Due
Quando, camminando spediti tra la folla, mi resi conto che nessuno mi cagava più di tanto, mi sentii comoda e a mio agio, soprattutto grazie ai miei scarponcini, robusti e leggeri.
Con sorprendente dimestichezza, Nunzio infilò un vicoletto laterale, poi raggiungemmo una stradina che, alla fine, ci condusse ad un piccolo cortile, abbastanza fuori mano. Una porticina, sotto una scritta fiocamente illuminata, portava ad una scala, che scendeva al di sotto del livello della strada. Sul cartello di legno, in caratteri al neon, câera scritto semplicemente: HARD. Due buttafuori, allâingresso, ci squadrarono, poi ci lasciarono passare, come se ci avessero riconosciuti. Discese le scale, arrivammo in un locale, molto più ampio di quanto avessi potuto immaginare. Sembrava un vecchio magazzeno; i soffitti erano formati da volte a botte, che sâincrociavano su enormi pilastri quadrati. Il rivestimento era a mattoncini rossi, molto vecchi, forse era quello originale; lâarredamento era in legno scuro e anchâesso aveva un aspetto estremamente vissuto ma robusto. Non câera odore di umido né aria stantia, era vietato fumare, però il calore umano che emanava dai numerosi clienti era tangibile. Notai che qualcuno sorrideva a Nunzio, compreso il barista, un bel ragazzo di colore dalla faccia simpatica. Lui, invece, faceva del suo meglio, per evitare di mettersi troppo in vista, come non volesse farsi notare. - Insomma - gli dissi allâorecchio - qui ti conoscono bene? â Pronto, rispose: - Ma che dici? Manco da questo paese da almeno tre anni. Lâultima volta ci sono stato con degli amici... mi sembrò carino. Qui salutano tutti perchè sono socievoli. â Non aggiunse altro. Sedemmo al bancone, sugli sgabelli. Nunzio ordinò una birra scura, io chiesi un Martini Gold con ghiaccio. Approfittai della sosta per ambientarmi ... câera gente ma non era proprio pieno, forse era solo troppo presto per le ore âclouâ della serata, anzi: della notte. Controllai i proprietari di qualche sguardo insistente che mi sentivo addosso, per cercare di capire lâeffetto che facevo sui presenti. Un pizzico di vanità lo devo pur confessare e mi piacque scoprire una punta di apprezzamento e di desiderio in chi mi osservava. Notai anche, non troppa sorpresa, che, a studiarmi, erano sia maschi che femmine. Accavallai le gambe con civetteria, stando bene attenta a non mostrare che razza di mutande indossassi... comunque mi sentivo a mio agio. Era bello constatare che, nonostante lâabbigliamento da gita scolastica, il mio bel corpo non passasse inosservato. Dopotutto, ero ancora giovane e mi tenevo in allenamento, anche per il piacere di sentirmi sana. Pur non essendo altissima, sono un tipo slanciato con un bel culetto in bella vista, che, in ufficio, cercavo di mascherare con le giacche dei tailleur, per non creare disagio o false illusioni. Insomma pur essendo sobria e riservata, non ero una bacchettona, anzi. E questo lato del mio carattere mi piaceva! Nascondere un poâ la mia femminilità , senza ostentare troppo il mio corpo, era un poâ il segreto della mia capacità di sedurre, volendo... ed al momento opportuno. Adoravo donarmi al mio partner, soprattutto le prime volte, quando mi scopriva un poco alla volta, lasciandolo sempre più sorpreso e felice dei miei âdoniâ erotici e sensuali. Amavo sorprendere insomma ... forse perché, comunque, rappresentava il mio carattere ed il mio desiderio di essere sempre io quella che dirige il gioco. Nel locale câerano tavolini e panche, la musica era soft, così come le luci. Solo sul fondo, una zona con più luci, sovrastava uno spazio, leggermente sotto livello, quadrato e spoglio, apparentemente deserto. Dopo una decina di minuti, sul bordo prospiciente la zona più illuminata, due ragazze presero posizione lâuna