“Stai bene?” chiese Mark con voce preoccupata.
Quasi immediatamente, tutti i sorprendenti dettagli che Royce aveva visto nello specchio iniziarono a svanire. La complessa rete di scelte e decisioni era troppo vasta per poterla contenere tutta insieme.
“So dove dobbiamo andare,” disse Royce. Mise la mano sul timone, spostandolo e portando la barca su una nuova rotta. Sapeva che era la direzione giusta, e che suo padre si trovava da quella parte.
“Cosa stai facendo?” chiese Mark.
Royce non aveva le parole per spiegare, o meglio, poteva farlo, ma il solo tentativo di formare le parole gli faceva apparire così debole e precario tutto ciò che sapeva, come se ogni cosa potesse esplodere nel niente e nel caos come una bolla di sapone. Voleva dire tutto ai suoi amici, ma raccontare avrebbe cambiato la vera essenza delle cose.
“Dobbiamo andare da questa parte,” disse. “Mio padre… so dove si trova.”
“Ne sei sicuro?” chiese Mark. “Pensavamo di trovarlo sulle Sette Isole.”
“Io…” Royce non poteva spiegare. Non ci riusciva. “Ti fidi di me, Mark?”
“Lo sai,” rispose l’amico. Attorno a lui anche gli altri annuirono uno alla volta.
“Allora dobbiamo andare da questa parte,” disse Royce. “Per favore.”
Per un momento pensò che potessero discutere, che potessero tentare di far girare la barca verso il regno, o dirgli che era stato attanagliato dallo specchio. Ma uno alla volta, si sedettero al loro posto, aspettando mentre la barca continuava il suo corso.
Stavano andando a trovare suo padre, e questa volta Royce sapeva dove si trovava.
CAPITOLO DUE
Dust girovagava per l’isola mentre il caos regnava attorno a lui. Gli era difficile comprendere ciò che stava accadendo. Il fuoco esplodeva attorno ai suoi piedi, e lui semplicemente non reagiva. Invece continuava ad arrancare, con le rocce che gli crollavano accanto, l’intera isola che stava implodendo nel genere di entropia che Dust non avrebbe mai creduto possibile prima di aver guardato nello specchio.
“Mi sono sbagliato,” mormorò tra sé e sé mentre avanzava. “Mi sono sbagliato un sacco.”
Una volta aveva creduto in un mondo dove i sacerdoti erano tutto, e aveva mantenuto il destino sul suo unico corso predefinito. Poi era stato sicurissimo di poter scegliere una via tra quelle offerte dal fato. Aveva visto gli orrori in arrivo, aveva visto la morte che andava fermata.
Ora Dust non sapeva che pensare.
Inciampò andando avanti, mentre i massi gli cadevano attorno. Non tentava di schivarli, ma loro lo mancavano comunque, forse grazie a qualche rimasuglio di irragionevole conoscenza che gli faceva mettere i piedi nei punti giusti.
“Com’è possibile?” si chiese. “Come si può comprendere la vastità del tutto?”
Ora capiva perché si dicesse che lo specchio faceva impazzire la gente, anche se nessuno gliel’aveva detto, no? Era stata solo una delle tante cose che aveva visto. Aveva visto tutto, e quel tutto era davvero troppo per una sola mente. Aveva visto tutto ciò che aveva già visto un tempo nel fumo dei sacerdoti, e un milione di altre cose accanto a quelle.
La lava esplose accanto a lui, e Dust si voltò a guardarla con sguardo vuoto, gli occhi che quasi non la vedevano. Non c’era spazio per questo dopo tutte le cose che sarebbero potute succedere, e che erano successe, e che non sarebbero mai successe, ogni cosa raggomitolata in una palla che era impossibile sbrigliare.
“Ho fatto così tanto,” disse, arrampicandosi su un pezzo di ossidiana e non sentendo neppure i punti in cui i suoi palmi si tagliavano. “Pensavo…”
Poteva vedere in modo molto chiaro ciò che aveva pensato. Prima aveva creduto che i sacerdoti avessero ragione, e aveva fatto quello che gli ordinavano. Aveva fatto ciò che i segni sembravano suggerire, anche quando questo significava uccidere delle persone che non gli erano state nemiche e che non sarebbero mai state una minaccia per lui. Anche quando si era reso conto dei giochetti dei sacerdoti, aveva fatto delle scelte che avevano fatto del male alla gente. Aveva riversato la sfortuna in un anello per causare il caos. Era venuto a caccia di Royce…
“Merito di morire,” disse Dust. “Me lo merito.”
