“Allora cosa mi consiglia?” chiese Mackenzie.
“Ecco, vorrei eseguire una visita approfondita sul bambino, solo per assicurarmi che il suo improvviso cambio di posizione non lo abbia messo in pericolo – il che spiegherebbe il battito cardiaco irregolare. Se non è così, e non c'è motivo di credere che sia così, prepareremo una sala operatoria il prima possibile.”
L'idea di saltare il parto tradizionale era allettante, certo, ma non la esaltava l’idea di un intervento chirurgico.
“Faccia ciò che ritiene sia la cosa migliore”, disse Mackenzie.
“È sicuro?” chiese Ellington, senza nemmeno tentare di nascondere il tremito di paura nella sua voce.
“Completamente sicuro,” disse il dottore, pulendo il gel in eccesso dalla pancia di Mackenzie. “Ovviamente, come per qualsiasi intervento chirurgico, dobbiamo informarvi che esiste sempre un fattore di rischio quando qualcuno è sul tavolo operatorio. Ma il parto cesareo è molto comune. Ne ho eseguiti personalmente più di cinquanta. E se non sbaglio la sua ginecologa è la dottoressa Reynolds. Ha qualche anno più di me... ma non ditele che ve l’ho detto... e vi garantisco che ne ha eseguiti più di me. Siete in ottime mani. Posso prenotare una sala?”
“Sì”, disse Mackenzie.
“Perfetto. Troverò una sala operatoria e mi assicurerò che la dottoressa Reynolds sia informata.”
Mackenzie lo guardò andarsene e poi abbassò lo sguardo sul suo ventre. Ellington si avvicinò e le loro mani si intrecciarono sulla dimora temporanea del loro bambino.
“Mette una certa paura, eh?” chiese Ellington, baciandola sulla guancia. “Ma andrà tutto bene.”
“Certo” disse lei con un sorriso. “Se pensi alle nostre vite e alla nostra relazione, sembra scontato che il bambino debba venire al mondo creando un po’ di scompiglio.”
Era sincera ma, nonostante tutto, in quello che era uno dei loro momenti più vulnerabili insieme, Mackenzie nascondeva più paura di quanto volesse far trasparire.
***
Kevin Thomas Ellington nacque alle dodici e venti. Pesava tre chili e trecento grammi e, secondo Ellington, aveva la stessa testa deforme e le guance rosse del padre. Non era esattamente l'esperienza di parto che Mackenzie si era aspettata, ma appena udì il suo primo vagito e i suoi primi respiri, non le importò più. Avrebbe anche potuto partorirlo dentro un ascensore o in qualche edificio abbandonato. Era vivo, era lì, e quella era la cosa importante.
Quando sentì le grida di Kevin, Mackenzie si concesse di calmarsi. Era stordita a causa dall'anestesia per il taglio cesareo e sentiva il sonno trascinarla. Era vagamente consapevole che Ellington era al suo fianco, con tanto di cuffia bianca da sala operatoria e camice blu. Le baciò la fronte senza cercare in alcun modo di nascondere il fatto che stesse piangendo apertamente.
“Sei stata fantastica,” disse tra le lacrime. “Sei così forte, Mac. Ti amo.”
Mackenzie aprì la bocca per dirgli che anche lei lo amava, ma non era del tutto sicura di averlo detto. Si addormentò cullata dai meravigliosi suoni di suo figlio che piangeva ancora.
La sua vita nell’ora successiva parve una specie di beatitudine frammentata. Era per lo più incosciente e non sentiva ancora nulla, mentre i dottori la ricucivano. Era completamente priva di sensi quando fu trasferita nella sala post-operatoria. A malapena si accorse di una equipe di infermieri che la visitavano, controllando i suoi parametri vitali.
Fu solo quando una delle infermiere entrò nella stanza che Mackenzie iniziò ad avere una presa più salda sui propri pensieri. Allungò goffamente una mano, cercando di prendere quella dell'infermiera, ma la mancò.
“Quanto è passato?” volle sapere.
L'infermiera sorrise, dimostrando che si era trovata in quella situazione molte altre volte. “È rimasta addormentata per circa due ore. Come si sente?”
