“Certo, certo. Allora… Voglio provare qualcosa con lei. Dato che questa è la prima volta che ci vediamo, non ho intenzione di provare l’ipnosi. Però voglio tentare un’altra terapia altrettanto efficace. È quella che alcuni chiamano “terapia temporale”. Spero che oggi ci possa servire per tirare fuori dalla sua mente ulteriori particolari di quella giornata; particolari che sono già nella sua mente, ma che è come se fossero nascosti perché lei ha paura di vederli. Si continuerà a fare le sedute con me, questa tecnica ci aiuterà a estirpare la paura e l’angoscia che si risvegliano in lei ogni volta che deve affrontare il ricordo di quel giorno. Che gliene pare? È disposta a provare oggi?”
“Sì” rispose senza esitazione.
“D’accordo, bene. Allora… Iniziamo da dove era seduta. Voglio che chiuda gli occhi e si rilassi. Si prenda qualche secondo per liberare la mente e mettersi comoda. Mi faccia un cenno quando si sente pronta.”
Chloe fece come le era stato detto. Si appoggiò allo schienale. La poltrona era in ecopelle ed era molto comoda. Si sentiva le spalle contratte, per il disagio di mostrarsi così vulnerabile davanti ad una persona che non aveva mai visto prima. Prese un profondo respiro e sentì i muscoli rilassarsi. Sprofondò nella poltrona e ascoltò il ronzio dell’aria condizionata. Rimase sintonizzata su quel suono per qualche istante, quindi fece un cenno del capo. Era pronta.
“D’accordo” disse Skinner. “Lei è fuori sulla gradinata del palazzo con sua sorella. Ora, anche se non ricorda esattamente le scarpe che indossava quel giorno, voglio che immagini di guardarsi i piedi, le scarpe. Voglio che si concentri su quelle e su nient’altro, solo sulle scarpe che indossava quel giorno quando aveva dieci anni. Lei e sua sorella siete sulla gradinata d’ingresso, ma tenga gli occhi solo sulle scarpe. Me le descriva.”
“Sono delle Chuck Taylor” disse Chloe. “Rosse. Consumate. Con i lacci larghi e flosci.”
“Perfetto, adesso studi quei lacci. Si concentri solo su di essi. Poi voglio che si alzi senza distogliere lo sguardo dai lacci. Si alzi e ritorni nel punto in cui era prima di scoprire il sangue sulla moquette ai piedi delle scale. Voglio che torni indietro di un paio d’ore, ma senza smettere di guardarsi i lacci delle scarpe. Pensa di riuscirci?”
Chloe sapeva di non essere sotto ipnosi, ma le istruzioni sembravano davvero semplici. Così chiare e facili. Nella sua mente, si alzò e tornò dentro l’appartamento. Una volta dentro, vide il sangue, vide sua madre.
“Ecco la mamma in fondo alle scale” disse. “C’è un sacco di sangue. Danielle è da qualche parte che piange. Papà cammina avanti e indietro.”
“D’accordo, ma guardi solo i lacci delle scarpe” le rammentò Skinner. “Adesso provi ad andare ancora più indietro. Ci riesce?”
“Certo, è facile. Sono insieme a Beth… una mia amica. Siamo appena tornate dal cinema. Sua madre ci ha riaccompagnate. Mi ha fatto scendere ed è rimasta sul marciapiede finché non sono entrata nel palazzo. Lo faceva sempre, non se ne andava finché non mi vedeva entrare.”
“Ok. Adesso continui a guardare i lacci delle scarpe mentre scende dall’auto e sale le scale. Poi mi racconti resto del pomeriggio.”
“Sono entrata nel palazzo e poi sono salita fino a secondo piano, dov’era il nostro appartamento. Quando mi sono avvicinata alla porta e ho preso le chiavi per aprire, da dentro ho sentito mio padre. Poi sono entrata, ho chiuso la porta e sono andata in soggiorno, ma ho visto il corpo della mamma. Era ai piedi delle scale. Il braccio destro era incastrato sotto il corpo. Il naso sembrava rotto e c’era sangue dappertutto. Il suo viso era quasi completamente sporco di sangue.
Il sangue aveva imbrattato tutta la moquette alla base delle scale. Credo che mio padre abbia cercato di spostare il corpo…”
La voce di Chloe si affievolì. Trovava sempre più difficile restare concentrata su quei vecchi lacci delle scarpe. La scena era troppo vivida perché potesse ignorarla.