di fronte allâaltra. Erano vestite entrambe col kimono, quello da lotta giapponese. Tenevano una spada in mano, quasi sicuramente finta. Una era una biondina ma non sembrava slava, forse più inglese, dai tratti. Era leggermente in carne, o solo rotondetta di costituzione, aveva un aspetto abbastanza scialbo, insomma: non era una meraviglia. Di fronte a lei una ragazza orientale, forse giapponese, dal corpo sottile e flessibile come un giunco. Qualcuno presentò le due, in inglese. Una musica ritmata seguiva lâesibizione delle due âgattineâ: consisteva in una danza che simulava un combattimento, almeno credo, da lontano non si vedeva troppo bene. Pian piano le combattenti attrassero lâattenzione su di loro, perché sotto ai Kimono erano completamente nude e totalmente depilate. Mentre si esibivano, si vedevano i seni e le parti intime, che facevano capolino, sotto la vestaglia bianca, ad ogni mossa che azzardavano. Le ragazze fingevano anche di tentare di ricomporsi ma era tutta scena, infatti, il loro fingere di trattenere le vesti, non faceva che rendere più eccitante lo spettacolo. Le spade vorticavano nellâaria e colpivano, fermandosi al primo contatto, credo senza fare troppo male. Gli spettatori gongolavano e le incitavano: si fecero più attenti quando le ragazze con mosse abili e rabbiose, iniziarono a spogliarsi ed a bloccarsi tra di loro, mimando pose sempre più sconce. Ci spostammo per metterci più a favore del palco e vidi che le ragazze, nel corpo a corpo, mimavano operazioni sessuali di tipo lesbico. Lâatmosfera si faceva calda e notai che molti uomini avevano la patta gonfia, senza preoccuparsi troppo di nascondere la loro erezione. Ma câerano anche ragazze: alcune si muovevano sui sedili, ancheggiando e toccandosi le gambe, eccitate. Nelle file più nascoste, câera un vecchio, abbigliato da marinaio, che si masturbava sotto il tavolo. Ne rimasi sbalordita, Lâuomo era seduto al limite della panca, le gambe aperte, quasi ad inginocchiarsi sul pavimento, con un avambraccio si sosteneva al tavolaccio su cui era appoggiato, mentre, con la mano libera si mungeva il pene, che era talmente lungo da sembrare finto. Sgomitai Nunzio, esterrefatta, mentre notavo che anche altre ragazze occhieggiavano in direzione di quella scena. - Non ci fare caso â rise Nunzio, come se niente fosse â credo sia solo un attore, fa parte dello show! â - Cosa? â Ero allibita: ma che razza di posto strano era mai quello? Ora le ragazze avevano finito di combattersi e, diciamolo, anche di strusciarsi lâuna contro lâaltra. Sempre sui bordi di quello spazio vuoto, illuminato, si misero a quattro zampe sotto sopra, da vere contorsioniste. Chi conosceva âil giocoâ si avvicinava e leccava, con fervore, le loro parti intime, dilatate e sudate, magari erano anche venute, durante la lunga esibizione. Dopo essersi rifocillati nella figa o nellâano dilatati, i più audaci gettavano sui loro pancini qualche moneta. Poco dopo le ragazze, ringraziarono, recuperando il denaro e andarono via. Controllai la panca del vecchio sporcaccione: era sparito, di certo Nunzio ci aveva azzeccato. Viste le stranezze che capitavano e la disinvoltura con cui lui le recepiva, ero sempre più convinta che conoscesse bene quel posto. Comunque aveva avuto ragione, quella serata si presentava davvero diversa. Complice il Martini, abbastanza alcolico, mi sentivo allegra e su di giri. Intanto, come avevo giustamente intuito, il locale si affollava man mano che la sera lasciava il posto alla notte.
Tre
Molti dei nuovi arrivati, però, avevano espressioni più determinate, facce più decise, qualcuno dava lâimpressione di non essere veramente il ritratto dellâonestà .
Ci spostammo di nuovo e cercammo un tavolino; per fortuna ne trovammo uno ancora vuoto, mentre sul