Jackson Cave era conosciuto praticamente in tutta la città per la sua reputazione come rappresentante delle maggiori aziende. Ma per le forze dell’ordine il suo lavoro pro-bono come difensore di stupratori, pedofili e rapitori di bambini era una chiara indicazione d’infamia.
Keri era stata immediatamente sospettosa di un uomo del genere. Una cosa era difendere un presunto assassino in un caso da braccio della morte o un disperato che aveva rapinato una banca per mantenere la famiglia. Ma rappresentare esclusivamente e con entusiasmo i peggiori perpetratori di violenze sessuali che la città aveva da offrire, gratis, le sembrava una scelta strana.
Tuttavia Keri sperava di sfruttare il lavoro di Cave a suo vantaggio. Sapeva che da qualche parte quell’uomo doveva avere un codice che avrebbe potuto fornire l’accesso al computer di Pachanga. Se fosse riuscita a trovarlo, sarebbe potuta giungere a informazioni su un’intera rete di rapitori professionisti. Il laptop avrebbe potuto includere anche qualcosa sull’uomo che aveva preso Evie, un uomo che lei credeva si facesse chiamare il “Collezionista”.
Tutto di quel luogo era progettato per intimidire. Lo studio stesso occupava tutto il settantesimo piano della US Bank Tower. Ovunque c’erano finestre che andavano dal pavimento al soffitto, che davano sulla vastità di Los Angeles. Costose opere d’arte coprivano le pareti. Tutto il mobilio era in pelle e mogano.
Finalmente raggiunsero un anonimo ufficio che si trovava alla fine del corridoio e la donna la condusse all’interno. Era vuoto. Keri fu accompagnata a una lussuosa sedia di fronte alla scrivania di Cave, che era immacolata.
Lasciata sola, si guardò intorno, cercando di carpire qualcosa dell’uomo dalle cose di cui si circondava. Non c’erano foto personali sulla scrivania né sulla credenza. Sul muro c’erano alcune foto di Cave con pezzi grossi vari, come il sindaco, molti consiglieri e alcune celebrità. Erano esposte anche la laurea del college (University of Southern California) e quella della scuola di legge (Harvard). Ma nulla dava un’idea dell’uomo né delle sue passioni.
Prima che potesse studiare meglio la stanza, Jackson Cave entrò. Keri si alzò in piedi subito. Lui era esattamente come se lo ricordava dal loro ultimo incontro. I capelli nero carbone erano pettinati indietro come quelli di Gordon Gekko in Wall Street. I denti dal bianco accecante riempivano una bocca ritorta in un sorriso finto e plastico. La pelle abbronzata brillava sotto il vestito Michael Kors blu scuro. E i penetranti occhi blu luccicavano di una fierezza che le ricordava un’aquila che cacciava una preda.
E poi, in un lampo, Keri seppe cosa avrebbe fatto. Jackson Cave, con le sue foto personali insieme a persone potenti e con il suo aspetto e stile immacolati, era un uomo a cui interessava come veniva percepito. Si guadagnava da vivere avendo la meglio sulle persone – i politici, le giurie, i media. E Keri sapeva che voleva avere la meglio anche su di lei. Era la sua natura.
Devo indebolire il suo scopo. Devo attaccarlo subito e velocemente, sovvertire le sue aspettative, sbilanciarlo. L’unico modo in cui riuscirò ad aprire una breccia nella sua corazza per fargli commettere un errore è colpendolo rapidamente in più punti. Forse così dirà per sbaglio qualcosa che potrebbe portarmi a craccare il codice.
Se riusciva a farlo arrabbiare, o anche solo a infastidirlo, magari avrebbe commesso un errore e avrebbe rivelato inavvertitamente qualcosa di importante. Considerando che lei già lo disprezzava, non doveva sforzarsi tanto per trovare argomenti con cui attaccarlo. Doveva solo esagerare e cercare delle crepe nella sua facciata perfetta. Non sapeva esattamente quali potessero essere queste crepe, ma se stava attenta era sicura che avrebbe trovato qualcosa.
“Detective Keri Locke,” disse mentre la superava per accomodarsi alla scrivania, “che sorpresa inaspettata. È stato appena poche settimane fa che ci siamo ritrovati a chiacchierare nella fresca aria di montagna. E adesso ha acconsentito a venire a farmi visita qui nella giungla d’asfalto. A cosa devo l’onore?”
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