“Non abbiamo mai fatto una scommessa a riguardo!”
“Invece sì!”
Le due ragazze si presero giocosamente a pugni, ridacchiando e ridendo mentre litigavano.
Anche Riley scoppiò a ridere e disse: “OK, ragazze. Basta così. Basta litigare. Non rovinate una vacanza perfetta. Mangiamo tutti qualcosa.”
Poi si unì al gruppo che chiacchierava e rideva per il pasto della sera.
Mentre mangiavano, lei e Blaine continuarono a guardarsi con amore.
Erano davvero una coppia con tre ragazze adolescenti da crescere.
Riley si chiese …
Quando è stata l’ultima volta che ho avuto una serata tanto meravigliosa?
*
Riley camminava a piedi nudi sulla spiaggia, mentre la luce del sole mattutino si rifrangeva sulle onde. Nell’aria risuonavano i versi dei gabbiani e la brezza era fresca e piacevole.
Sarà una bella giornata, pensò.
Ma, di là dalle apparenze, c’era qualcosa di profondamente sbagliato.
Le ci volle qualche attimo per capire …
Sono sola.
Guardò la spiaggia in tutte le direzioni, e vide che non c’era nessuno a vista d’occhio.
Dove sono? si chiese.
Dove sono April, Jilly e Crystal?
E dov’è Blaine?
Uno strano timore cominciò a crescere in lei, e anche un pensiero terrificante …
Forse ho sognato tutto.
Sì, forse ieri sera non è mai accaduto nulla.
Assolutamente nulla.
Quei bei momenti con Blaine, mentre pianificavano il loro futuro insieme.
La risata delle sue due figlie, e anche di Crystal, che stava per diventare la sua terza figlia.
Quella sensazione di appartenenza, piena di calore, una sensazione che aveva passato tutta la vita a cercare e desiderare.
E’ stato tutto solo un sogno.
E ora era sola, sola come non era mai stata in vita sua.
Proprio allora, sentì ridere e chiacchierare dietro di sé.
Si voltò e li vide …
Blaine, Crystal, April e Jilly: tutti e quattro correvano intorno, lanciandosi un pallone da spiaggia.
Riley sospirò sollevata.
Allora era vero, pensò.
Naturalmente, non l’aveva soltanto immaginato.
Riley rise con gioia e corse per unirsi a loro.
Ma, improvvisamente, qualcosa di duro ed invisibile la bloccò.
Era come se fosse sorta una barriera invisibile, che la separava dalle persone che più amava al mondo.
Riley si mosse lungo la barriera, facendovi scorrere sopra le mani, pensando …
Forse c’è un modo per oltrepassarla.
Poi, sentì una risata familiare.
“Arrenditi, figliola” una voce disse. “Quella vita non è per te.”
Riley si voltò e vide qualcuno a pochi metri di distanza da lei.
Era un uomo che indossava un’uniforme completa da Marine. Era alto ed allampanato, col viso invecchiato e segnato dalle rughe di anni di rabbia e di alcol.
Era l’ultimo essere umano al mondo che Riley avrebbe voluto vedere.
“Papà” mormorò con disperazione.
L’uomo sorrise tristemente e disse:“Ehi, non dovresti sembrare così dannatamente triste. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere rivedere me, il tuo carne e il tuo sangue.”
“Sei morto” Riley sbottò.
Il genitore scrollò le spalle, replicando: “Beh, come già sai, questo non m’impedisce di farmi vedere di tanto in tanto.”
Riley era consapevole che c’era della verità in quelle parole.
Non era la prima volta che vedeva suo padre da quando era morto l’anno prima.
E non era neanche la prima volta che rimaneva disorientata dalla sua apparizione. Il poter parlare con un uomo morto proprio non aveva alcun senso per lei.
Ma di una cosa era sicura.
Non voleva avere niente a che fare con lui.
Voleva stare tra persone che non le facessero odiare se stessa.
Quindi, si voltò e cominciò a camminare verso Blaine e le ragazze, che stavano ancora giocando con il pallone da spiaggia.
Di nuovo, fu fermata da quell’invisibile barriera.
Il padre rise. “Quante volte devo dirtelo? Non hai niente a che fare con loro.”
Tutto il corpo di Riley tremò, per rabbia o dolore, non seppe stabilirlo.
Si voltò verso il padre, gridando …
“Lasciami in pace!”
“Sei sicura?” l’uomo ribatté. “Sono tutto ciò che hai. Sono tutto ciò che sei.”
Riley ringhiò: “Non sono affatto come te. So che cosa significa amare ed essere amata.”
Il padre scosse la testa e sprofondò con i piedi nella sabbia.
“Non che io non ti capisca” rispose. “E’ una dannata vita folle quella che hai, cerchi giustizia per gente che è già morta, quindi proprio chi non ha più bisogno di giustizia. Proprio com’è stato con me in Vietnam, una stupida guerra che non si poteva vincere in alcun modo. Sei una cacciatrice, come me. Ti ho cresciuta in quel modo. Non conosciamo altro, noi due.”
Rimasero immobili in una muta, reciproca sfida.
Qualche volta Riley riusciva a sconfiggerlo, facendogli battere le palpebre.
Ma questa non era una di quelle volte.
Batté dunque le palpebre e distolse lo sguardo.
Il padre sogghignò, congedandosi bruscamente: “Accidenti, se vuoi restare da sola, per me va bene. Neanch’io mi sto esattamente godendo la tua compagnia.”
Si voltò allontanandosi lungo la spiaggia.
Riley tornò a guardare i suoi familiari e vide che tutti si stavano allontanando: April e Jilly mano nella mano, Blaine e Crystal in altra direzione.
Mentre già stavano scomparendo nella prima luce del mattino, Riley batté le mani sulla barriera e provò a gridare …
“Tornate! Vi prego, tornate indietro! Vi amo tutti!”
Le labbra si mossero ma dalla bocca non uscì alcun suono.
*
Riley spalancò gli occhi e si trovò sdraiata nel letto.
Un sogno, pensò. Avrei dovuto sapere che si trattava di un sogno.
Talvolta il padre le appariva nei sogni.
Dopo tutto, in quale altro modo avrebbe potuto passare a trovarla, essendo morto?
Le ci volle un altro momento per rendersi conto di avere gli occhi bagnati di pianto.
L’opprimente solitudine, l’isolamento dalle persone che più amava al mondo, l’avvertimento ricevuto dal padre …
“Sei una cacciatrice, come me.”