Continuò ad avanzare barcollando, cercando di capire il modo migliore per farlo, cercando di capire cosa fare. Camminò attraverso un prato ricoperto da quelle che sembravano schegge di vetro, non curandosi se si tagliava le gambe. Con la coda dell’occhio vide qualcosa che gli correva incontro.
Dust si girò senza pensarci, spostandosi ed evitando un colpo di lancia destinato al suo cuore. Una creatura dalle sembianze di una lucertola gli sibilò contro, tirando indietro la lancia, pronta a sferrare un altro colpo. Dust fece un passo in avanti, colpendole la gola con le dita rigide. La creatura barcollò all’indietro, annaspando, e Dust le fu subito addosso pugnalandola al petto con un coltello, così vicino che ora poteva sentire il calore del sangue su di sé. In quel momento gli sembrava l’unica cosa che poteva sentire.
Quando la bestia cadde a terra, Dust si maledisse per aver contrattaccato. Avrebbe potuto restare fermo, avrebbe potuto permettere alla creatura di ucciderlo come meritava per tutto quello che aveva fatto.
“Puoi ancora farlo,” disse Dust. Osservò il coltello che aveva in mano, la lama che brillava al sole e che quasi lo ipnotizzava, nonostante il sangue scuro che ora lo ricopriva. Sarebbe stato così facile farlo scorrere lungo la propria gola, o piantarlo nei punti dove il sangue del corpo scorreva vicino alla superficie. Certi promessi Angarthim che si erano allenati con lui l’avevano fatto, quando gli sforzi imposti dai sacerdoti erano diventati insopportabili, conducendoli alla pazzia.
Se non con il coltello, allora c’erano cento altri modi per morire. Poteva sdraiarsi ai piedi di una creatura-lucertola, o lanciarsi da una scogliera. Poteva mettersi sotto a un masso che cadeva, o buttarsi in mezzo al fuoco. Poteva anche solo sedersi dove si trovava adesso. Su un’isola come quella, era più difficile tenersi in vita che morire, eppure Dust in qualche modo resisteva.
Era dubbioso, e mentre pensava, cercò di capire tutto ciò che aveva visto, ma non c’era modo di spiegare le cose. Aveva sempre pensato in termini di una singola linea del destino da poter scegliere, e invece c’erano decisioni che si diramavano in una rete di possibilità, fino a che nessuno poteva dire quale di queste cose sarebbe davvero accaduta.
Aveva visto tutto ciò che aveva visto prima, con la luce di Royce e il buio e il sangue che ne sarebbero seguiti, ma Dust aveva anche visto tutti i modi in cui non sarebbe successo, e tutta la luce che si sarebbe potuta trovare oltre. Aveva appreso della propria libertà, ma aveva dimenticato quella di ogni altro essere al mondo.
Aveva dimenticato la speranza.
“Speranza?” chiese parlando al vento. “Quale speranza c’è qui, su un’isola che sta crollando? Che speranza c’è di disfare ciò che ho già fatto?”
Conosceva già la risposta a questa domanda. Aveva visto un momento più potente di quelli che gli erano apparsi nel fumo dei sacerdoti. Più certo, più cruciale. Aveva visto una battaglia, e una figura con un’armatura scintillante che brandiva una spada di cristallo con abilità incredibile. Aveva visto quella figura uccidere, e aveva capito che quello era il momento che contava.
Dust si guardò attorno e si rese conto che in qualche modo aveva raggiunto la costa dell’isola. Lì c’era una barca che non era sua, ma era leggera, e aveva remi, e fu facile per lui spingerla in acqua mentre alle sue spalle l’isola crollava a pezzi.
Saltò nella barca, guardando il cielo sopra di sé e tentando di decidere cosa fare adesso, ma