“Come facciamo a sapere che non si tratta solo di incidenti tipici di arrampicata su roccia?”
“Ci sono segni di violenza prima della caduta.”
La mente di Mackenzie si era già messa in moto, alla ricerca di possibili risposte, nonostante il caso fosse solo nella fase iniziale. E proprio per questo, capì quale sarebbe stata la sua risposta per McGrath. Erano passati quasi otto mesi da quando aveva fatto qualcosa di attivo sul lavoro; l’eccitazione che la travolse in quel momento era la benvenuta, anche se inaspettata.
“Mi invii i dettagli del caso e l'itinerario di viaggio. Ma voglio tornare a casa entro due o tre giorni.”
“Naturalmente. Non credo sia un problema. Grazie, agente White. Le invierò tutto ciò che ho per e-mail.”
Mackenzie terminò la chiamata e per un momento si sentì come se fosse in mezzo a un sogno surreale. Eccola lì, nella prima centrale di polizia in cui avesse mai lavorato, a rimuginare sul suo passato, cercando di decidere il suo futuro. E adesso era arrivata la telefonata di McGrath, con un caso inaspettato sbucato dal nulla. Sembrava che l'universo stesse cercando di influenzarla nella sua decisione.
“Mackenzie?”
Fu distratta dall'assurdità di tutto ciò dalla voce di Nancy Yule. Sorrise e scosse la testa. “Scusa. Ero solo assorta nei miei pensieri per un attimo.”
“Sembrava una telefonata importante,” disse Nancy. “Va tutto bene?”
Mackenzie si sorprese quando annuì e disse: “Sì. Penso proprio che vada tutto bene.”
CAPITOLO OTTO
Sette ore dopo, si trovava in un punto imprecisato sopra i cieli del Nebraska, diretta in Wyoming. Tutto era accaduto così rapidamente che non aveva avuto la possibilità (né i mezzi) di stampare i materiali che McGrath le aveva inviato riguardo il caso al Grand Teton National Park. Per questo motivo, fu costretta a leggere tutto sul suo iPhone.
A dirla tutta, non c’era molto materiale da visionare. I rapporti della polizia erano alquanto scarsi, così come quelli della scientifica. Quando qualcuno cadeva da una tale altezza, la causa del decesso non veniva solitamente discussa più di tanto. Esaminò i documenti diverse volte ma senza trovare alcunché, non perché non ne fosse capace, quanto piuttosto a causa della mancanza di informazioni. Anche i dettagli che aveva ricevuto sulle vittime non rivelavano molto. Due persone erano state vittime di incidenti mortali durante un’arrampicata su roccia, ma c’erano elementi che suggerivano non si fosse trattato affatto di incidenti. In uno dei due casi, la corda era recisa e le ferite su una delle vittime non erano imputabili ad una caduta.
Mackenzie prese appunti sul telefonino, domandandosi se ci fosse qualche collegamento tra il padre e l'omicidio del figlio. Non era molto ma, data la mancanza di informazioni, almeno era qualcosa.
Mentre l'aereo iniziava la sua discesa verso l'aeroporto di Jackson Hole, Mackenzie guardò fuori dal finestrino e vide le cime delle montagne del Grand Teton National Park. Il parco era davvero bello, nel limpido cielo azzurro della sera, e rendeva ancora più terrificante l'idea che un assassino vi si aggirasse indisturbato.
Quel panorama suscitò in Mackenzie anche una fitta di nostalgia per Kevin. Si sentiva un fallimento per averlo lasciato a casa, una madre senza cuore che aveva già anteposto altre priorità a suo figlio. Ma aveva letto parecchio in proposito; sapeva che quei sentimenti erano tipici dei neo genitori. Tuttavia, ciò non li rendeva meno reali.
Quando scese dall'aereo poco dopo, non le sembrava affatto di essere al lavoro su un caso. Era arrivata a Jackson Hole con gli stessi abiti che indossava quando aveva parlato con Nancy Yule al commissariato. Ovviamente, non aveva portato con sé la divisa del Bureau, poiché il viaggio era in origine per andare a trovare la madre; né aveva con sé la sua arma di servizio. Avrebbe dovuto risolvere la questione con la polizia del posto. Sperando che non ci fossero inghippi, dato che non c'era nessun ufficio dell'FBI nel Wyoming; la sede di Denver copriva gli stati del Colorado e del Wyoming.
Questa consapevolezza la fece sentire come se si trovasse in mezzo al nulla – una sensazione che si intensificò una volta entrata in aeroporto. Certo, era un aeroporto abbastanza bello, ma la scarna folla di persone faceva apparire il viavai del Dulles a Washington assolutamente caotico.
Proprio grazie alla mancanza di caos, però, Mackenzie individuò subito la donna vestita da poliziotto in fondo al gate. Sembrava sulla trentina, con i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo a scoprire un volto alquanto spigoloso. Sembrava che stesse osservando ogni persona che scendeva dal volo di Mackenzie. Quando i loro sguardi si incrociarono, la donna annuì educatamente e raggiunse Mackenzie nell'atrio.
“Sei tu l’agente White?” La targhetta argentata appuntata sopra il seno sinistro la identificava come Timbrook.
“Esatto, sono io.”
“Ottimo. Sono il sergente Shelly Timbrook. Ho pensato di incontrarti qui e risparmiarti la fatica di noleggiare un'auto. Inoltre... prima posso portarti sulla scena, meglio è. La seconda vittima – un maschio di ventidue anni di nome Bryce Evans – è stata trovata ai piedi di Logan's View e, dal momento che si trova all'interno del parco, dobbiamo tenere conto anche dell'opinione pubblica e tutto il resto.”
“Quanto è lontana l'entrata del parco?” chiese Mackenzie.
“Nemmeno dieci minuti. In altri cinque minuti si arriva a Logan's View.”
“Allora fammi strada.”
Timbrook prese il comando e si diresse verso l'uscita dell'aeroporto. Mackenzie la seguì, mandando un messaggio a Ellington per fargli sapere che era arrivata e si era messa in contatto con la polizia locale. Quando gli aveva telefonato per dirgli della chiamata di McGrath, lui lo aveva già imparato; disse che era stato McGrath a chiamarlo, subito dopo aver parlato con lei. Ellington era sembrato entusiasta dell'opportunità, sostenendo che sembrava proprio il tipo di attività di cui aveva bisogno per ritrovare la concentrazione.
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