“Oh. Uhm, ehi,” la salutò goffamente.
“Volevo solo dirti grazie,” esclamò Denise. “Ero sul punto di licenziarmi per colpa di Joshua. Mi aveva fatto credere di essere inutile, che non ero capace di scrivere e non avevo alcun talento. Stavo per smettere del tutto di fare del giornalismo. Ma grazie a te sono ancora qui e tutto sta andando mille volte meglio di prima.”
“Non c’è di che,” rispose Keira, con un certo orgoglio. Tenere testa a Joshua non era stato facile, ma ne era valsa la pena, e aveva aiutato più gente di quanto avesse pensato. Qualsiasi residuo del senso di colpa che aveva provato per via di ciò che aveva fatto svanì quando vide che impatto aveva avuto su tutto lo staff. Josh era un uomo adulto, responsabile delle proprie azioni. Nessuno lo aveva costretto a comportarsi da bastardo con tutti quelli che lo circondavano. Si era praticamente licenziato da solo, e Keira era solo stata il catalizzatore.
Provando un’ondata di sicurezza in sé per la prima volta da quando Shane le aveva spezzato il cuore, Keira si diresse verso la propria scrivania, pronta a rigettarsi nel lavoro. Era lì che dava il suo meglio, dopo tutto. Anche se la sua vita amorosa era andata in pezzi, la sua carriera stava decollando e lei l’avrebbe sfruttata nel modo migliore.
Ma quando ebbe raggiunto la sua postazione, vide che nessuna delle sue cose era lì. La foto incorniciata di sua madre e di Bryn era svanita, insieme al suo mini cactus, il tappetino del mouse a pois che la sua amica Shelby le aveva dato come regalo per la laurea, e la tazza a forma di gatto che l’altra sua migliore amica, Maxine, le aveva regalato l’anno prima. Sperò disperatamente che non fossero state gettate via per sbaglio. Erano piccole cianfrusaglie, essenzialmente prive di valore, ma per lei significavano molto.
Si guardò intorno, preoccupata. Fu a quel punto che notò Elliot che le si avvicinava a grandi passi.
L’uomo si fermò, torreggiando su di lei con il suo metro e ottanta di altezza, e le strinse la mano. “Bentornata. Ti ho trasferita nell’ufficio d’angolo, spero che vada bene.”
“Ho un ufficio?” ripeté lei, con tono incredulo.
“Certamente,” rispose Elliot. “Ora sei una scrittrice senior. Tutti i senior hanno un ufficio.”
Le fece cenno di seguirlo. Mentre Keira attraversava l’ufficio, colse un’occhiata di Nina. L’amica le strizzò l’occhio. Doveva averlo sempre saputo.
Si fermarono davanti alla porta aperta di un piccolo ufficio in angolo. Il nome di Keira era stato inciso su una targa dorata avvitata sopra. I suoi oggetti preferiti erano stati sistemati sulla scrivania nella stessa posizione in cui erano stati in precedenza, ma quando prima avevano dato alla sua area di lavoro un aspetto gremito, ora sembravano spersi in mezzo all’ampia stanza vuota.
Keira era euforica, come se stesse camminando sulle nuvole. Non aveva mai avuto un proprio ufficio, né una targa sulla porta.
“Va bene per te?” chiese Elliot.
“È incredibile!” rispose Keira, entrando e facendo una piroetta. La stanza non aveva esattamente le dimensioni giuste per un arabesque, ma per lei non aveva nessuna importanza.
“Abbiamo adottato una politica della porta aperta,” aggiunse Elliot. “A meno che non si stia svolgendo una riunione o una telefonata. Abbiamo votato mentre eri in ferie.”
Keira lo fissò con un’espressione sorpresa ma felice.
Non riusciva nemmeno a immaginare come potesse essere un sistema di votazione al Viatorum! Ai tempi di Joshua bastava che lui abbaiasse i suoi ordini e tutti obbedivano. Se ti chiamava in ufficio durante una festività nazionale, che fosse Natale, Hannukkah, Eid, o qualsiasi altra celebrassi, dovevi presentarti o eri licenziato. Keira era così felice che anche gli scrittori junior avessero una loro voce adesso.
“Ti hanno già presentato Lance?” continuò Elliot.
“Lance?” ripeté Keira. “No, è uno scrittore nuovo?”
