L’uomo sembrava essere caduto in uno stupore intorpidito, fissava dritto davanti a sé. Al sentire il suo nome, batté le palpebre e sembrò tornare alla realtà.
“Sì, unità scena del crimine, controllo GPS. Ho capito.”
“Dobbiamo anche verificare tutti i suoi spostamenti di ieri, inclusa la trasferta a San Diego,” disse Keri. “Dobbiamo contattare tutte le persone che ha visto laggiù.”
“Dobbiamo solo fare il nostro lavoro,” aggiunse Brody, in un goffo tentativo di essere diplomatico.
“Lo capisco. Sono sicuro che il marito di solito è il principale sospettato quando scompare una donna. Ha senso. Farò una lista di tutti quelli con cui ho interagito e vi darò i loro numeri. Ne avete bisogno adesso?”
“Il prima possibile,” disse Keri. “Non voglio essere brutale ma lei ha ragione – il marito di solito è il primo sospettato. E prima possiamo escludere questa possibilità, più velocemente possiamo passare ad altre teorie. Manderemo qui alcuni agenti a mettere in sicurezza tutta l’area. Nel frattempo apprezzerei molto che lei e Lupe veniste con noi in giardino dove io e il detective Brody abbiamo parcheggiato. Aspetteremo lì finché non saranno arrivati i nostri colleghi e finché la CSU non potrà cominciare a occuparsi della scena.”
Burlingame annuì e uscì dalla camera trascinando i piedi. Poi, improvvisamente, infilò la testa nella stanza e fece una domanda.
“Quanto tempo ha, detective Locke, presumendo che sia stata rapita? So che è tutta questione di tempo in questi casi. Quando tempo, realisticamente, crede che abbia?”
Keri lo guardò severa. Non c’era astuzia nei suoi occhi. Sembrava aggrapparsi sinceramente a qualcosa di razionale e concreto. Era una buona domanda, a cui Keri aveva bisogno di rispondere anche per se stessa.
Fece rapida a mente qualche calcolo. I numeri a cui giunse non erano buoni. Ma non poteva essere così diretta con il marito di una potenziale vittima. Quindi gli alleggerì un po’ la cosa senza mentire.
“Senta, dottore. Non le mentirò. Ogni secondo conta. Ma abbiamo ancora un paio di giorni prima che le piste comincino a raffreddarsi. E riverseremo le nostre maggiori risorse nella ricerca di sua moglie. C’è ancora speranza.”
Ma dentro di sé, il calcolo era molto meno incoraggiante. Di solito, le settantadue ore erano il limite finale. Quindi, presumendo che fosse stata rapita il giorno prima in mattinata, avevano poco meno di quarantotto ore per trovarla. A voler essere ottimisti.
CAPITOLO CINQUE
Keri percorse il corridoio del Cedars-Sinai Medical Center il più velocemente possibile dato il corpo dolorante. La casa di Becky Sampson si trovava a pochi isolati di distanza dall’ospedale, quindi Keri non si sentiva troppo in colpa a fare quella breve sosta per vedere come stava Ray.
Però, mentre si avvicinava alla sua stanza, sentiva il recente e familiare nervosismo che le agitava lo stomaco. Come avrebbero rimesso le cose di nuovo a posto tra di loro, quando c’era quel segreto che condividevano ma di cui non riuscivano a parlare apertamente? Mentre raggiungeva la stanza, Keri si decise per quella che, sperava, sarebbe stata una soluzione temporanea. Avrebbe finto.
La porta era aperta e Keri vide che Ray dormiva. Non c’era nessun altro nella stanza. L’ultimo contratto di lavoro con la città che era stato stipulato in merito all’ospedalizzazione degli agenti prevedeva l’uso di stanze singole qualora disponibili, quindi ne aveva una piuttosto carina. Aveva la vista sul quartiere di Hollywood Hills e un grande televisore, che era acceso ma senza volume. Dava su un vecchio film con Sylvester Stallone che gareggiava a braccio di ferro.
Ovvio che si sia addormentato.
