Chloe ridacchiò uscendo dal bagno. “Credi che ieri sera influirà sul nostro lavoro insieme?”
“Potrei infilarmi di nascosto nella tua stanza d’albergo. A parte quello... non saprei. Vedremo.”
“Ti dispiace versarmi una tazza di caffè? Intanto mi vesto.”
“In realtà, speravo di poter usare la doccia.”
“Ma certo. Anche potevi chiedermelo dieci minuti fa, quando c’ero ancora io sotto.”
“Lo terrò a mente per la prossima volta” disse lui.
Mentre lui si infilava sotto la doccia e Chloe iniziava a vestirsi, si accorse di essere felice. Molto felice, anzi. Se si aggiungeva a quello che era successo la sera precedente un nuovo caso... sembrava quasi che la sua vita non fosse davvero stata sconvolta dall’arrivo improvviso di suo padre.
Ma se vivere in una famiglia disgregata come la sua le aveva insegnato qualcosa, era che non riuscivi mai a sfuggirle del tutto. In un mood o nell’altro, riusciva sempre a raggiungerti.
CAPITOLO QUATTRO
Più o meno negli stessi istanti in cui Chloe ricordava cosa volesse dire perdersi in un uomo, sua sorella era nel bel mezzo di un incubo.
Danielle Fine stava sognando di nuovo sua madre. Era un sogno ricorrente che faceva da quando aveva dodici anni, e in ogni fase della sua vita sembrava assumere un significato diverso. Il sogno in sé, tuttavia, era sempre lo stesso, non cambiava mai.
Nel sogno, sua madre la rincorreva in un lungo corridoio. Solo che era come lei e Chloe l’avevano trovata quel giorno, da bambine: sanguinante, con gli occhi sbarrati e senza vita. Per qualche ragione, la mente di Danielle aveva deciso che doveva essersi rotta una gamba nella caduta (nonostante nulla del genere fosse riportato nei verbali ufficiali), perciò la madre del sogno si trascinava zoppicando all’inseguimento della figlia.
Nonostante la ferita, il cadavere della madre riusciva sempre a starle alle calcagna, a pochi centimetri di distanza: avrebbe potuto quasi afferrarle la caviglia e farla finire a terra. Danielle scappava da quella visione raccapricciante terrorizzata, con gli occhi rivolti in fondo al corridoio. Là, in piedi davanti ad una porta che sembrava lontanissima, c’era suo padre.
Lui era sempre in ginocchio con le braccia spalancate e un gran sorriso stampato in viso. Le sue mani, però, gocciolavano sangue e in quell’istante di panico che finiva sempre per farla svegliare, Danielle smetteva di correre, ritrovandosi intrappolata tra la madre morta e il padre pazzo, non sapendo da che parte fuggire.
E il sogno non era diverso ora. Arrivata a quel punto, Danielle si svegliò all’improvviso. Si tirò su a sedere nel letto lentamente, così abituata, ormai, da capire che si trattava di un sogno prima ancora di essersi completamente svegliata. Assonnata, guardò l’orologio e vide che erano ancora le 23:30. Stavolta aveva dormito appena un’ora, prima che il sogno iniziasse.
Tornò a stendersi, consapevole che le ci sarebbe voluto un po’ prima di riaddormentarsi. Scacciò il sogno dalla sua mente; ormai aveva imparato molti anni prima come allontanarlo, ricordando a se stessa che non c’era niente che avrebbe potuto fare per impedire la morte di sua madre. Anche se avesse rivelato tutti i suoi piccoli segreti sulle cose che aveva visto, sentito e provato di persona sulla personalità tossica del padre, nulla di ciò che avrebbe detto o fatto avrebbe potuto salvare la madre.
Si girò e guardò il comodino, tentata di prendere il telefono e chiamare Chloe. Erano passate settimane dall’ultima volta che si erano sentite. Le cose tra loro erano tese e impacciate, ed era colpa sua. Sapeva di aver proiettato molta della sua negatività su Chloe, principalmente perché Chloe non odiava il loro padre con la sua stessa intensità e trasporto. Era stata Danielle a chiamarla, tre settimane prima, dopo aver capito che Chloe si aspettava fosse lei a fare il primo passo, dopo l’ultima conversazione che avevano avuto e che non era andata così bene... quando Danielle praticamente aveva detto alla sorella di non provare a contattarla.