Elliot scoppiò a ridere. “È il tuo nuovo capo,” annunciò.
“Oh,” rispose Keira, accigliandosi. “Pensavo che fossi tu il mio nuovo capo.”
Il pensiero di un’altra persona al comando la preoccupò. E se si fosse rivelato un altro Joshua? E se le loro visioni creative non avessero combaciato?
Elliot scosse il capo. “Non posso essere qui ventiquattro ore su ventiquattro. Nonostante tutti i suoi difetti, Joshua era molto zelante. Mi serve qualcuno sul campo anche quando non posso esserci io, ed è per questo che ho incaricato Lance. Ma non preoccuparti, ti piacerà. È l’opposto di Joshua, te lo garantisco.”
Lei lo seguì fuori dall’ufficio e nella sala conferenze, dove il suddetto Lance li stava già aspettando. Elliot aveva ragione, era il contrario di Joshua, almeno a prima vista. Era un uomo basso e robusto, che indossava un abito vecchio e sformato e aveva i capelli tutti scompigliati. Quando vide entrare
Keira le rivolse un ampio sorriso, un gesto che richiedeva muscoli che probabilmente Joshua non aveva nemmeno, e le tese la mano. Lei gliela strinse.
“Tu devi essere la star del Viatorum,” iniziò Lance. “L’eroina, Keira Swanson.”
Keira ridacchiò un po’ in imbarazzo. “Non esageriamo.”
“Non è un’esagerazione,” disse lui, riaccomodandosi sulla sua poltrona e invitando Keira ed Elliot a fare lo stesso con un gesto. “Ho letto tutti i tuoi vecchi pezzi e devo dire che hai un gran talento.”
“Grazie,” disse Keira arrossendo.
Non era abituata a ricevere complimenti. Elliot li concedeva raramente, Joshua mai. Ancora non sapeva come prenderli, come rispondere in modo appropriato ma senza sembrare arrogante.
Lanciò uno sguardo a Elliot mentre si sedeva accanto e lui e l’uomo le rispose con un’occhiata d’intesa, come per dirle: Te l’avevo detto che era tutto il contrario.
“Dunque, occupiamoci subito degli incarichi,” esordì Lance, battendo le mani. “Elliot ha preparato quello più succoso in assoluto.” Strofinò insieme le mani, sorridendo entusiasta. “La competizione sarà spietata!” Detto questo, saltò in piedi e corse alla porta. Con la voce più giuliva immaginabile chiamò: “È il momento degli incarichi, ragazzi e ragazze!”
Si scatenò un’attività frenetica mentre lo staff accorreva alla sala conferenze. Keira si sentì all’improvviso fuori luogo. Le cose erano molto cambiate, ma i ritmi erano sempre ugualmente veloci, a quanto pareva. E l’atmosfera competitiva non era svanita, era solo completamente diversa da quando Joshua era incaricato.
Mentre gli altri scrittori entravano nella sala, percepì fisicamente la loro fame e ansia di essere messi alla prova. Erano sempre state presenti ma in precedenza erano state offuscate dall’insicurezza. Senza Joshua a buttarli giù, insieme all’approccio amichevole e incoraggiante di Lance, gli altri scrittori del Viatorum avevano iniziato a fiorire, a dare il meglio di loro. Con sua sorpresa Keira si rese conto che la competizione alla rivista era più feroce che mai.
“Uno di voi fortunelli sta per ricevere il miglior incarico della propria vita,” annunciò Lance con un sorriso a trentadue denti. “Tre settimane di viaggio in Italia, e sto parlando di Firenze, la Toscana, Verona e Capri.”
Un bisbiglio eccitato, quasi elettrico, riempì la stanza.
Keira si agitò sulla sua sedia, desiderosa di ricevere quell’incarico. Non riuscì a impedirsi di immaginare quanto sarebbe stato fantastico visitare l’Italia, mangiare la vera pizza italiana e il gelato, piuttosto che l’imitazione offerta da Gino.
Quell’incarico era fatto chiaramente su misura per lei. Era l’unica persona ad avere esperienza con un lavoro simile. Ma dovevano desiderarlo tutti! Si era lasciata prendere da un falso senso di sicurezza, dopo gli applausi e il nuovo ufficio d’angolo. Ma sembrava che sotto sotto le cose fossero rimaste uguali, solo con una facciata differente. Si preparò alla lotta.
“Dunque,”