Davanti a lei, fermo a un semaforo, qualcuno ascoltava a volume altissimo dell’orribile hip hop. Il parafango dell’auto vibrava e il basso la infastidiva. Stasera sei una vera stronza, non è vero, campionessa? disse a se stessa.
Guardò la sua mano destra leggermente gonfia e sogghignò. “Sì. Sì, lo sono.”
Quando raggiunse l’incrocio dove era ferma la macchina con la musica, il semaforo cambiò e il veicolo sfrecciò via. Ancora una volta però provò quella sensazione inquietante. Si voltò per guardare dietro di sé e di nuovo, non vide niente. In fondo alla strada una coppia camminava mano nella mano. C’erano diverse auto parcheggiate lungo la via e un singolo furgone rosso si stava dirigendo verso il semaforo che aveva appena superato.
Forse era solo paranoica perché un bastardo aveva praticamente provato a stuprarla. Quello, insieme all’adrenalina che le scorreva dentro, creava una combinazione malsana. Doveva solo tornare a casa, lavarsi e andare a letto. Doveva smetterla con tutte quelle stupide feste.
Si avvicinò al suo appartamento, desiderando che la sua compagna di stanza non fosse in casa. Le avrebbe fatto un sacco di domande sul perché fosse tornata così presto. Lo faceva perché era un’impicciona e non aveva una vita sua… non perché le importasse veramente di lei.
Salì i gradini del suo palazzo. Quando aprì il portone ed entrò, riguardò indietro verso la strada, provando ancora una volta la sensazione di essere osservata. Ma le strade erano vuote; l’unica cosa che vide fu una coppia che pomiciava furiosamente contro un palazzo a tre porte di distanza. Vide anche lo stesso furgone rosso di prima. Era parcheggiato al semaforo, stava semplicemente fermo lì. Sophie si chiese se alla guida ci fosse un qualche pervertito che guardava la sessione di pomiciata contro il palazzo.
Sentendo un brivido lungo la schiena, Sophie si avviò all’interno. Chiuse la porta, lasciandosi l’oscurità alle spalle. Ma quel senso di inquietudine rimase.
***
Si svegliò quando la sua compagna di stanza uscì, la mattina seguente. La stronza impicciona probabilmente era andata a comprare altri mango e papaya per i suoi pretenziosi smoothie alla frutta. Sophie era abbastanza certa che non avesse lezione così presto quella mattina. Lanciò un’occhiata all’orologio e scoprì che erano le 10:30.
Merda, pensò. Aveva lezione dopo un’ora e non sarebbe mai riuscita ad arrivare in tempo. Doveva fare la doccia, mettere insieme qualcosa per colazione e poi andare al campus. Gemette, chiedendosi come aveva fatto a diventare quel tipo di ragazza. Da quel momento in avanti sarebbe stata solo una civetta? Avrebbe lasciato che i suoi problemi personali le impedissero di studiare e di migliorare la sua vita? Era…
Un colpo alla porta d’ingresso interruppe le sue riflessioni. Borbottò e uscì dal letto. Indossava solo un paio di mutandine e una sottile maglietta di cotone, ma non importava. Di certo era la sua coinquilina. L’idiota probabilmente aveva dimenticato il portafoglio. O le chiavi. O qualcos’altro…
Un altro colpo, delicato ma insistente. Sì… doveva essere la sua coinquilina. Solo lei bussava in quella maniera irritante.
“Stai calma,” gridò Sophie.
Raggiunse la porta e la aprì, sbloccando la serratura. Si ritrovò faccia a faccia con uno sconosciuto. C’era qualcosa di strano nella sua faccia, quella fu la prima cosa che notò.
E l’ultima.
Lo sconosciuto irruppe nel suo appartamento, chiudendo in fretta la porta. Prima che Sophie potesse emettere un grido, le mise una mano attorno alla gola e un panno sulla bocca. Inspirò una pesante dose di una qualche sostanza chimica— dall’odore tanto forte che le fece lacrimare gli occhi mentre lottava contro la stretta dello sconosciuto.
Rapidamente smise di lottare. Quando l’autentica paura iniziò a farsi strada in lei, il mondo ormai era un vortice buio che attirò Sophie in qualcosa di molto più oscuro e definitivo del sonno.
CAPITOLO NOVE
Avery non era abituata alle notti non passate a sgobbare a lavoro o con la fretta di sbrigare qualcosa. Quindi quando si ritrovava nel bel mezzo di una serata di quel tipo, non era mai certa di come reagire. In quel momento si trovava seduta sul divano, con il cellulare in mano a mandare un messaggio a Rose. Sapeva che se voleva accertarsi che la figlia rimanesse nella sua vita, doveva sforzarsi di renderla una sua priorità.
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