Tra gli atti predisposti invece dalla Resistenza, câerano stati anzitutto il noto attacco alla colonna dei granatieri tedeschi in via Medina e lâazione dâun plotone di carabinieri che, col beneplacito del colonnello comandante, sâera diretto, sopra un camion Lancia CM20 , al Museo di San Martino per combattere, coi propri moschetti 91 corti e bombe a mano SRCM 35,21 i tedeschi che assediavano gli studenti ribelli; al fianco dei militi della Benemerita sâerano posti spontaneamente alcuni civili della zona. Quella stessa mattina, sempre su precedente ordine dei dirigenti democratici, un centinaio di combattenti per la libertà aveva preso dâassedio Castel SantâElmo nel quale, fra i tedeschi asserragliati allâinterno, câera lâormai stanco plotone di granatieri rimasto a guardia dellâarmeria per tutta la notte, cui non era stato dato il cambio perché, come sappiamo, il fresco plotone montante era stato impegnato in combattimento in via Medina.
Allâincalzare degli eventi il comandante della piazza colonnello Scholl aveva mosso i suoi potenti panzer di classe Tiger e Panther; tuttavia un certo numero ne era stato bloccato e incendiato da rivoltosi, grazie a qualche panzerfaust sottratto al nemico, a bazooka americani e a bottiglie molotov.
Capitolo 5
Mentre lo scontro a fuoco in via Medina continuava, il capo in testa della Questura, dottor Carmelo Pelluso, allontanatosi dalla finestra del proprio ufficio al primo piano, dalla quale aveva cautamente osservato il plotone tedesco impegnato in combattimento, sâera accinto a chiamare allâinterfono i suoi vice questori per dar ordini in merito, quando il telefono sulla sua scrivania aveva trillato.
Allâaltro capo del filo câera il suo diretto superiore dottor Soprano: Il prefetto aveva riferito al questore châerano iniziati conflitti a fuoco in più zone di Napoli e gli aveva riportato la notizia che la 5a armata e il 6° Corpo americani nonché il 10° britannico stavano attaccando i tedeschi in direzione di Napoli e di Avellino e i reparti germanici in campo stavano iniziando a ripiegare aggirando la città partenopea, per consolidare le loro linee più a nord. Aveva concluso lasciando arbitro il questore di decidere quali concreti ordini impartire ai propri uomini, ma col vincolo di non obbligarli a combattere i tedeschi.
Il dottor Pelluso non aveva obbedito del tutto: salutato il prefetto, aveva sì comandato ai suoi vice di trasmettere ai rispettivi dipendenti il semplice invito, non l'ordine, d'unirsi al popolo contro i tedeschi, ma aveva aggiunto deciso: âDite a tutti che io personalmente sto con glâinsorti; tuttavia chiunque, per mera ipotesi, non volesse seguirmi non avrà noie; dovrà però consegnare la pistola e restare consegnato in Questura nelle camere di sicurezza.â
Carmelo Pelluso non era un antifascista della prima ora: come moltissimi altri, fra cui il vice commissario Vittorio DâAiazzo, aveva posseduto sino al 25 luglio la tessera fascista, di fatto obbligatoria per i pubblici funzionari; aveva però aderito già alla fine di quel mese al Partito dâazione e non aveva mutato bandiera dopo lâoccupazione tedesca e il recentissimo ritorno di Mussolini al Governo dell'Italia non occupata dagli eserciti alleati; al contrario, egli collaborava adesso attivamente coi dirigenti dei partiti antifascisti del Fronte Unico Rivoluzionario e, in primo luogo, con uno dei suoi maggiori esponenti, nonché suo amico personale, lâazionista22 professor Adolfo Omodeo che, il 1° di settembre, era stato nominato dal Governo Badoglio rettore dellâAteneo di Napoli Federico II, da cui alimentava fra gli intellettuali, insieme al liberale Benedetto Croce, la ribellione al nazifascismo.
