Stefania non l’avrebbe permesso. Sarebbe morta piuttosto, ma era invece molto più facile uccidere.
Scivolò silenziosamente fuori dal letto e guardò fuori da una delle piccole finestre della cabina del capitano. Porto Sottovento si trovava a poca distanza, la polvere che ricadeva dalle sue scogliere e ben visibile alla mezza luce dell’alba. Era una città brutta, consumata e decadente, e anche da lì Stefania riconosceva che si trattava per certo di un luogo di violenza. Kang aveva detto che non osava entrarci di notte.
Stefania aveva immaginato che fosse solo una scusa per poterla avere ancora una volta, ma forse c’era anche dell’altro. Dopotutto il mercato degli schiavi non sarebbe stato aperto a quell’ora.
Prese una decisione e si vestì silenziosamente, avvolgendosi nel suo mantello e infilando le mani nelle tasche. Ne tirò fuori una bottiglia e del filo, muovendosi con la cura di chi sa esattamente cosa sta maneggiando. Se avesse fatto un errore adesso, sarebbe stata morta, per il veleno o per il risveglio di Kang.
Stefania si posizionò sopra al letto, mettendo il filo in linea con la bocca di Kang meglio che poteva. Lui si mosse e girò nel sonno e Stefania lo seguì, stando attenta a non toccarlo. Se si fosse svegliato adesso, lei si trovava alla giusta distanza per essere colpita.
Fece gocciolare il veleno lungo il filo, mantenendo la concentrazione mentre Kang mormorava qualcosa nel sonno. Una goccia cadde verso le sue labbra, poi una seconda. Stefania si preparò al momento in cui avrebbe annaspato e sarebbe morto, preso dal veleno.
Invece lui aprì gli occhi di scatto e la fissò per un momento, prima senza capire, poi infuocato dalla rabbia.
“Puttana! Schiava! Morirai per questo.”
In un secondo le fu addosso, schiacciandola contro il letto. La colpì una volta, poi Stefania sentì l’opprimente forza delle sue mani che le si stringevano attorno alla gola. Stefania sussultò sentendosi senza fiato e dimenandosi nel tentativo di levarselo di dosso.
Dal canto suo Kang le stava addosso con la sua enorme stazza, bloccandola sotto di sé. Lei lottava, facendolo solo ridere mentre continuava a strozzarla. Stava ancora ridendo quando Stefania riuscì a prendere un coltello da sotto il mantello e lo pugnalò.
Kang sussultò al primo colpo, ma Stefania non sentì allentarsi la pressione alla gola. Il buio iniziava ad annebbiarle la vista, ma continuò a pugnalare, colpendo meccanicamente e d’istinto, alla cieca perché ora non poteva vedere altro che una leggera foschia.
Alla fine la stretta attorno alla sua gola si fece più morbida e Stefania sentì il corpo di Kang crollarle addosso.
Le ci volle un sacco di tempo per riuscire a divincolarsi e venirne fuori, annaspando e cercando di riprendere piena coscienza. Cadde dal letto, poi si alzò in piedi e guardò con disgusto il cadavere di Kang.
Doveva essere pratica. Aveva fatto ciò che era intenzionata a fare, per quanto fosse stato difficile. Ora toccava al resto.
Sistemò rapidamente le lenzuola in modo che sembrasse a primo colpo d’occhio che lui stesse dormendo. Attraversò rapidamente la cabina e trovò il piccolo baule dove Kang teneva l’oro. Poi scivolò sopraccoperta, il cappuccio sulla testa mentre andava verso la piccola scialuppa posizionata a poppa.
Vi entrò e iniziò a trafficare con le funi per farla calare in acqua. Le carrucole cigolarono come un cancello arrugginito e da qualche parte sopra di lei udì le grida dei marinai che cercavano di capire cosa fosse quel rumore. Stefania non esitò. Tirò fuori un coltello e iniziò a segare la fune che teneva sospesa la barca. Cedette subito e lei precipitò per il resto della breve distanza che la separava dalle onde.
Afferrando i remi iniziò a remare, dirigendosi verso il porto mentre dietro di lei i marinai si rendevano conto che non avevano modo di seguirla. Stefania remò fino a che arrivò al molo, poi scese dalla barca senza neanche curarsi di ormeggiarla. Di certo non sarebbe tornata indietro da quella parte.