Keri si avvicinò e studiò il suo partner che dormiva. Steso sul letto, con una vestaglia da ospedale a motivi floreali larga più o meno quanto il suo corpo, Ray Sands sembrava molto più fragile del solito. Normalmente la sua stazza di afroamericano da un metro e novanta per cento chili era intimidatoria, così come la sua testa completamente pelata. Si era decisamente guadagnato il soprannome di “Big.”
Con le palpebre abbassate l’occhio destro, quello di vetro che aveva perso in un incontro di pugilato anni prima, non si vedeva. Nessuno avrebbe potuto indovinare che l’uomo di quarant’anni che in quel momento giaceva su un letto d’ospedale con accanto la scodella intonsa di gelatina rossa Jell-O una volta fosse stato Ray Sands, “The Sandman”, un vincitore del bronzo olimpico e un contendente dei pesi massimi un tempo considerato il favorito per il titolo. Certo, tutto questo prima che un mancino sottovalutato con un gancio sinistro brutale gli distruggesse l’occhio e con un solo pugno ponesse fine alla sua carriera, all’età di ventotto anni.
Dopo aver dato i numeri per un po’, Ray aveva ritrovato il controllo e aveva lavorato per diventare uno degli investigatori più stimati del dipartimento. E con la pensione imminente di Brody, era in coda per prendere il suo posto nella Furti con omicidio.
Keri osservò fuori le colline distanti, chiedendosi come sarebbero stati di lì a sei mesi, quando non sarebbero più stati partner né nemmeno nella stessa unità. Scacciò via il pensiero, non volendo immaginare la sua vita senza l’unica influenza stabile che aveva dal rapimento di Evie.
Improvvisamente ebbe la sensazione di essere osservata. Abbassò lo sguardo e vide che Ray era sveglio, e la guardava in silenzio.
“Come va, Puffetta?” scherzò. Adoravano prendersi in giro l’uno con l’altra per l’enorme differenza di stazza che avevano.
“Bene; e tu come ti senti oggi, Shrek?”
“Un po’ stanco, a essere onesto. Ho finito un grosso allenamento poco fa. Sono andato fino in fondo al corridoio e poi sono tornato indietro. Occhio, LeBron James, ti sto alle calcagna.”
“Hanno programmato la tua uscita?” chiese Keri.
“Hanno detto forse per la fine della settimana, se le cose procedono bene. Poi ci vorranno due settimane di riposo a letto, a casa. Se va tutto bene, mi sarà permesso di occuparmi del lavoro di ufficio su basi limitate. Presumendo che nel frattempo non mi sia sparato io dalla noia.”
Keri rimase in silenzio per un attimo, rimuginando su come proseguire. Una parte di lei voleva dire a Ray di prendersela comoda, di non esagerare per tornare al lavoro. Certo, dirlo sarebbe stato ipocrita, dato che era esattamente quello che non stava facendo lei. E sapeva che lui le avrebbe detto proprio la stessa cosa.
Ma si era beccato la pallottola salvandole la vita. Lei si sentiva responsabile. Si sentiva protettiva nei suoi confronti. E sentiva altre cose a cui non era tanto pronta a pensare, al momento.
Infine, decise che fornirgli una distrazione su cui concentrarsi sarebbe stato meglio che fargli una lezioncina.
“Su quella falsariga, potresti essermi utile con un caso che ho appena preso. Ti andrebbe di mescolare un po’ di indagini al tuo Jell-O?” chiese.
“Prima di tutto, congratulazione per essere tornata sul campo. Secondo, che ne dici di saltare il Jell-O e passare subito al caso?”
“Okay. Ecco i fondamentali. Non si hanno notizie di Kendra Burlingame, un’esponente dell’alta società di Beverly Hills sposata con un chirurgo plastico di successo, da quando ieri mattina…”
“Ieri che giorno era?” la interruppe Ray. “Gli antidolorifici mi rendono difficile ricordare, sai, i giorni della settimana.”
“Ieri era lunedì, Sherlock,” disse Keri in modo irriverente. “Suo marito dice di averla vista per l’ultima volta alle sei e quarantacinque del mattino, prima di partire per San Diego per sovrintendere a un’operazione. Ora sono le due e quaranta del pomeriggio di martedì, quindi è sparita da circa trentadue ore.”
“Presumendo che il marito stia dicendo