“Quelli lì non sembrano messicani,” disse Ed Newsam.
Il viso di Pete Winn cambiò. Prima era stato amichevole, magari persino un pochino nervoso di incontrare Luke e la sua squadra. Adesso sembrava più che altro sprezzante.
“No, non sono messicani,” disse. “Abbiamo anche dei nativi qui.”
“Si nascondono dai cartelli della droga?” disse Swann.
Winn fissava dritto avanti a sé. “Signori, sono sicuro che ci sono aspetti del vostro lavoro che non siete liberi di discutere. Lo stesso vale per me.”
Dopo qualche minuto avevano raggiunto il lato più lontano del campo rispetto all’eliporto e agli edifici amministrativi. La macchina si fermò. Non c’era nessuno in giro – nessun prigioniero, nessun operaio, proprio nessuno. Su uno sporadico spiazzo di terra se ne stava una piccola cabina.
Gli uomini uscirono. Lo spiazzo era un pezzo brullo di terra compatta. Qualsiasi senso dell’attività del campo, e della vita stessa, era lontanissimo da qui.
Pete Winn porse a Luke un mazzo di chiavi. C’era su solo una chiave. Winn adesso aveva un viso serio. Aveva gli occhi duri e freddi. I suoi modi avevano portato a termine il cambiamento drastico da quelli dell’incerto funzionario che li aveva accolti all’eliporto a qualsiasi cosa fosse adesso.
“L’esistenza di questa cabina è secretata. Ufficialmente non esiste, né esiste il prigioniero. La vostra visita qui non esiste. Il governo cinese non ha fatto indagini, ufficiali o clandestine, su dove si trovi l’uomo chiamato Li Quiangguo. Io ritengo che i cinesi abbiano agito come se non avessero nulla da nascondere né di cui preoccuparsi, e che abbiano anche offerto assistenza per trovare la fonte della violazione del sistema operativo della diga.”
Fece un cenno con la testa in direzione della cabina.
“Le pareti della cabina sono insonorizzate. La chiave apre un armadio con l’attrezzatura nella stanza sul retro. Se sentite di aver bisogno di un po’ di attrezzatura per facilitare l’interrogatorio, potete trovare ciò che vi serve là dentro.”
Luke annuì, ma non disse niente. Non gli piaceva l’insinuazione che tutte quelle persone parevano fare che fosse stato chiamato lì per torturare il prigioniero.
Aveva torturato della gente in passato? Immaginava di sì, a seconda della definizione della parola. Ma nessuno lo aveva mai chiamato in una situazione con l’idea che torturasse un sospetto. Se l’avessero fatto sarebbero stati piuttosto cretini – c’erano persone molto più esperte nella cosa di Luke. Quando l’aveva fatto in passato, era stato al volo e aveva improvvisato, quasi sempre perché il soggetto possedeva delle informazioni critiche che Luke doveva ottenere subito.
Pete Winn proseguì, ma adesso i suoi modi erano più rilassati, e le sue parole banali.
“Se vi serve qualcosa, pranzo, birra, cena, o se volete che la macchina vi riporti all’eliporto, prendete il telefono della cabina e premete zero. Vi manderemo quello che vi serve. Possiamo sistemarvi sulla base per la notte se volete, e fornirvi ogni genere di articoli per l’igiene personale o altro. Sapone, shampoo, rasoi elettrici – abbiamo tutto quanto. Possiamo anche fornirvi un cambio di vestiti, nei limiti del ragionevole.”
“Grazie,” disse Luke.
“Adesso vi lascio fare,” disse Winn. “Buona fortuna.”
Quando se ne fu andato, Luke si fermò fuori dalla cabina a parlare coi suoi. Montagne verdi torreggiavano attorno a loro oltre la recinzione del campo. Il campo sembrava costruito dentro a un bacino.
“Swann, quanti anni sei stato in Cina?”
“Sei.”
“In quale zona?”
“Dappertutto. Ho vissuto a Pechino più che altro, ma ho trascorso molto tempo a Shanghai e Chongqing, anche un pochino al sud, a Canton e Hong Kong.”