La capitale di Cadipolvere era in tutto e per tutto quello che aveva promesso di essere guardandola dal largo. La polvere vi cadeva sopra in ondate, mentre attorno a lei delle figure si muovevano con intenti misteriosi. Un uomo le si avvicinò e Stefania gli puntò contro il coltello facendolo arretrare.
Si addentrò nella città. Sapeva che Lucio era venuto qui e si chiese come si fosse sentito in quel momento. Forse impotente, perché Lucio non sapeva come relazionarsi con la gente. Lui ragionava solo in termini di saltare addosso alla gente e chiedere, minacciare e intimidire. Era stato uno sciocco.
Stefania non era una sciocca. Si guardò attorno fino a che non vide la gente che per certo doveva avere delle informazioni: mendicanti e prostitute. Andò da loro con l’oro rubato e pose sempre la stessa domanda, più e più volte.
“Ditemi di Ulren.”
Lo chiese nei vicoli e lo chiese nelle case da gioco dove la posta sembrava essere il sangue, oltre al denaro. Chiese in negozi dove vendevano stracci per proteggersi dalla polvere, e chiese nei luoghi dove i ladri si riunivano al buio.
Scelse una locanda e vi entrò, spargendo voce che c’era oro per coloro che le avrebbero dato delle informazioni. Andarono da lei portandole brandelli di storie e pettegolezzi, voci e segreti in un miscuglio che Stefania era ben avvezza a gestire e districare.
Non fu sorpresa quando vennero a cercarla, due uomini e una donna, tutti avvolti nei panni tipici della città, quelli per proteggere dalla polvere, tutti con addosso l’emblema della ex Seconda Pietra. Avevano lo sguardo duro di persone abituate alla violenza, ma quella era una cosa che si poteva dire di quasi tutti lì a Cadipolvere.
“Stai facendo un sacco di domande,” disse la donna piegandosi in avanti contro il tavolo. Era tanto vicina che Stefania avrebbe potuto facilmente colpirla con un coltello. Era tanto vicina che avrebbero potuto benissimo essere delle amiche che si scambiavano confidenze a qualche ballo di corte.
Stefania sorrise. “Sì, è vero.”
“Pensavi che quelle domande non attirassero attenzioni? Che la Prima Pietra non abbia chi origlia nell’ombra?”
Stefania allora rise. Pensavano davvero che lei non avesse considerato la possibilità che ci fossero delle spie? Aveva fatto ben di più: ci aveva fatto affidamento. Era andata a caccia di risposte nella città, ma la verità era che stava andando a caccia più di tutto di attenzione. Qualsiasi sciocco poteva andare a un cancello e trovarsi l’accesso negato. Una donna intelligente faceva in modo che fossero gli altri a farla entrare.
Dopotutto, pensò Stefania con un certo divertimento, una donna non avrebbe mai dovuto essere quella che andava a caccia in una storia d’amore.
“Cosa c’è di tanto divertente?” chiese la donna. “Sei matta o solo stupida? Chi sei, comunque?”
Stefania tirò indietro il cappuccino in modo che l’altra donna potesse vederle il volto.
“Sono Stefania,” disse. “Ex sposa dell’erede dell’Impero, ex governatrice dell’Impero. Sono sopravvissuta alla caduta dell’Impero e ai migliori sforzi di Irrien per uccidermi. Penso che il tuo capo gradirebbe parlarmi, no?”
Si alzò in piedi mentre gli altri si guardavano tra loro, ovviamente cercando di decidere cosa fare in quella situazione. Alla fine fu la donna a prendere una decisione.
“Portiamola.”
Si misero al fianco di Stefania, ma lei fece in modo che muoversi insieme a loro apparisse come una sorta di nobile scorta, piuttosto che la conduzione di una prigioniera. Posò addirittura una mano suo braccio della donna, nel modo in cui avrebbe potuto fare con un’accompagnatrice durante una passeggiata in giardino.
Fecero strada attraverso la città, e dato che si trattava di una delle rare pause dalle tempeste di sabbia che imperversavano sulla città, Stefania non si preoccupò di mettersi il cappuccio in testa. Lasciò che la gente la vedesse, sapendo che le voci sulla sua identità e su dove stesse andando avrebbero avuto presto inizio.
Ovviamente, per quanto la stesse