Però non conosceva le abitudini di Chloe, non aveva idea se le 23:30 fosse troppo tardi per lei. A dire il vero, ultimamente Danielle faticava a prendere sonno prima delle due di notte. Quella era una delle rare sere in cui non era di turno al locale, né era richiesta per firmare documenti per la ristrutturazione del bar che il suo ragazzo le aveva comprato.
Allontanò dalla mente tutti i pensieri sul lavoro, cercando di dormire. Se si fosse messa a pensare a tutto quello che aveva in ballo, non si sarebbe mai riaddormentata.
Ancora una volta, ripensò a Chloe. Si domandò che genere di sogni facesse lei sui loro genitori. Si chiese se fosse ancora fissata con l’idea di liberare il padre e avesse semplicemente deciso di non dirglielo.
Finalmente il sonno la reclamò. L’ultimo pensiero di Danielle prima di addormentarsi fu per Chloe: si chiese so fosse arrivato il momento di perdonare e dimenticare, mettendo da parte i ricordi del padre per evitare che le impedissero un bel rapporto con Chloe.
Si stupì di quanto quel pensiero la rendesse felice... così felice che quando si riaddormentò lo fece col sorriso sulle labbra.
***
La giovane barista che era stata assunta per sostituirla aveva imparato presto. Aveva vent’anni, bella da morire, ed era una specie di prodigio a capire gli uomini ubriachi. Dato che se la cavava tanto bene, Danielle riuscì a incontrare il suo ragazzo e gli imprenditori nell’edificio che sarebbe diventato il suo pub e ristorante dopo appena un mese e mezzo.
Quel giorno erano in corso i lavori per l’impianto climatizzatore, mentre in una stanza sul retro, che sarebbe stata una sala prenotabile per grosse feste, venivano applicati dei pannelli alle pareti. Quando Danielle arrivò, il suo ragazzo stava leggendo un contratto con l’elettricista. Erano seduti ad uno dei tavoli che erano arrivati da poco – che Danielle aveva potuto scegliere fra tre tipi diversi, da sistemare nel ristorante.
Il suo ragazzo la vide entrare. Disse qualcosa all’elettricista e la raggiunse. Si chiamava Sam Dekker e, anche se non era l’uomo più onesto e intelligente del mondo, aveva una bellezza rude e un acume per gli affari a compensare. Era più alto di lei di una ventina di centimetri, così dovette chinarsi per scoccarle un rapido bacio.
“Eccomi a rapporto” disse Danielle. “Che posso fare, oggi?”
Sam si strinse nelle spalle, guardandosi intorno in modo quasi teatrale. “Sinceramente, non credo ci sia molto che tu possa fare. Sta andando tutto per il verso giusto. So che potrà sembrarti sciocco, ma forse potresti sfogliare il catalogo per vedere quali alcolici preferisci servire. Poi potresti decidere dove piazzare le casse sul soffitto, per la musica. Quelle sono cose che di solito si tralasciano e che poi saltano fuori nel momento meno opportuno.”
“Ok, lo farò” disse lei un po’ delusa.
A volte, quando arrivava al cantiere, aveva l’impressione che Sam volesse semplicemente tenerla impegnata, affidandole compiti banali così da poter gestire lui le cose importanti. In un certo senso sembrava che la sottovalutasse, ma del resto era consapevole che Sam sapeva quel che faceva. Aveva aperto tre bar, che stavano andando benissimo, e l’anno prima aveva venduto uno di essi ad una grossa società per più di dieci milioni di dollari.
E adesso aveva deciso di aiutarla ad aprire il suo locale. Era stato lui a convincerla, insistendo che sarebbe stata perfetta per gestire un posto del genere, una volta che ogni cosa fosse stata al suo posto.
Di solito le ragazze escono con i tipi ricchi per avere gioielli e macchine, pensò raggiungendo l’area che sarebbe diventata il bar. E io... ho avuto un locale. Non male, direi.
A volte, quando pensava a ciò che la aspettava, non si sentiva all’altezza. Sarebbe stata lei la responsabile del locale. Avrebbe gestito tutto e avrebbe preso tutte le decisioni. Oltre a ciò, si sentiva un po’ in colpa. Le sembrava che l’opportunità le si fosse presentata unicamente perché era finita in una relazione con un ragazzo che sapeva il fatto suo quando si trattava di affari. Di