai entrare a far parte di quei pochi eletti, ma non precorriamo i tempi. Voi siete qui per accedere al sapere conservato in questo luogo così come, prima di voi, sono giunte persone desiderose di consultare importanti testi, che sono stati raccolti qui da tempo immemorabile. Sono giunti sacerdoti di qualsiasi tipo di religione, ma anche importanti uomini di scienza, grazie ai quali questa costruzione è stata dotata di moderni comfort. Avete visto voi stesse l'impianto per la produzione di energia elettrica. Non è semplice far arrivare qui materie prime per la costruzione di tali impianti. L'ultimo scienziato che ci ha fatto visita era un Italiano, la cui idea era quella di trasformare l'energia dei raggi solari, ma anche quella insita nella luce stessa, in energia elettrica, per mezzo di microcelle, che lui chiamava celle fotovoltaiche, in onore del suo compaesano Alessandro Volta. Ma, mentre in voi vedo delle aure positive, intorno a lui aleggiava un'aura scura, tendente al nero, indice di malvagità e perfidia d'animo.»
«Come si faceva chiamare?» chiese Aurora, incuriosita e intimorita. «Ha avuto accesso al sapere, anche se avete dubitato di lui?»
«Mia cara Aurora, tu hai un'aura di un azzurro intenso, come il cielo limpido, e quindi hai il cuore puro, ma sei molto sensibile agli influssi esterni, perché ti fidi di tutti. Ed è per questo che sei accompagnata da Larìs, che ha un'aura rossa come il fuoco e che rivela il suo carattere impulsivo, determinato, pronto a sacrificare anche la sua stessa vita per aiutare chi le è vicino. Non posso rivelarti il nome di quella persona. Chiunque arrivi qui ha accesso ai testi e ai manoscritti che vi sono conservati. Poi sta a lui decidere come usare il sapere acquisito, se nel bene o nel male. Vedi, ogni religione tende a identificare il bene con Dio e il male con un'altra divinità contrapposta. Che poi Dio venga chiamato Javhè, Vishnu, Odino o Allah e il diavolo Satana, Lucifero, Seth o Sehuet è indifferente. Il bene e il male è dentro ognuno di noi e l'eterna lotta tra di loro si consuma nel nostro animo. In alcuni prevale il bene, in altri il male.»
«Grande Patriarca, rivelaci il percorso per accedere al Sapere Universale» riprese Aurora, «e ti saremo grate e ti onoreremo per il resto della nostra vita mortale.»
«Vedete, ci sono due vie per raggiungere l'obiettivo, una più rapida e una più lenta. Larìs, che è giovane seguirà questa seconda via, avrà tutto il tempo di consultare i testi, assimilare quanto contenuto in essi e imparare a usare, con l'aiuto dei Maestri, il suo Terzo Occhio, quello della saggezza, quello con cui riuscirà a percepire l'aura delle persone che le stanno intorno e penetrare i loro pensieri, entrando in contatto con la loro mente. È un percorso lungo che io stesso a suo tempo ho intrapreso, e che richiede costanza, concentrazione e applicazione. Per te, Aurora, che hai invece premura di assimilare tutto in fretta e tornare alla tua patria per combattere le forze maligne, ho in serbo una strada più breve.»
Battendo le mani, chiamò Hiamalè, che condusse Larìs fuori della stanza, mentre da un'altra porta entrarono due giovani ancelle con una tisana fumante per l'anziano patriarca. Roboamo bevve con cura poi, da un vassoio che gli veniva porto da una delle due ancelle, prelevò un astuccio e ne estrasse una siringa. «Papaverina. Inoculata nel corpo cavernoso del pene, consente un'erezione duratura per un soddisfacente rapporto, anche per una persona anziana come me. Ti trasmetterò tutto il mio sapere e la mia scienza tramite la congiunzione carnale, dopo di che avrai accesso al Sancta Sanctorum.»
Le ancelle aiutarono Aurora a spogliarsi e a coricarsi sui cuscini disposti all'uopo sul pavimento, poi si presero cura del vecchio, lo liberarono dei vestiti, gli praticarono l'iniezione, lo massaggiarono per bene, e quando capirono che era pronto a consumare il rapporto con la nuova arrivata, si ritrassero in un angolo della stanza. Il rapporto con l'anziano procurò ad Aurora un immenso piacere. Chiuse gli occhi e si abbandonò alle spinte di Roboamo. Al culmine dell'eccitazione, raggiunto l'orgasmo, capì che con il flusso di sperma stava penetrando in lei un calore che la pervadeva dalla punta dei piedi all'ultimo capello. Stava assimilando in un sol colpo tutto il sapere che l'anziano aveva accumulato in decenni di permanenza in quel luogo inaccessibile. A un certo punto, Aurora si rese conto che Roboamo era immobile sopra di lei. Aveva ancora il pene eretto, per effetto della papaverina, ma non respirava più, era spirato. Con un delicato movimento, spostò di lato il corpo di Roboamo e con non poca difficoltà si sganciò da lui. Mentre le ancelle si prendevano cura del defunto, Aurora si rivestì e venne assalita dalla paura: come raggiungere il Sancta Sanctorum senza la guida di Roboamo? Ma poi, concentrandosi, capì che, oltre al sapere, aveva assimilato tutto quello che era conservato nella sua memoria, e quindi conosceva già la strada da seguire per raggiungere la meta. Ma c'era di più, il rapporto appena consumato l'aveva trasformata, aveva la pelle più liscia, i seni più sodi, le gambe più snelle, i capelli meno sottili, insomma si sentiva ringiovanita. Cercò uno specchio, che le restituì l'immagine di una ventenne, l'immagine di lei stessa ma con quaranta anni in meno. Con le mani si toccò il volto, come per accertarsi che quello che vedeva fosse reale e non fosse una visione. Le rughe erano sparite, i suoi occhi verdi brillavano, non c'era ombra di opacità nel cristallino, i capelli erano tornati al loro color castano chiaro naturale. Ma non era tempo di soffermarsi su futili elementi. Doveva raggiungere la “Chiave di Salomone”.
Cercando di seguire i ricordi impressi nella mente di Roboamo, ridiscese le scale fino a piano terra. In un salone dalle pareti decorate, cercò una statua dorata che raffigurante un gatto. In corrispondenza del collo di quest'ultimo notò un medaglione dalla forma di un pentacolo. Lo ruotò e vide aprirsi un passaggio nella parete di fondo, l'unica su cui non si aprivano finestre. Entrò in un lungo corridoio semibuio, illuminato ogni tanto dalla fioca luce di antiche lampade a olio. Al termine del corridoio una scala a chiocciola scendeva nei sotterranei, fino a un altro salone riccamente decorato. Andò dritta verso una massiccia porta dorata, arricchita da bassorilievi in oro zecchino, raffiguranti episodi della vita del Re Salomone. Non vi era serratura per aprire