Chloe scolò la seconda birra del pomeriggio e guardò l’orologio sul display del telefonino. Erano le 17:17, ovvero mezz’ora dall’ultima volta che aveva controllato. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che avesse provato una tale preoccupazione, un tale bisogno di sapere costantemente che ore fossero.
Notò a malapena il barista che si avvicinava. Fece un cenno al suo bicchiere vuoto e le chiese: “Un’altra?”
Stava per accettare. Non si ubriacava spesso, ma si domandò se, continuando a bere, avrebbe smesso di crucciarsi. Magari si sarebbe ubriacata al punto da dover tornare a casa in taxi, poi sarebbe crollata, svegliandosi al mattino solo per rendersi conto di essersi preoccupata per niente.
Ma questo non è da lei. Non è la nuova Danielle che ho imparato a conoscere.
“No grazie. Solo il conto.”
Il barista andò alla cassa, mentre Chloe riprendeva il cellulare. Il suo registro delle chiamate era la prova di quanto fosse in pensiero, specialmente quel pomeriggio. Era arrivata persino a chiamare lo strip club dove Danielle lavorava come barista. Ed era stato allora che aveva davvero iniziato a preoccuparsi. Il manager di Danielle l’aveva informata che si era data malata due giorni prima, dicendo di avere la mononucleosi o qualcosa del genere.
Ma se era così, non era rinchiusa in casa. E non rispondeva al telefono. Non ha molto senso spegnere il telefono quando si è malati, no?
Il barista le consegnò il conto e lei gli passò la sua carta di credito. Mentre firmava la ricevuta, si chiese se dovesse fare una denuncia di scomparsa. Sarebbe stato stupido; se qualcuno avesse presentato una denuncia in una simile situazione e lei fosse stata la persona incaricata di metterla a verbale, probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, ignorandola. Inoltre...a causa del passato di Danielle, una denuncia di scomparsa era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Guardando i precedenti di Danielle, non sarebbe stato esagerato supporre che avesse deciso di fare le valigie e trasferirsi altrove.
No, non la nuova Danielle...
Chloe se ne andò dal bar più frustrata di prima. Tentò di concentrarsi su una sola emozione, la preoccupazione o la frustrazione, ma si accorse che in realtà funzionavano perfettamente insieme, in modo alquanto irritante. Mentre si avviava a piedi verso il suo appartamento, cercò di convincersi che si stava comportando da stupida. Detestava essere così convinta che qualcosa non andasse. Non era mai stata una persona ansiosa, anzi, era sempre alla ricerca di qualche spiegazione logica per non doversi preoccupare in nessuna circostanza. Era sicura che, non appena avesse smesso di ossessionarsi, Danielle le avrebbe telefonato dicendole di aver lasciato la città per vedere i suoi vecchi amici nel Maryland, o qualcosa del genere.
Proprio mentre quella fragile rassicurazione le attraversava la mente, le squillò il telefono.
Il cuore le balzò subito in gola. Era così certa che fosse Danielle che non si preoccupò nemmeno di controllare il nome sul display. Dovette addirittura trattenersi dal pronunciare il nome della sorella rispondendo.
“Pronto?”
“Agente Fine...ciao” disse una voce maschile. Le ci volle un momento per riconoscerla e, quando lo fece, si sentì in colpa per essere così delusa. Era Kyle Moulton. In qualsiasi altro momento, avrebbe potuto essere contenta di sentirlo, ma essendo così ansiosa di sentire la sorella, la sua telefonata era quasi un evento insignificante.
“Ciao, Moulton.”
“Scusa se ti chiamo di punto in bianco, ma avevo un po’ di tempo libero. Di solito mi lasciano fare delle telefonate a quest’ora, più o meno due volte a settimana, così ho pensato di sentirti per sapere come stai.”
“Sto bene.” Si interruppe, facendo una smorfia per quella menzogna e per quanto le sue parole suonassero del tutto false. “Sai una cosa?” disse. “In realtà, sono in difficoltà, in questo momento.”
“Lavoro?”
