Invece di qualcuno degli altri, c’erano Godwin e Rodry. Si era portato dietro una mezza dozzina di Cavalieri dello Sperone, Lars e Borus, Halfin e Twell, Ursus e Jorin, tutti uomini di fiducia, che lo servivano a dovere da decenni in alcuni casi; le loro armature erano goffrate con i simboli che avevano scelto e che adesso luccicavano tenui nella nebbia circostante il fiume. C’erano i paesani che avevano trovato quella cosa e, lì, sopra a un cavallo dall’aspetto malaticcio, si scorgeva la sagoma ricoperta da una tunica del suo stregone.
“Grey,” disse Re Godwin, facendo cenno all’uomo di avanzare.
Il Maestro Grey si avvicinò lento, sorreggendosi col bastone.
In circostanze diverse, Re Godwin avrebbe riso per quanto erano diversi. Grey era snello e rasato, aveva la pelle talmente pallida che quasi rendeva giustizia al suo nome e indossava sempre una tunica bianca e oro. Godwin era più robusto, aveva le spalle larghe e, nell’ultimo periodo, aveva anche messo una discreta pancia; era barbuto e sempre chiuso dentro a un’armatura, con i capelli scuri che gli sfioravano le spalle.
“Credi ci stiano mentendo?” chiese Re Godwin, facendo un cenno secco con la testa verso i paesani.
Godwin sapeva che gli uomini ci provavano, con ossa di mucca e frammenti di pelle, ma il suo stregone tacque. Grey si limitò a scuotere la testa e lo guardò dritto negli occhi.
Un brivido gli si arrampicò rapido su per la spina dorsale. Non c’era dubbio di quanto tutto ciò fosse reale; non era uno scherzo per cercare e ottenere favori, soldi, o entrambi.
Quello era un drago.
Aveva squame rosse come il sangue riversato su del ferro arrugginito. Le sue fauci erano zanne, lunghe quanto l’altezza di un uomo e i suoi artigli erano affilati come lame; le grandi ali erano aperte, lacerate e stropicciate, simili a quelle di un pipistrello gigantesco, e sembravano appena sufficienti a tenere in volo una bestia così possente. Il corpo della creatura era rannicchiato a terra, più lungo di una dozzina di cavalli e abbastanza grande che, in vita, avrebbe potuto sollevare Godwin come un giocattolo.
“Non ne ho mai visto uno prima,” ammise Re Godwin, poggiando una mano su quella pelle squamosa. Si era immaginato fosse calda ma, invece, era fredda e immobile come la morte.
“Pochi l’hanno fatto,” disse Grey. Se la voce di Godwin era profonda e sonora, quella di Grey era come il sussurrare delle foglie.
Il re annuì. Senza dubbio, lo stregone non avrebbe rivelato tutto ciò che sapeva e questo non era un pensiero che lo confortava. Vedere un drago in quel momento, per giunta morto…
“Cosa sappiamo di questo?” chiese il re e camminò giù per tutta la sua lunghezza, fino a ciò che restava di una coda che si estendeva in modo inverosimile oltre la carcassa.
“È una femmina,” disse lo stregone, “ed è rossa… con tutto ciò che ne consegue.”
Ovviamente, non spiegò cosa ne conseguisse. Lo stregone vi girò attorno, assorto nei pensieri. Di tanto in tanto, mandava un’occhiata all’entroterra, come calcolasse qualcosa.
“Com’è morta?” chiese Godwin. Aveva partecipato a numerose battaglie a suo tempo, ma non vedeva ferite da ascia o spada sulla creatura e non riusciva a immaginare quale arma potesse far male a una simile bestia.
“Forse… solo di vecchiaia.”
Godwin lo guardò fisso.
“Credevo vivessero per sempre,” disse Godwin. In quel momento, non era un re, ma il ragazzino che molti anni prima si era recato a incontrare Grey, in cerca di aiuto e conoscenza. Lo stregone gli era sembrato anziano anche allora.
“Non per sempre. Un migliaio di anni, solo quelli nati sotto alla luna dei draghi,” disse Grey, e sembrava stesse citando qualcosa.
“Un migliaio di anni sono comunque tanti per trovarne uno morto qui, adesso,” disse Re Godwin. “Non mi piace. Mi sa molto di profezia.”
