Sbatté le palpebre un paio di volte e la vista le si schiarì abbastanza da permetterle di vedere una piccola pattumiera di plastica stesa sul pavimento accanto al materasso. Si sporse per tirarsela vicino, si sforzò di vomitare lì dentro per trenta secondi buoni, ignorando gli occhi annebbiati dalle lacrime e il naso ancor più bagnato.
Udì un rumore, guardò in quella direzione, e vide che qualcuno aveva scostato una tenda nera svelando così che non si trovava affatto in una stanza piccola. Si trovava in un cavernoso deposito. Fin dove poteva vedere, c’erano altri materassi. E su quasi tutti c’erano ragazze della sua età, tutte in abiti succinti o nude.
Alcune erano sole – addormentate, o più probabilmente svenute. Altre erano con degli uomini, che se la spassavano con loro. Alcune ragazze si ribellavano, altre restavano distese inermi, e alcune non sembravano neanche essere coscienti mentre venivano violentate. Sarah era confusa ma calcolò che fossero almeno venti le ragazze nel deposito.
Qualcuno le si parò davanti. Era Chiqy, l’enorme ragazzo dalla barba lunga che aveva visto nella stanza di Dean. Improvvisamente, la mente di Sarah si schiarì e il distacco con cui prima aveva osservato il luogo scomparve. Il cuore cominciò a correre e sentì che il terrore aveva la meglio su di lei.
Dove sono? Che cos’è questo posto? Perché mi sento così debole?
Cercò di mettersi a sedere mentre Chiqy le si avvicinava ma le braccia crollarono e collassò sul materasso. Chiqy se la rise sotto ai baffi.
“Non cercare di alzarti,” disse, “le droghe che ti abbiamo dato ti rendono impacciata. Potresti cadere e romperti qualcosa. E non ce lo possiamo permettere. Sarebbe un male per gli affari. I clienti preferiscono romperle di persona le ossa, se proprio si devono rompere.”
“Che cosa mi avete fatto?” chiese con voce roca, cercando di nuovo di mettersi seduta.
Prima che capisse che cosa stava accadendo, Chiqy le diede un manrovescio in viso, facendola ricadere sul materasso e causandole un’esplosione di dolore che andava dalla clavicola all’orecchio. Mentre rantolava in cerca d’aria e cercava di rimettersi in equilibrio, lui si sporse e le sussurrò all’orecchio.
“Imparerai, signorina. Non alzare la voce. Non rispondere a meno che non sia un cliente a volerlo. Non fare domande. Comanda Chiqy. Segui le mie regole e starai bene. Non seguirle e non starai tanto bene. Chiaro?”
Sarah annuì.
“Bene. Allora ascolta, perché adesso ti dico le regole. Prima di tutto, tu sei mia proprietà. Sono io che ti possiedo. Posso affittarti, ma non dimenticarti mai a chi appartieni. Capito?”
Sarah, con la guancia che palpitava ancora per via dello schiaffo, annuì docilmente. Anche se si sforzava di comprendere appieno la situazione, sapeva che sfidare apertamente Chiqy nelle condizioni in cui era in quel momento sarebbe stato poco furbo.
“Secondo, soddisferai i bisogni dei miei clienti. Non deve piacerti per forza, anche se, chi lo sa, magari ci prenderai gusto. Non ha importanza. Tu fai quello che dice il cliente, qualsiasi cosa sia. Altrimenti ti picchierò fino a farti sputare sangue. Conosco diversi metodi per farlo in modo che i clienti continuino a trovarti attraente. Da fuori sembrerai un angelo. Ma dentro sarai poltiglia. Ci siamo chiariti?”
Sarah annuì di nuovo. Tentò ancora di tirarsi su e strizzò gli occhi alla luce, sperando di capire dove si trovava. Non riconosceva nessuna delle altre ragazze. Improvvisamente un brivido gelato le risalì la spina dorsale.
Dov’è Lanie?
“Mi puoi dire cos’è successo alla mia amica?” chiese in quello che sperava non fosse un tono di sfida.
Prima che capisse cosa stava accadendo Chiqy l’aveva schiaffeggiata di nuovo, questa volta sull’altra guancia. La forza che ci mise la fece sbattere duramente contro il materasso.
