“E grazie a Dio non lo siete,” disse Dauphine.
“Dovete credermi!” insistette Alistair, voltandosi verso la madre di Erec. “Bowyer ha cercato di ucciderlo. Vuole il trono. A me non interessa diventare regina. Non mi è mai interessato.”
“Non preoccuparti,” disse Dauphine. “Non lo sarai mai. Non sarai neppure viva. Qui nelle Isole del Sud serviamo la giustizia molto velocemente. Domani verrai giustiziata.”
Alistair scosse la testa, rendendosi conto che non si poteva ragionare con loro. Sospirò con il cuore pesante.
“È per questo che siete venuti qui?” chiese debolmente. “Per dirmi questo?”
Dauphine la fissò nel silenzio e Alistair poté percepire l’odio nel suo sguardo.
“No,” rispose alla fine, dopo una lunga e pesante pausa. “È stato per pronunciare la tua sentenza e per dare un’ultima lunga occhiata alla tua faccia prima di mandarti all’inferno. Ti faremo soffrire, allo stesso modo in cui ha dovuto soffrire nostro fratello.”
Improvvisamente Dauphine arrossì, si scagliò in avanti e afferrò i capelli di Alistair. Avvenne così velocemente che Alistair non ebbe il tempo di reagire. Dauphine lanciò un grido gutturale e le graffiò il volto. Alistair sollevò le mani per bloccare il colpo mentre gli altri si facevano avanti per fermare Dauphine.
“Lasciatemi andare!” gridò. “Voglio ucciderla ora!”
“Verrà fatta giustizia domani,” disse Strom.
“Portatela fuori di qui,” ordinò la madre di Erec.
Le guardie si fecero avanti e trascinarono Dauphine fuori dalla stanza mentre calciava e strillava protestando. Strom li raggiunse e presto la cella fu completamente vuota se non per Alistair e la madre di Erec. La donna andò verso la porta, si voltò lentamente e guardò Alistair. Alistair le scrutò il volto alla ricerca di un segno di gentilezza o compassione.
“Vi prego, dovete credermi,” disse con franchezza. “Non mi interessa quello che pensano gli altri di me. Ma mi interessa quello che pensate voi. Siete stata gentile con me dal primo momento che ci siamo conosciute. Sapete quanto amo vostro figlio. Sapete che non avrei mai potuto fare una cosa del genere.”
La madre di Erec la guardò attentamente e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Sembrò vacillare.
“È per questo che siete rimasta indietro, vero?” insistette Alistair. “È per questo che avete esitato. Perché volete credermi. Perché sapete che ho ragione.”
Dopo un lungo silenzio la donna finalmente annuì. Come se avesse preso una decisione fece diversi passi verso di lei. Alistair poteva vedere che le credeva sul serio e ne fu felice.
La donna corse ad abbracciarla e Alistair ricambiò il gesto, piangendo sulla sua spalla. Anche la madre di Erec pianse e alla fine fece un passo indietro.
“Dovete ascoltarmi,” disse Alistair con urgenza. “Non mi interessa quello che mi accadrà o cosa gli altri pensino di me. Ma Erec. Devo andare da lui. Ora. Sta morendo. L’ho guarito solo parzialmente e devo finire il mio lavoro. Altrimenti morirà.”
La donna la guardò dalla testa ai piedi, come se si stesse finalmente rendendo conto che stava dicendo la verità.
“Dopo tutto quello che è successo,” le disse, “tutto quello che ti interessa è mio figlio. Ora vedo che veramente gli vuoi bene, e che non avresti mai potuto fare una cosa del genere.”
“Certo che no,” disse Alistair. “Sono stata incastrata da quel barbaro, Bowyer.”
“Ti porterò da Erec,” le disse la regina. “Ci costasse le nostre vite. Ma almeno moriremo tentando. Seguimi.”
La donna sciolse le catene e Alistair la seguì velocemente fuori dalla cella, attraverso le segrete, decise a rischiare tutto per Erec.
CAPITOLO OTTO
Gwendolyn si trovava sulla prua della nave, l’aria dell’oceano le accarezzava la faccia, accerchiata da tutta la sua gente e con la bambina salvata tra le braccia. Erano tutti in stato di shock mentre navigavano in mezzo al mare, già lontani dalle Isole del Sud. Erano stati raggiunti solo da due navi, tutto ciò che restava della grandiosa flotta che era salpata dall’Anello. Il popolo di Gwen, la sua nazione, tutti valorosi cittadini dell’Anello, erano stati ridotti e qualche centinaia di sopravvissuti, una nazione in esilio che galleggiava, senza patria, cercando un luogo dove poter ricominciare. E tutti guardavano a lei come loro guida.
Gwen guardava il mare, esaminandolo ormai da ore, immune agli spruzzi freddi della nebbia dell’oceano mentre scrutava nella foschia e cercava di trattenere il proprio cuore dallo spezzarsi. La bambina tra le sue braccia si era finalmente addormentata e Gwen non riusciva a pensare ad altro che a Guwayne. Si odiava, era stata così stupida a lasciarlo navigare da solo. In quel momento le era sembrata l’idea migliore, le era sembrato l’unico modo per salvarlo da morte certa. Chi avrebbe potuto prevedere un tale mutamento negli eventi e immaginare che i draghi sarebbero stati debellati? Se Thor non fosse apparso come aveva fatto in quel momento sarebbero stati sicuramente tutti morti. Gwen non se lo sarebbe mai aspettato.
Era riuscita almeno a salvare alcune delle sue persone, una parte della sua flotta, quella bambina. Erano riusciti almeno a fuggire dall’isola e a scampare alla morte. Eppure tremava ancora ogni volta che il ruggito di un drago squarciava l’aria, sempre più lontano man mano che navigavano via. Chiuse gli occhi e trasalì: sapeva che c’era una battaglia epica da svolgere e che Thor si trovava esattamente nel mezzo. Più di tutto avrebbe voluto essere lì al suo fianco. Ma allo stesso tempo sapeva che sarebbe stato inutile. Non sarebbe stata di alcuna utilità a Thor mentre combatteva contro quei draghi e avrebbe solo esposto il suo popolo alla morte.
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