“Come se avessi bisogno di tenere in braccio il bambino che è appena uscito da me.”
Questo suscitò una risatina da parte dell'infermiera. “È con suo marito. Adesso li faccio entrare entrambi.”
L'infermiera se ne andò e per tutto il tempo gli occhi di Mackenzie rimasero incollati alla soglia, finché Ellington non entrò, poco dopo. Stava spingendo una delle piccole culle dell'ospedale. Il sorriso sul suo viso era diverso da qualsiasi altro gli avesse mai visto prima.
“Come ti senti?” chiese accostando la culla accanto al suo letto.
“Come se le viscere mi fossero state strappate via.”
“Infatti è così” replicò Ellington con espressione divertita. “Quando mi hanno portato in sala operatoria, c’erano le tue budella in diversi contenitori. Adesso ti conosco dentro e fuori, Mac.”
Senza bisogno che Mackenzie glielo chiedesse, Ellington si piegò nella culla e tirò su il loro figlio. Lentamente, le porse Kevin. Mackenzie se lo strinse al petto e sentì immediatamente il suo cuore protendersi verso di li. Fu attraversata da un'ondata di emozione. Non ricordava se avesse mai pianto lacrime di felicità in vita sua, ma fu esattamente quello che fece mentre bacava la testolina di suo figlio.
“Siamo stati bravi”, disse Ellington. “Cioè, la mia parte è stata facile, ma sai cosa intendo.”
“Sì,” disse lei. Guardò gli occhi di suo figlio per la prima volta e le sembrò che qualcosa fosse scattato. Aveva la sensazione che la sua vita fosse cambiata per sempre. “Sì, siamo stati bravi.”
Ellington si sedette sul bordo del letto. Lo spostamento le causò una fitta al ventre – l’operazione si era conclusa meno da meno di due ore – ma non disse nulla.
Rimase lì a sedere, avvolta dal braccio di suo marito, con il loro figlio appena nato tra le braccia e non riuscì a ricordare un solo momento della sua vita in cui avesse provato una felicità così assoluta.
CAPITOLO DUE
Mackenzie aveva trascorso gli ultimi tre mesi della gravidanza leggendo qualsiasi libro sui bambini che era riuscita a trovare. Non sembrava esserci una risposta univoca su cosa aspettarsi nelle prime settimane a casa con un neonato. Alcuni dicevano che l’ideale fosse dormire quando il bambino dormiva. Altri suggerivano di dormire appena ce n’era l’occasione, con l'aiuto del coniuge o di altri membri della famiglia che erano disponibili. Tutto ciò aveva fatto capire a Mackenzie che il sonno sarebbe stato solo un prezioso ricordo del passato, una volta portato a casa Kevin.
Questo si rivelò esatto per le prime due settimane circa. Alla prima visita di Kevin si era scoperto che soffriva di un grave reflusso gastrico. Ciò significava che, ogni volta che mangiava, doveva essere tenuto in posizione verticale per quindici-trenta minuti. Era piuttosto semplice, ma diventava impegnativo durante le poppate notturne.
Fu proprio in quei momenti che Mackenzie iniziò a pensare a sua madre. La seconda notte che aveva dovuto tenere dritto Kevin dopo averlo allattato, Mackenzie si chiese se sua madre avesse affrontato qualcosa del genere. Si domandò che tipo di bambina fosse stata.
Probabilmente avrebbe piacere di vedere suo nipote, pensò Mackenzie.
Ma era un concetto terrificante. Già trovava difficile chiamare sua madre anche solo per salutarla, se poi doveva dirle dal nulla che era diventata nonna...
Sentì Kevin che si agitava contro di lei, cercando di mettersi più comodo. Mackenzie controllò l'orologio sul comodino e vide che lo aveva tenuto dritto per poco più di venti minuti. Sembrava essersi appisolato sulla sua spalla, così si avvicinò alla culla e ve lo adagiò. Era ben avvolto dalle coperte e sembrava a suo agio, così lo guardò un’ultima volta per poi tornare a letto.
“Grazie” disse Ellington di fianco a lei, mezzo addormentato.