Povera Morgan, pensò.
Morgan Farrell era la moglie di un uomo ricco ma violento. Quando era stato brutalmente accoltellato a morte nel sonno, Morgan era sicura di essere la colpevole dell’omicidio, sebbene non riuscisse a ricordare di aver commesso il fatto. Era sicura di averlo dimenticato, per via delle pillole e dell’alcol.
Ed era stata orgogliosa di quello che credeva di aver commesso. Aveva persino chiamato Riley al telefono per dirglielo …
“Ho ucciso il bastardo.”
Morgan era innocente, in realtà. Un’altra donna folle aveva ucciso il marito di Morgan, ed altri mariti ugualmente violenti.
La donna, vittima anche lei dell’ultimo marito, aveva deciso di farsi giustizia da sola e di farne una missione, diretta a liberare le altre donne dal dolore. Riley l’aveva fermata prima che uccidesse erroneamente un uomo, la cui unica colpa era di amare la moglie, disturbata e delirante.
Riley rivisse la scena nella sua mente, dopo aver lottato contro la donna a terra, e averle messo le manette …
“Adrienne McKinney, è in arresto.”
Ma Riley si ritrovò a chiedersi …
E se tutto fosse finito in maniera diversa?
E se fosse stato possibile salvare un uomo innocente, spiegare alla donna l’errore che aveva commesso, per poi semplicemente lasciarla andare?
Lei avrebbe continuato ad uccidere, fu la sua conclusione.
E gli uomini che aveva ucciso avrebbero meritato di morire.
Allora che tipo di giustizia aveva servito davvero quella volta?
La disperazione si impadronì di Lei al ricordo delle parole del padre …
“E’ una vita dannatamente folle e inutile quella che hai.”
Da un lato, stava disperatamente provando a vivere la vita di una madre che cresceva due figlie e quella di una donna innamorata di un uomo che sperava di sposare. A volte, quella vita sembrava davvero funzionare per lei, e sapeva che non avrebbe mai cessato di continuare così.
Ma, non appena si ritrovava da sola, quella vita ordinaria sembrava irreale.
Dall’altro lato, invece, lottava contro orribili ostacoli per abbattere i mostri. Il suo lavoro era fondamentale per lei, sebbene troppo spesso cominciava e terminava in pura futilità.
In quel momento Riley si sentiva molto triste. Sebbene fosse presto, fu tentata di versarsi da bere. Mentre combatteva quella tentazione, il suo telefono squillò. Quando vide chi la stesse chiamando, trasse un enorme sospiro di sollievo.
Questo era reale.
Aveva del lavoro da fare.
CAPITOLO NOVE
Mentre guidava fino all’edificio del BAU, Riley si accorse di vivere il suo ritorno al lavoro in modo contrastante. Quando Meredith l’aveva chiamata, aveva dedotto dal suo tono di voce che non era di buonumore.
Non le aveva fornito alcun dettaglio ma si era limitato a comunicarle che avrebbe tenuto un meeting della sua squadra, per aggiornarla su nuovi sviluppi. Era felice di uscire di casa e di andare a Quantico ma non comprendeva perché Meredith fosse così furioso.
Circa una settimana e mezza prima, le aveva suggerito di andare a Rushville, Mississippi, per occuparsi di un omicidio che era appena accaduto. Riley si era rifiutata.
Ma quel giorno non era sembrato irritato con lei, anzi si era dimostrato completamente dispiaciuto di averla disturbata.
“Mi dispiace averla disturbata” aveva detto proprio. “Continui a godersi la sua vacanza.”
Qualcosa era cambiato da allora.
Quale che fosse la vera ragione, con ogni probabilità questo significava che aveva del vero lavoro di cui occuparsi.
Mentre parcheggiava l’auto di fronte al grande edificio bianco, che ospitava l’Unità di Analisi Comportamentale, si accorse di sentirsi già meglio: stava tornando a casa.
Dopo aver parcheggiato l’auto, Riley aprì il portabagagli e tirò fuori la sua valigia, che teneva sempre pronta. Sapeva che probabilmente si sarebbe dovuta occupare di un nuovo caso.
Quando entrò nella sala conferenze, il meeting stava appena iniziando. I due partner di Riley, Bill Jeffreys e Jenn Roston, erano seduti in fondo al tavolo di fronte all’Agente Speciale Brent Meredith, il caposquadra.
Come sempre, Meredith aveva una figura che incuteva timore, con il suo fisico robusto e i suoi lineamenti scuri e spigolosi.
Ma oggi, incuteva più timore del solito. Lanciò un’occhiataccia a Riley, mentre quest’ultima prendeva posto al tavolo.
Poi scattò: “Com’è andata la vacanza, Agente Paige?”
Il tono brusco colpì Riley, che, invece di rispondere alla domanda, sostenne lo sguardo e disse fermamente: “Sono pronta a tornare a lavoro.”
Meredith annuì con tetra approvazione.
Poi, aggiunse: “Ora che siamo tutti qui, possiamo cominciare.”
Muovendo lo sguardo da uno all’altro degli interlocutori, Meredith aggiunse: “Continuo a pensare all’omicidio a Rushville, Mississippi, quello di cui ci ha parlato la poliziotta del posto che ci ha chiamato. Ho chiesto all’Agente Jeffreys di fare una piccola ricerca a riguardo. L’ha fatto, e ora pensa che forse dovremmo occuparcene, dopotutto. Vorrebbe spiegare, Agente Jeffreys?”
“Certamente” Bill rispose, alzandosi e raggiungendo lo schermo di fronte alla stanza. Da molti anni ormai, Bill era partner e grande amico di Riley, che era felice di vederlo lì. Aveva circa la sua età ed era un uomo saldo e straordinario, con qualche sprazzo di grigio tra i capelli neri.
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