Quando il vecchio re Tarnis si era arreso e aveva ceduto il regno, aprendo le porte di Pandesia, Merk si era sentito svuotato, senza più uno scopo per la prima volta nella sua vita. Senza un re da servire si era trovato alla deriva. Qualcosa che aveva covato per tanto tempo dentro di sé era venuto in superficie e per qualche motivo che non capiva aveva iniziato a porsi domande sulla sua vita. Tutta la sua vita era stata ossessionata dalla morte, dall’uccidere, dal rubare la vita degli altri. Era diventato facile, troppo facile. Ma ora qualcosa dentro di lui stava cambiando: era come se facesse fatica a sentire il terreno saldo sotto i piedi. Aveva sempre saputo, da subito, quanto effettivamente era fragile, quanto facilmente avrebbe potuto morire. Ma ora iniziava a chiedersi come preservarsi. La vita era così fragile, quindi conservarla non era forse una sfida più grande che portarla via?
E nonostante tutto iniziò a chiedersi quale fosse la cosa che lui stava portando via agli altri.
Merk non sapeva come questa personale riflessione avesse avuto inizio, ma lo metteva profondamente a disagio. Qualcosa era emerso da lui, un forte senso di malessere, ed era diventato nauseato dall’uccidere, aveva sviluppato un disgusto pari al piacere che un tempo aveva provato. Avrebbe voluto che ci fosse una cosa sulla quale potersi concentrare che riuscisse ad allontanarlo da tutte quelle riflessioni – magari l’uccisione di una particolare persona – ma non c’era. Quel malessere gli era scivolato addosso senza un motivo. E questa era la cosa che maggiormente gli dava fastidio.
Diversamente da altri mercenari, Merk aveva accettato solo missioni nelle quali credeva. Era stato solo più tardi nella sua vita che era diventato eccellente in ciò che faceva, che i pagamenti erano diventati troppo ingenti, la gente che si rivolgeva a lui troppo importante e lui aveva iniziato a sfumare i contorni, ad uccidere anche coloro che non avevano necessariamente la colpa. Ed era questo che lo disturbava.
Merk stava sviluppando una forte passione e desiderio di sciogliere tutto ciò che aveva fatto, di provare agli altri che poteva cambiare. Voleva spazzare via il suo passato, riportare indietro tutto ciò che aveva fatto, fare penitenza. Aveva fatto un solenne giuramento con se stesso di non uccidere mai più, di non sollevare più un solo dito contro chiunque, di trascorrere il resto della sua vita chiedendo perdono a Dio, di dedicare se stesso all’aiutare gli altri, di diventare una persona migliore. Ed era tutto questo che lo aveva condotto su quel sentiero nella foresta che proprio adesso stava percorrendo appoggiato al suo bastone.
Merk vide il sentiero che saliva davanti a lui e poi si avvallava, brillando per le foglie bianche. Controllò l’orizzonte in cerca della Torre di Ur: ancora nessuna traccia. Sapeva che alla fine quel sentiero l’avrebbe condotto lì: un pellegrinaggio che lo teneva impegnato ormai da mesi. Era stato attratto, fin da ragazzo, dai racconti dei Sorveglianti, l’ordine chiuso dei monaci/cavalieri, parte uomini e parte qualcos’altro, il cui lavoro consisteva nel risiedere nelle due torri – la Torre di Ur a nord-est e la Torre di Kos a sud-est – e sorvegliare la più preziosa reliquia del regno: la Spada di Fuoco. La leggenda narrava che fosse la Spada di Fuoco a mantenere vive Le Fiamme. Nessuno sapeva per certo in quale torre si trovasse, un segreto conservato gelosamente e conosciuto da nessuno se non dagli antichi Sorveglianti. Se fosse mai stata spostata, o rubata, Le Fiamme sarebbero andate perdute per sempre ed Escalon sarebbe diventata vulnerabile all’attacco.
Si diceva che sorvegliare le torri fosse un compito elevato, un compito sacro e onorabile, se si veniva accettati dai Sorveglianti. Merk aveva sempre sognato i Sorveglianti da ragazzo; era andato a letto di sera chiedendosi come sarebbe stato unirsi a loro. Voleva perdersi nella solitudine, nel servizio, nella riflessione personale, e sapeva che non c’era modo migliore per farlo che diventare un Sorvegliante. Merk si sentiva pronto. Aveva barattato la sua cotta di ferro per della pelle, la spada con un bastone e per la prima volta nella sua vita aveva passato un buon ciclo lunare senza uccidere o dare la caccia a un’anima. Iniziava a sentirsi bene.