“Okay, voglio che guardi questo tipo con attenzione, che scorgi qualsiasi indicazione che puoi da lui. Tutto quanto. Di dove pensi che sia. Quanti anni ha. Il suo livello di istruzione. Il suo livello di conoscenza dei computer. È poi davvero cinese? La gente di Susan Hopkins mi ha detto che il tipo parla perfettamente inglese. Quante probabilità ci sono che sia nato qui negli Stati Uniti, o in Canada, o a Hong Kong? O da qualsiasi altra parte, in realtà. Ci sono cinesi dappertutto.”
Swann scosse la testa. “Se è un agente operativo, questa roba non la capirò. Sarà troppo bravo a nascondere le proprie origini.”
“Tira a indovinare,” disse Luke. “Non è un problema di matematica. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Voglio solo sapere la tua impressione.”
Swann annuì. “Ricevuto.”
Adesso Luke lo guardò fisso. “Quanto sei schizzinoso?”
Non si era mai preoccupato prima della personalità di Swann, ma adesso gli era venuto in mente che Swann potesse essere un po’ l’anello debole, in materia.
“Schizzinoso? In che senso?”
“Io e Ed potremmo dover lavorare seriamente lì dentro.”
“Be’, datemi un segnale e andrò a farmi una passeggiata per questi bellissimi territori.”
“In questo caso, assicurati di fare ciao ai cecchini,” disse Ed Newsam.
A un centinaio di metri di distanza c’era una torre di guardia alta tre piani. Luke e Swann la guardarono. Nella torre c’era un uomo con un fucile che apparentemente li teneva sotto tiro. Da quella distanza sembrava che avesse il fucile puntato proprio su di loro, e che stesse guardando nel mirino.
“Può prenderci da lì?” disse Swann.
“Con gli occhi chiusi,” disse Luke.
“Si sta solo allenando, però,” disse Ed. “Allevia un po’ la noia.”
Entrarono.
*
L’uomo indossava una tuta giallo brillante. Sedeva su una sedia pieghevole di metallo nel mezzo di una stanza vuota. Era grande, con spalle ampie, braccia e gambe grosse e uno stomaco prominente.
Aveva un cappuccio nero sulla testa. Aveva i polsi ammanettati dietro la schiena. Le gambe ammanettate insieme all’altezza delle caviglie. Era chino in avanti, come se dormisse. Con il cappuccio sulla testa, era impossibile a dirsi.
Luke gli levò il cappuccio dalla testa. L’uomo si riscosse in apparente sorpresa, e si mise seduto dritto. Aveva i capelli nero lucido scompigliati – in alcuni punti se ne stavano alti a ciuffi, in altri appiattiti. Persino senza il cappuccio indossava ancora una mascherina – una di quelle che la gente si mette sul viso per dormire durante i lunghi viaggi aerei.
Sbadigliò, come risvegliandosi da un sonnellino pomeridiano.
“Li Quiangguo,” disse Luke. “Ni hui shuo yingyu ma?”
In cinese mandarino, le suo parole tradotte erano Parli inglese?
L’uomo fece un gran sorriso. “Chiamami Johnny,” disse. “Per favore. È il nome che uso qui in Occidente. E parliamo inglese. Rende le cose più facili per tutti, soprattutto per me.”
L’inglese dell’uomo era la versione americana, sicuramente, ma senza accento né intonazione regionale di qualsiasi tipo. Luke avrebbe potuto dire che sembrava che venisse dal Midwest. Ma in realtà sembrava che non venisse da nessuna parte. Poteva anche essere stato sparato giù da un’astronave con un raggio laser.
“Perché ti è più facile?” disse Luke.
“Mi è più facile nelle orecchie. Vuol dire che così non sono costretto a sentire persone come te massacrare la bellissima lingua cinese.”
Adesso sorrise Luke. “Dimmi, Li. Perché non ti sei ucciso quando ne hai avuto l’opportunità?”
Li