CAPITOLO 1
“Punta sempre alla luna, mal che vada avrai vagabondato
tra le stelle”. (Les Brown)
LA FUGA
“La vita è una lunga lezione di umiltà”. (James Matthew
Stavo correndo sulle scale per prendere la chiave che ci
avrebbe finalmente liberati. Sapevo istintivamente che erano
cinquantacinque scalini a salire e altri cinquantacinque a
scendere. Dietro di me si chiudevano le porte, i cancelli e
grate antichissime; tutto era buio e disperazione.
Paura e ansia i sentimenti, respiro corto e affannato,
pareti che dal giallo al bianco panna diventavano sempre più
sfumate… stavo entrando nell’inferno ma non potevo
rallentare. Nella mia corsa la chiave di uscita da quel posto
era tutto: era la salvezza!
Arrivata all’ultimo scalino scattai verso la stanza dove
c’era la chiave. Essa era il simbolo della liberazione, era il
nostro liberarci dalle tenebre… ma sapevo che il mostro con
gli artigli l’avrebbe difesa: non sarebbe stato semplice.
Affrontare il mostro richiedeva forza. Era stato un uomo
nella vita precedente, un uomo forte, pedofilo e di potere.
Potevo solo scattare sulla destra e attaccare con l’unica
sedia di legno che avevo trovato, una sedia contro un mostro
che era stato un mito in vita… Una vita fatta di eccessi,
bevute fino all’alba, cocaina, donne, milioni di donne,
pedofilia, finché non fu orrendamente arso vivo.
Ero sempre stata sensibile in vita e avevo capito,
percepito le debolezze del mostro, e d’improvviso attaccai:
con una finta di lato gli fracassai la sedia in testa. La
sedia si ruppe e in mano mi rimasero due monconi. Agitata, li
infilzai con rabbia nel torace e nel collo del mostro.
Ora l’orrenda figura bruciata era a terra. Potevo solo
tentare di dargli fuoco. Lo avrebbe rallentato: ne aveva la
fobia… l’orrendo mostro aveva la fobia del fuoco che avrebbe
spazzato via l’invidia che aveva nutrito durante la sua vita,
un’indivia feroce nei confronti della bellezza e
dell’innocenza – infatti era stato psicopatico e manipolativo.
Io ero quasi certa di questa sua fobia, ma dovevo pur
difendermi e renderlo inoffensivo.
Durante la vita aveva capito che l’invidia e la gelosia
erano mal viste, così le mascherava dietro una corazza fatta
di charme e intellettualismo, ma oscuri e aspri erano i suoi
pensieri; si dice infatti “gran brutta cosa è la fame”. Per me
l’invidia è peggio, e nella storia ha originato guerre, risse,
conflitti e infiniti lutti.
Trovai il mio accendino dei bei tempi, lo chiamavo lo
“Zippo dei miei sedici anni”, quando fumacchiavo di nascosto.
Mi mossi velocemente e lanciai lo Zippo, poi vidi la chiave,
la presi e corsi verso le scale.
Cinquantacinque scalini.
Ero giovane, e li percorsi volando.
Sentivo dolore al ginocchio ma perseveravo. Pensavo che
ogni scalino fosse la vita, li contavo e li ricontavo.
Raggiunta la cima, svoltai infine dietro la ringhiera che
proteggeva le scale e rapidamente consegnai la chiave ai
compagni trovati lì che cercavano la luce, ma anche a chi
voleva andare nella direzione opposta e avventurarsi per gli
abissi.
La chiave girò, ma nel mentre sentii che il mostro si
stava riprendendo e si stava avvicinando: voleva ripercorrere
la scala.
Noi volevamo uscire di lì e scappare verso la luce… luce
che cercavo da sempre, ma intanto avevo sempre davanti le
intricate sbarre del cancello dipinte di bianco che mi
ricordavano la purezza e ancora una volta la luce.
Le sbarre erano robuste e fitte e il mostro sarebbe
rimasto lontano da loro perché la luce mi proteggeva… ma che
cosa poteva mai essere questo elemento protettivo?
La luce? Cos’è mai la luce? Dio? Luce come Lucifero? Eh,
sono domande, sono domande… ma la risposta?
Continuavo a cercarla, e dopo essere scappata dal mostro
della cantina mi avventurai in una chiesa oscura.
Il mostro aveva bestemmiato, infuriato, con la sua voce
gutturale e spaventosa; aveva imprecato, ma le sbarre erano
state chiuse, tutti erano scappati e la chiave era ora
disponibile per chi volesse morire o andare a ucciderlo
definitivamente. Io più di così non potevo fare.
Non capivo cosa ci fosse di strano nella vecchia chiesa
oscura, ma improvvisamente mi trovai da sola e al buio, in
quella chiesa polverosa e coi muri scalcinati e scarni.
Mi avventurai lungo la cella che credo fosse la navata di
destra e vidi uno strano inginocchiatoio con una statua.
Strana statua, pensai. Cosa avrà mai…
Era piena di sangue.
Un brivido e poi una voce.
«NON esiste una sola Morte!».
La morte sarà veramente la fine di tutto o andremo nel
passato? O nel futuro? O svaniremo lentamente in una nuvola di
fumo? Un passato vicino o lontano o una dimensione parallela?
Mi chiedevo ciò mentre mi ritrovavo fuori dalla chiesa
misteriosa a vagare in mezzo alle felci. Felci giganti,
maestose, dalle foglie lucide che avevano odore di selvaggio e
mi