Valicando una piccolo collina guardò oltre, speranzoso come era ormai da giorni, che quella cima gli potesse rivelare la Torre di Ur da qualche parte all’orizzonte. Ma non si vedeva ancora nulla, nient’altro che boschi che si distendevano a perdita d’occhio. Eppure sapeva che si stava avvicinando: dopo così tanti giorni di cammino la torre non poteva più essere tanto distante.
Merk continuò a percorrere il sentiero in discesa: il bosco si fece sempre più fitto fino a che, in fondo, giunse a un’enorme albero che sbarrava il cammino. Si fermò a guardarlo, ammirandone la stazza e dibattuto se farne il giro o meno.
“Direi che fino a qui è abbastanza distante,” disse una voce sinistra.
Merk riconobbe immediatamente l’intenzione malvagia nella voce, qualcosa di cui aveva fatto esperienza, e non ebbe neppure bisogno di voltarsi per capire cosa stava per accadere. Udì le foglie scricchiolare tutt’attorno a lui e dal bosco emersero dei volti che ben si abbinavano con la voce: tagliagole, uno dall’aspetto più disperato dell’altro. Erano le facce di uomini che uccidevano senza motivo. Le facce di ladri e assassini comuni che assaltavano a caso i deboli con violenza inaudita. Agli occhi di Merk erano la feccia più bassa in assoluto.
Merk vide che era circondato e capì di essere finito in una trappola. Si diede rapidamente un’occhiata attorno senza farlo intendere a loro, spinto dal suo vecchio istinto, e ne contò otto. Tenevano tutti in mano un pugnale, erano tutti vestiti di stracci, con le facce, le mani e le unghie sporche, tutti con la barba incolta, tutti con un aspetto disperato che dava a vedere che da troppi giorni non mangiavano molto. E che erano annoiati.
Merk si irrigidì mentre il capo dei ladri si avvicinava. Non certo per paura: Merk poteva ucciderlo, poteva ucciderli tutti senza battere ciglio se voleva. Ciò che lo innervosiva era la possibilità di essere costretto alla violenza. Era determinato a mantenere il suo giuramento a qualsiasi costo.
“E qui cosa abbiamo,” chiese uno di essi avvicinandosi accerchiando Merk.
“Sembra un monaco,” disse un altro con voce derisoria. “Ma quegli stivali non centrano nulla.”
“Magari è un monaco che pensa di essere un soldato,” rise un altro.
Scoppiarono tutti a ridere e uno di essi, un omone sulla quarantina senza un dente incisivo, si chinò alitandogli in faccia il suo fiato fetido e gli diede un colpo alla spalla. Il vecchio Merk avrebbe ucciso qualsiasi uomo gli si fosse avvicinato anche solo della metà.
Ma ora il nuovo Merk era determinato ad essere un uomo migliore, ad essere superiore alla violenza, anche se quella sembrava cercarlo. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, sforzandosi di restare calmo.
Non tornare alla violenza, si disse e ripeté più volte.
“Cosa fa questo monaco?” chiese uno di essi. “Prega?”
Scoppiarono tutti a ridere di nuovo.
“Il tuo dio non ti salverà adesso, amico!” esclamò un altro.
Merk aprì gli occhi e fissò il bifolco.
“Non ho intenzione di farvi del male,” disse con calma.
Le risate si levarono più forti di prima e Merk si rese conto che stare calmo e non reagire violentemente era la cosa più difficile che avesse mai fatto.
“Fortunati insomma!” rispose uno di essi.
Risero ancora, poi fecero silenzio mentre il capo si faceva avanti e si portava faccia a faccia con Merk.
“Ma forse,” disse con voce seria, così vicino che Merk poteva sentire il suo alito cattivo, “siamo noi a volerti fare del male.”
Un uomo si avvicinò a Merk, gli mise un braccio nerboruto attorno alla gola e iniziò a stringere. Merk ansimò sentendosi soffocare, la morsa abbastanza forte da fargli provare dolore, ma non tanto da togliergli l’aria del tutto. Il suo riflesso immediato sarebbe stato quello di allungare un braccio indietro e uccidere quell’uomo. Sarebbe stato facile: conosceva il punto preciso di pressione nell’avambraccio per fargli mollare la presa. Ma si sforzò di non farlo.
Lasciali passare, disse fra sé e sé. La strada verso l’umiltà deve iniziare da qualche parte.
Merk guardò