“Non avevo finito,” lo sentì dire nonostante le orecchie le fischiassero. “L’ultima regola è che tu non parli a meno che non ti faccia io una domanda. Come ho detto, imparerai presto che fare la spocchiosa qui non funziona. Hai capito?”
Sarah annuì, notando che nel farlo la testa le pulsava.
“Ma a questa domanda risponderò,” disse Chiqy con un sorriso crudele in volto. Indicò un materasso a circa cinque metri di distanza.
Sarah guardò in quella direzione e vide un uomo che pareva avere sui sessant’anni sopra a una ragazza che teneva la testa molle di fianco. Proprio allora l’uomo le afferrò il mento e le sollevò il viso in modo da baciarla.
Sarah rischiò di soffocare di nuovo vedendo che era Lanie. Era nuda dalla vita in giù e la canotta nera le era stata sollevata fino al collo, scoprendole il reggiseno. Quando l’uomo ebbe perso interesse per le sue labbra, la lasciò andare e la testa le ciondolò in direzione di Sarah.
Vide che l’amica era cosciente, anche se solo a malapena. Gli occhi dalle palpebre pesanti erano appena due fessure e non sembrava capire quel che accadeva attorno a lei. Aveva il corpo floscio e non reagiva fisicamente alle cose che le venivano fatte.
Sarah osservava bene la scena, ma in un qualche modo l’orrore del momento parve accadere lontanissimo, su un pianeta distante. Forse erano le droghe. Forse era stato il fatto di essere stata colpita in viso due volte. Ma si sentiva ottusa.
Forse dovrei esserne grata.
“Era difficile da gestire, quindi abbiamo dovuto calmarla parecchio,” disse Chiqy. “Potrebbe accadere anche a te. Oppure, se non crei tanti problemi, non dovremo farti l’iniezione della buonanotte. Sta a te decidere.”
Sarah lo guardò e fece per rispondere, ma poi si ricordò delle regole e si morse la lingua. Chiqy se ne accorse e sorrise.
“Brava. Impari velocemente,” disse. “Puoi parlare.”
“Niente iniezione della buonanotte,” lo implorò.
“Okay, ci proveremo senza droghe. Ma se… ti dimeni, abbiamo l’ago pronto per te. Capito?”
Sarah annuì. Chiqy, con un sorriso soddisfatto stampato in faccia, annuì di rimando e se ne andò, chiudendosi la tenda alle spalle.
Non sapendo quanto tempo avesse, Sarah si guardò intorno disperata, cercando di fare il punto della situazione. Indossava ancora i jeans e il top color foglia di tè, il che suggeriva che ancora non le era stato fatto nulla. Si controllò le tasche in cerca del telefono, del portamonete e dei documenti, ma era sparito tutto. Ovviamente.
Un forte gemito femminile che veniva da lì vicino la fece uscire dalla sua ottusità e si sentì invadere da qualcosa di simile al panico. Ne fu contenta, dato che arrivò accompagnato da una scarica di adrenalina che le schiarì la mente e le diede un maggiore controllo sugli arti.
Pensa, Sarah, finché ancora puoi. Sei sparita da un po’. Ti stanno cercando. Mamma e papà non avrebbero mai aspettato tanto a lungo che ti mettessi in contatto con loro senza chiamare la polizia. Se ti stanno cercando devi dar loro un indizio, qualcosa che faccia loro sapere che sei stata qui, nel caso in cui accadesse qualcosa.
Abbassò lo sguardo sulla sua maglietta. Aveva detto a sua madre che cosa indossava oggi? No, ma si erano videochiamate quella mattina su FaceTimed, quindi aveva visto come era vestita. Se lo sarebbe ricordato di sicuro. Dopotutto, avevano comprato quei vestiti insieme al negozio Cabazon del centro commerciale.
Si abbassò per strapparsi una striscia lunga circa cinque centimetri sulla cucitura vicino alla vita, dove era più debole. Si stava chiedendo dove lasciarla quando udì avvicinarsi due voci maschili. Proprio mentre la tenda veniva riaperta con uno strattone, ficcò il tessuto sotto al materasso in modo che ne fosse visibile solo un pezzettino.
Cercando di comportarsi il più normalmente possibile, guardò i due uomini. Uno era Chiqy. L’altro era un bianco basso di più di quarant’anni, in giacca e cravatta. Portava gli occhiali, che si cavò e posò sulle scarpe dopo essersele sfilate per sistemarle vicino alla tenda.
“Quanti