“Danielle è lì in piedi, proprio davanti alla mamma. Ha le mani e i vestiti sporchi di sangue. Papà sta urlando al telefono, chiedendo di mandare in fretta qualcuno perché c’è stato un incidente. Quando chiude la conversazione, mi guarda e inizia a piangere. Lancia il telefono dall’altra parte della stanza, facendolo rompere contro il muro. Poi viene verso di noi e si china, dicendo che gli dispiace… Dicendo che l’ambulanza sta arrivando. Poi guarda Danielle e farfuglia qualcosa tra le lacrime, che noi capiamo a malapena. Sta dicendo che Danielle deve andare di sopra a cambiarsi i vestiti.
“È quello che fa, e io la seguo. Le chiedo cosa è successo ma lei non vuole parlarmi. Non sta neanche piangendo. Dopo un po’ sentiamo il suono delle sirene. Ci sediamo insieme a papà, aspettando che ci dica cosa succederà. Ma non ce l’ha mai detto. Arriva l’ambulanza, poi la polizia. Un poliziotto gentile ci accompagna fuori sulle scale e rimane con noi finché papà non viene portato via ammanettato. Finché non portano fuori il corpo della mamma…”
All’improvviso l’immagine dei lacci consunti delle scarpe svanì e Chloe era di nuovo a sedere sulla scalinata, che aspettava che la nonna l’andasse a prendere. Il poliziotto in sovrappeso era con lei e, anche se non lo conosceva, la faceva sentire al sicuro.
“Tutto ok?” Chiese Skinner.
“Sì” disse Chloe con un sorriso nervoso. “La parte di papà che lancia il telefonino… Me l’ero completamente dimenticata.”
“E cosa ha provato ricordando?”
Era una domanda difficile. Suo padre era sempre stata una persona irascibile, ma vederlo compiere quel gesto dopo quello che era appena successo a sua madre lo faceva quasi apparire debole, vulnerabile.
“Sono rattristata per lui.”
“Lo ha mai incolpato per la morte di sua madre da quando è successo?” Chiese Skinner.
“A essere sincera, dipende dai giorni. Dipende dal mio umore.”
Skinner annuì e abbandonò la sua posizione, alzandosi e guardandola con un sorriso rassicurante.
“Credo che per oggi possa bastare. La prego di chiamarmi se le capita di avere un’altra reazione del genere davanti ad una scena del crimine. E, comunque, vorrei che ci rivedessimo. Potremmo fissare un appuntamento?”
Chloe ci pensò su, poi annuì. “Va bene, ma sto per sposarmi e ho ancora molte cose da preparare; i fiori, la torta… È un incubo. Posso richiamarla con una data più precisa?”
“Certamente. Fino ad allora… Rimanga vicina all’agente Greene. È un brav’uomo. E ha fatto bene a mandarla da me. Voglio che lei sappia che, essendo all’inizio della sua carriera, il fatto che sia dovuta venire da uno psicoterapeuta per risolvere i suoi problemi non significa nulla. Non è indicativo del suo talento.”
Chloe annuì. Lo sapeva, ma era comunque bello sentirlo dire la Skinner. Si alzò e lo ringraziò. Mentre usciva dalla porta per tornare nella sala d’aspetto, rivide il padre che lanciava il telefonino. Poi però le sovvenne anche un commento che aveva fatto; non che se lo fosse scordato, ma fino a quel giorno era rimasto confuso.
Aveva guardato Danielle e, con voce fin troppo agitata, aveva detto: “Danielle, tesoro… Vai a cambiarti i vestiti. Non abbiamo molto tempo prima che arrivino.”
Quel commento continuò a frullarle in testa per tutto il pomeriggio, facendola rabbrividire. Era come se stesse spingendo per aprire una porta che era rimasta chiusa negli ultimi diciassette anni.
CAPITOLO SETTE
Danielle si svegliò alle otto, con la sensazione di non aver dormito bene, o di non aver dormito affatto. Era rientrata dal lavoro alle 2:45 per poi crollare sul letto alle 3:10. Di solito non aveva problemi a dormire fino alle undici, a volte persino più tardi; invece, quando aprì gli occhi quella mattina alle 8:01, non riuscì più a riaddormentarsi. A dire la verità, era da quando aveva scoperto che Chloe si