I poliziotti fedeli a Mussolini, un commissario e una decina fra agenti, graduati e sottufficiali, sotto il diretto controllo del questore erano stati disarmati e rinchiusi, rispettosamente ma sotto scorta armata, nelle camere di sicurezza. Il Pelluso sâera informato se ci fossero già altri reclusi in quelle stanze e aveva saputo che lâunico in guardina era un certo, vero o presunto, Gennaro Esposito, sospettato dellâassassinio dâuna prostituta di nome Rosa Demaggi. Sul volto del questore era apparso gran disappunto.
Negli stessi minuti, Vittorio DâAiazzo stava uscendo di caserma attraverso il passo carraio, al comando dâuna vecchia, obsoleta autoblindo della Questura. Egli si considerava in pectore un demoliberale cristiano anche se, gettata la tessera fascista il 25 luglio, non aveva aderito né al partito cattolico né a quello liberale e, a differenza del questore Pelluso, non aveva preso contatti con uomini della neonata Resistenza; dâaltro canto, era stato così per la gran maggioranza di queglâitaliani che avrebbero poi combattuto il nazifascismo, per oltre un anno e mezzo, sino alla fine della guerra.
Con Vittorio DâAiazzo era salito sullâautoblindo, anche se provato come lui per la notte insonne, il brigadiere Marino Bordin, uomo animoso benché rozzo il quale, pur non avendo idee politiche, nutriva profondo astio per i tedeschi a causa della loro boria sprezzante verso glâitaliani. Erano inoltre montati sul corazzato due agenti, tali Tertini e Pontiani, e alla guida sâera posto il maresciallo ordinario Aroldo Bennato, capo meccanico dellâautofficina della Questura, tutti e tre freschi, dopo una notte di riposo, e appena montati in servizio.
Lâautoblindo, o precisamente autoblindomitragliatrice com'era catalogata, era un arnese della 1a guerra mondiale Ansaldo Lancia IZ dotato di tre mitragliere pesanti da 7,92 millimetri Maxim. Solo questo blindato e due consimili non erano stati confiscati alla Questura dagli occupanti, essendo stati giudicati non più utilizzabili perché obsoleti, a differenza delle più moderne autoblindo 611 FIAT 1934/35 e AB FIAT 1940/43 che i carristi teutonici avevano incamerato ben volentieri fra i loro mezzi corazzati. LâAnsaldo Lancia IZ era un modello lento e mal manovrabile. Aveva però una notevole potenza di fuoco, tanto che, entrato in servizio alla fine della 1a guerra mondiale, aveva fatto immediati sfracelli tra gli austriaci; inoltre, contrariamente a quanto dovevano aver pensato i tedeschi, le tre auto corazzate gemelle erano state tenute in perfetta efficienza grazie a revisioni periodiche del capo officina e dei suoi meccanici e, per le mitragliatrici, degli armieri.
Coi cinque poliziotti a bordo, il blindato era entrato fracassone e fumante nella via Medina, a una settantina di metri alle spalle dei tedeschi, sempre intenti a tirare sui rivoltosi per riceverne colpi di fucili Garand, mentre il mitragliatore BAR dei patrioti ormai taceva col suo addetto accasciato sopra bocconi, morto. Il numero degli attaccanti vivi sâera ridotto a meno della metà , ché i tedeschi disponevano dâuna cosiddetta sega di Hitler, una tremenda mitragliatrice MG 42 da 7,92 millimetri, la migliore al mondo per efficacia e leggerezza, tanto che, ancor oggi negli anni 2000, il modello è in dotazione alla NATO23 ; e ogni dieci proiettili inseriti nei nastri dai mitraglieri teutonici, uno era di tipo perforante, capace di far breccia nei muri diroccati e nei cumuli di macerie delle due case bombardate, al cui riparo sparavano i patrioti. Anche alcuni tedeschi erano a terra morti, piccola parte del loro plotone.
Vittorio DâAiazzo aveva ordinato al maresciallo di fermare il mezzo e agli agenti di mettersi a due mitragliatrici, mentre egli stesso si sistemava dietro alla terza. Il trio aveva armato, mirato ai granatieri nemici e, allâordine del superiore, aveva fatto fuoco: senza sosta nonostante il rischio dâinceppare le