“Può darsi,” ammise Grey, ed era un uomo che di rado ammetteva qualcosa del genere. “La morte a volte è una profezia molto potente, altre è solo morte e altre ancora può essere anche vita.”
Lanciò un’altra occhiata al regno.
Re Godwin sospirò, afflitto per non riuscire mai a comprendere a fondo quell’uomo, poi tornò a concentrarsi sulla bestia, cercando di determinare come qualcosa di così magnifico e potente potesse essere morto. Non c’erano segni di battaglia sul suo corpo, nessuna ferita evidente. Fissò la creatura negli occhi, come potesse trovarvi un qualche tipo di risposta.
“Padre?” gridò Rodry.
Re Godwin si voltò verso suo figlio. Somigliava così tanto a lui a quell’età, forte e muscoloso, pure se con qualche traccia del bell’aspetto di sua madre e i capelli chiari, per ricordargliela adesso che se n’era andata. Era in sella a un destriero e indossava un’armatura con intarsi di un blu brillante. Sembrava impaziente all’idea di essere bloccato lì, a non fare niente. Forse, quando aveva sentito dire che c’era un drago, aveva sperato di poterne battere uno. Era ancora abbastanza giovane da credere di poter vincere contro tutto.
I cavalieri attorno a lui aspettavano calmi delle istruzioni dal loro re.
Re Godwin sapeva che non potevano restare fuori ancora a lungo. Così vicini al fiume, c’era il rischio che la gente del sud attraversasse uno dei ponti, e si stava facendo buio.
“Ci stiamo mettendo troppo e la regina penserà che stiamo entrambi cercando di evitare i preparativi delle nozze,” segnalò Rodry. “Ci vorrà un bel po’ per tornare indietro, anche al galoppo.”
Quello era il punto. Con il matrimonio di Lenore a una settimana di distanza, Aethe non era certo disposta a chiudere un occhio al riguardo, soprattutto se l’assenza era dovuta a un’uscita con Rodry. Nonostante gli sforzi del marito, la regina era ancora convinta che preferisse i tre figli avuti da Illia, rispetto alle tre figlie che gli aveva dato lei.
“Torneremo in tempo,” rispose il padre. “Prima, però, dobbiamo risolvere questo.” Re Godwin lanciò un’occhiata a Grey e continuò. “Se si diffondono voci sul drago, per non parlare del fatto che è morto, tutti penseranno sia di cattivo auspicio e non ho intenzione di tollerare presagi funesti nella settimana delle nozze di Lenore.”
“No, certo che no,” disse Rodry, sembrando imbarazzato per non averci pensato da solo. “Quindi, cosa facciamo?”
Il re aveva già escogitato una soluzione. Per prima cosa, raggiunse i paesani ed estrasse tutte le monete che aveva.
“Vi ringrazio per avermi parlato di questo,” disse, porgendo loro il denaro. “Adesso tornate alle vostre case e non dite a nessuno ciò che avete visto. Non siete mai stati qui e questo non è mai accaduto. Se mi viene all’orecchio qualcosa di diverso…”
Colsero quella minaccia tacita, inchinandosi alla svelta.
“Sì, mio signore,” disse uno, prima che entrambi si dileguassero.
“Ora,” disse, rivolgendosi a Rodry e ai cavalieri. “Ursus, tu sei il più vigoroso; vediamo quanta forza hai davvero. A prendere delle funi, uno di voi, così potremo trascinare la bestia tutti insieme.”
Il più robusto dei cavalieri annuì in segno di approvazione e si misero al lavoro, rovistando nelle bisacce finché uno non ne estrasse delle corde spesse. Twell, il pianificatore infallibile che aveva sempre tutto ciò che serviva.
Legarono i resti del drago, impiegandoci più tempo di quanto Re Godwin avrebbe apprezzato. L’enorme mole della bestia sembrava opporre resistenza ai tentativi di contenerla, quindi Jorin, da sempre il più sveglio, dovette arrampicarvisi sopra con una corda sulle spalle per legarla. Balzò giù con grazia, nonostante l’armatura. Alla fine, riuscirono ad assicurarla. Il re andò verso di loro e afferrò la fune.
“Beh?”