“No. Questioni personali.”
“Ah, capisco. Accidenti, Fine. Anche l’ultima volta che abbiamo parlato c’era qualche faccenda privata che ti consumava. Le cose non stanno andando meglio?”
“Sono domande piuttosto insistenti, dette da qualcuno che è rinchiuso senza potermi offrire un sostegno emotivo.”
Moulton ridacchiò, seppur con scarsa allegria. “Lo so. Scusa. Ma ehi, dietro le quinte si sta smuovendo qualcosa...tutto legale. Sembra che la mia condanna potrebbe essere notevolmente ridotta. Anche se le possibilità che io torni a lavorare per il Bureau sembrano davvero minime.”
“Beh, incrociamo le dita.”
Rimase in silenzio per un minuto e, quando ricominciò a parlare, la sua voce era cupa. “Ehi, senti...volevo solo salutarti. Non sapevo che tutta questa faccenda privata ti stesse ancora tormentando. Posso chiamarti un’altra volta.”
“No, non sei tu. È solo che...è stata una giornata difficile.”
Stava quasi per raccontargli i suoi sospetti su Danielle, pensando che avrebbe potuto offrirle qualche prezioso consiglio. Ma alla fine decise che era qualcosa di troppo personale - e che metteva a nudo un lato paranoico di lei che non era pronta a mostrare a Moulton.
“Quindi...posso supporre che non ci sia stata una risoluzione con tuo padre, tua sorella e il diario?”
“No... è più che altro...”
Smise non solo di parlare, ma anche di camminare. Il suo appartamento era a un isolato di distanza, ma in quel momento non ci pensava affatto.
“Fine?”
“Sì...”
Non avevo nemmeno pensato a papà. È un po’ che non lo sento... sicuramente non negli ultimi giorni...
“Moulton... forse mi hai aiutato a capire qualcosa. Devo andare.”
“Ehi, sono felice di esserti stato d’aiuto” disse con un pizzico di allegria. “A presto, Fine.”
Chloe concluse la telefonata, quindi compose subito il numero di suo padre. Si portò il cellulare all’orecchio e, dopo un attimo di silenzio, partì il messaggio della segreteria. Restò lì immobile per un momento, cercando di prendere una decisione, sforzandosi di non saltare alle conclusioni presumendo il peggio.
Ma, ad essere sinceri, erano troppe le cose che non tornavano. Considerato quanto suo padre sembrasse ansioso di farsi perdonare, non aveva senso che evitasse le sue chiamate. Certo, era improbabile supporre che anche lui avesse lasciato la città o fosse scomparso, ma il fatto che si stesse verificando la stessa situazione con Danielle...era troppo da ignorare.
Chloe rimise in tasca il telefonino e coprì la distanza rimanente fino al suo appartamento di corsa. La preoccupazione si stava trasformando in paura e improvvisamente aveva l’impressione che ogni minuto che passava potesse aggravare ancora di più quel mistero.
CAPITOLO DUE
Trascorsero esattamente sedici minuti da quando Chloe aveva ricevuto la telefonata di Moulton a quando parcheggiò davanti all’appartamento di suo padre. La sua auto era lì, il che era un buon segno, suppose. Ciò però non servì minimamente ad alleviare il panico che cresceva in lei minuto dopo minuto. Corse su per gli scalini e bussò alla porta con urgenza.
Attese diversi secondi senza ricevere risposta. Ritentò, questa volta picchiando più forte. Si avvicinò, con il naso a pochi centimetri dall’uscio, e disse: “Papà, apri la porta.”
Di nuovo, non ci fu risposta. Nutrendo ben poche speranze, tentò di aprire la porta e si stupì di constatare che non era chiusa a chiave. Mentre l’uscio si spalancava, si rese conto di quanto fosse strano. E improvvisamente, il fatto che la porta fosse aperta non fece che aumentare ulteriormente la sua preoccupazione.
Entrò chiudendosi la porta alle spalle. La villetta a schiera era silenziosa e ordinata. Entrò nel soggiorno, osservando